Cari fratelli e sorelle,
al termine di questa celebrazione così significativa e raccolta, desidero soffermarmi ancora un momento con voi per invitarvi alla preghiera e al digiuno, come ho già fatto con la lettera a tutti i parroci, al fine di implorare dal Signore la santità dei ministri della Chiesa e infine di tutti noi.
Durante questi ultimi giorni alcune persone mi hanno chiesto con insistenza un giudizio su quanto sta accadendo nella comunità ecclesiale, quasi a voler pretendere da me che io mi schierassi per una parte piuttosto che per un’altra. Non mi sembra questo il modo più vero né più efficace per leggere cristianamente ciò che sta accadendo. Ho chiesto a tutti i parroci e infine a tutti i fedeli di aderire all’invito del papa alla preghiera e al digiuno. Al papa Francesco desidero ancora una volta esprimere il nostro affetto filiale e la nostra preghiera per il suo ministero così importante e delicato. Mi sembra che la lettera del Santo Padre al Popolo di Dio colga molto efficacemente ciò di cui c’è più bisogno oggi e quindi sia anche il giudizio adeguato su quanto sta accadendo: oggi c’è bisogno della nostra conversione. Non innanzitutto della conversione degli altri, di coloro che non la pensano come noi, di coloro che sentiamo schierati diversamente, ma della nostra, di ciascuno di noi. Ciascuno di noi infatti ha una necessità urgente: confessare a Dio le proprie colpe, chiedere perdono e iniziare una nuova vita. Se tutti cominciassimo a fare così, la Chiesa mostrerebbe in modo più luminoso la propria santità.
Leggendo i giornali di questi giorni, che cosa vediamo? Il grande tentativo di moralizzare la Chiesa non a partire dalla conversione personale, ma dalla moralizzazione degli altri. Abbiamo pensato che bastassero le nostre povere forze umane per una riforma. Essa invece, per essere veramente efficace, ha bisogno dell’intervento di Dio, da noi riconosciuto, supplicato, affinché dal suo perdono nasca la pianta nuova della santità.
La meditazione dell’Antico e del Nuovo Testamento dovrebbe sorreggere e illuminare la direzione del nostro cammino. Siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione; siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati (Dn 3,37): così si esprime il profeta Daniele. Ma questa situazione può essere paradossalmente la strada per un nuovo inizio. Scorgendoci in lotta gli uni contro gli altri, non possiamo far altro che implorare l’aiuto di Dio perché converta i nostri cuori. Anche san Paolo notava le divisioni nelle sue comunità, e poteva dire sarcasticamente: Se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! (Gal 5,15). Di fronte alla sua comunità più divisa, quella di Corinto, e alle fazioni che volevano sostenere la pluralità dei loro riferimenti, egli ha genialmente espresso la sua teologia del Corpo di Cristo, in cui ciascuno ha un suo dono, ma tutti siamo di Cristo (cf. 1Cor 12,12-29).
Non voglio con questo affermare che tutti hanno torto e tutti hanno ragione, ma semplicemente dire che la ricerca delle ragioni e dei torti non sarà mai sufficiente né adeguata a fondare la comunione. Occorre riconoscere l’unità della Chiesa attorno al sacrificio e alla resurrezione di Cristo, confidare in lui, sapendo che lui è alla guida della Chiesa.
Stiamo vivendo un periodo difficile, ma anche di grande purificazione. All’interno del corpo ecclesiale è maturata una consapevolezza nuova a riguardo dei terribili abusi sessuali, di coscienza e di potere commessi da parte di alcuni suoi membri. Quando si è a conoscenza di questi abusi, quando si è verificata con serietà la veridicità delle accuse, si deve agire con tempestività affinché i piccoli e le persone indifese non siano colpite ancora. Questa nuova consapevolezza è un bene per la Chiesa e per la società. Non deve portarci a vedere soltanto male nella Chiesa, non deve portarci a vedere il male dove non c’è, ma deve aiutarci a riconoscere il male compiuto e nello stesso tempo a perseguirlo con equilibrio e determinazione. La sofferenza immane di tante persone chiede a noi tutto questo. Lo chiede soprattutto la santità della Chiesa, Corpo di Cristo, che egli vuole che gli sia presentata tutta gloriosa, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata (Ef 5,27).
Per tutte queste ragioni, volendo dare un piccolo esempio, io stesso reciterò il santo rosario una sera al mese, con tutti i fedeli che vorranno unirsi a me. Ci incontreremo presso la Cappella del Vescovado. Sul libretto della messa troverete le date, gli orari e l’indirizzo. Dopo la preghiera, al posto della cena digiunerò insieme a chi vorrà fermarsi: prenderemo un po’ di riso bollito ascoltando delle letture che ci accompagnino nel silenzio. Il costo della cena lo verseremo per gli alluvionati del Kerala. Desidererei che ogni parrocchia, nei limiti del possibile, offrisse per i suoi fedeli qualcosa di simile.
Preghiamo tutti con fiducia filiale nel Signore e con sincero pentimento: “Risparmia Signore il tuo popolo!” Il grido di tutta la Chiesa salga a Dio, ben sapendo che dalla luminosità e dalla trasparenza del Corpo ecclesiale verrà un grande beneficio anche per il cammino di tutti gli uomini nel mondo.