Carissimi amici,
desidero farvi i miei auguri per il Natale ormai prossimo, quest’anno arricchito dalla grazia dell’apertura dell’anno giubilare che tutti i cristiani vivranno come “pellegrini di speranza”.
L’esperienza del pellegrinaggio precede l’avvento del cristianesimo ed è presente in forme diverse in molte religioni: è una necessità dell’uomo in quanto tale quella di trovare un tempo per convertirsi, reindirizzarsi verso il suo centro più profondo, verso la sua meta e il suo destino lasciando dietro di sé, almeno temporaneamente, tutti gli orpelli e i pesi accumulati nella vita e nelle relazioni quotidiane.
Siamo mendicanti di speranza, cercandone costantemente tracce concrete in questo nostro mondo che sempre più sembra oscurarle; ci sentiamo anche portatori di speranza, coi piccoli e grandi gesti che riusciamo a compiere nei luoghi dove viviamo e lavoriamo.
Ma prima ancora siamo debitori di speranza verso Dio che per primo ha sperato nella sua stessa creazione, “cosa buona” fin dal principio. L’uomo è addirittura “cosa molto buona” e con i suoi doni, tra cui spicca quello di essere creato a Sua immagine e somiglianza, non può che portare frutti buoni e degni. Eppure, la speranza di Dio è legata al mistero della libertà dell’uomo, e ad essa Egli sembra vincolare misteriosamente il “successo” della Sua opera. Si sceglie un popolo, lo salva e lo istruisce perché gli sia fedele, se ne prende cura come di una vigna confidando porti molto frutto, ma rimane deluso: “Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi” (Is 5,2).
Possiamo chiederci quale sia la speranza di Dio su ciascuno di noi, sulle nostre famiglie, sulle nostre comunità, e provare un senso di piccolezza e di indegnità.
È proprio vero allora che Natale è “il primo giorno del mondo redento”[2], il primo di una serie che non avrà termine fino alla fine dei tempi. Ogni giorno è una grazia: «oggi nel nostro mondo è sempre Natale. Dio viene sotto i segni sconcertanti dei sacramenti specialmente dell’Eucarestia. Viene negli avvenimenti o sotto l’umile condizione dei poveri”[3].
Ma può forse Dio smettere di sperare? Può arrendersi impotente di fronte alle nostre debolezze?
Il Natale illumina questo mistero e fa memoria di un evento che unisce il tempo e l’eternità, il creato e l’increato: quel Bambino nella mangiatoia è il Verbo che fin dal principio “era presso Dio” (Gv 1,1).
“Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16): è come se l’intera creazione, le vicende della storia, le nostre stesse vite, fossero orientate a Nazaret e Betlemme dove tutto trova un senso perché il Figlio si è fatto carne: è Lui il “nuovo Adamo”, vera e perfetta immagine del Padre e per questo “canone dell’umanità”[1].
È proprio vero allora che Natale è “il primo giorno del mondo redento”[2], il primo di una serie che non avrà termine fino alla fine dei tempi. Ogni giorno è una grazia: «oggi nel nostro mondo è sempre Natale. Dio viene sotto i segni sconcertanti dei sacramenti specialmente dell’Eucarestia. Viene negli avvenimenti o sotto l’umile condizione dei poveri”[3].
Come cristiani di fronte a un dono così sovrabbondante non possiamo cedere alla tentazione dello sconforto, del rimpianto, della recriminazione, della disillusione, della delusione.
Dio viene, è Lui la nostra speranza, “in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza” (Is 25,9).
Dio viene.
Auguri di un Santo Natale!
[1] Ratzinger J., Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 168.
[1] Don Pietro Margini, I quaderni di don Pietro, Vol.5, Quaderno 41 (1984), p. 239.
[1] Ibidem, p. 240 (le sottolineature sono di don Pietro).