di Nicola Maiocco
Le ultime diapositive fissatesi nel fondo dei nostri occhi, quasi come riassunto finale di una impareggiabile saga, raccontano della visita ad una donna straordinaria: Egyptienne.
Mauro aveva già avuto modo di incontrarla nel suo precedente viaggio in Madagascar e ha insistito perché anche noi potessimo raccogliere la sua testimonianza. E così, proprio nell’ultimo giorno utile, mille circostanze fortunate hanno consentito che quel desiderio si realizzasse.
Già il viaggio avrebbe meritato una cronaca minuziosa! Complice il ciclone, il ponte di accesso alla strada – in realtà una carrabile parecchio accidentata – per raggiungere il villaggio di Imanty è inagibile. Lasciamo dunque il fedele Toyota a Vohipeno e ci imbarchiamo su una piroga spinta, si fa per dire, da uno sbuffante, ansimante nonché puzzosissimo motoretto.
Ma l’ora di navigazione sul maestoso Matitanana necessaria per arrivare a destinazione è come un tuffo nella preistoria, come sfogliare un libro fittamente illustrato a spiegare i primi insediamenti umani.
Perché l’amore di una mamma è sempre più grande di tutto il male del mondo.
Mentre la piroga asseconda dolcemente la linea della corrente, a destra e sinistra si alternano le scene di una vita dura, faticosa, rigata dall’acqua dalla terra dal sole. Qua poverissime palafitte radunate in minuscoli villaggi; la piccole risaie rivierasche dove riusciamo a scorgere le donne intente al lavoro di raccolta; frotte di bimbi sulle sponde armati di speranzose canne da pesca; giovanette intente al lavaggio delle pochi vesti di un immaginario armadio; uomini a sfalciare erbe, canne o rappezzare argini.
Tutti, al passaggio, ci guardano con malcelatissima curiosità – non è usuale una simile concentrazione di vasa tutta di un colpo! – ma quando li salutiamo con le uniche tre parole della loro lingua che faticosamente abbiamo messo insieme sciolgono volentierissimo i sorrisi e gli sguardi, questi ridendo quelli fingendo imbarazzo, ammiccando tra loro.
E questa benedetta Egyptienne? Ah ecco, giusto! Ormai ci siamo. Lo sbarco dalla prua della piroga al fangosissimo greto è foto da pietosamente eliminare dall’album dei ricordi…ma questa è un’altra storia.
Ancora 500 metri di sterrato in salita ed ecco: due grandi occhi neri come pece, profondi fino al centro
della terra, o del cielo, un sorriso capace di sciogliere anche il più tenace blocco di granito ci accolgono come solo una mamma potrebbe fare.
E lei, consacrata, missionaria dell’Amore infinito, ostetrica ma a tempo dovuto anche psicologa, infermiera, chirurgo e mille altre specializzazioni altro non può essere che una mamma di chissà quanti figli. Che accoglie e cura nel suo dispensario nella foresta, forte solo di una incrollabile fede, anche osteggiata per anni e addirittura minacciata di morte perché riusciva là dove la ancestrale medicina tribale non poteva ovviamente nulla!
Ma la tenacia e la forza di una mamma non ammettono di poter cedere alla prepotenza cieca e bieca e così oggi, dopo 14 anni di duro e spesso solitario lavoro, è riuscita a far accettare il suo donarsi per gli ultimi della terra e proprio nell’ultima delle terre; ha potuto addirittura ampliare e arricchire i “reparti” e di sicuro saprà rimetterli in sesto una volta di più anche in barba ai recenti dolorosi schiaffi del ciclone.
Perché l’amore di una mamma è sempre più grande di tutto il male del mondo.
Grazie Egyptienne!