Pensiero di don Andrea Pattuelli ai vespri e Te Deum del 31 dicembre 2017

Vespri e Te Deum del 31 dicembre 2017
Pensiero di don Andrea Pattuelli

Quando diciamo “tempo” stiamo portando l’attenzione sul nostro essere presenti, specialmente sentiamo l’importanza di una presenza reciproca; anche nella solitudine o nelle gravi malattie sentiamo che urge in noi la presenza degli altri. Il senso del tempo è un essere dati a qualcuno per qualcosa.

Quante volte ci siamo soffermati a ripensare; per capire, per riassaporare, per discolparci, per verificarci, per trarre dagli atteggiamenti che abbiamo avuto un rinnovato impegno. Attenzione tuttavia a non vivere del tempo che fu, che diviene un modo per non vivere mai per davvero.

Il tempo vissuto ha fatto fruttificare un valore in ciascuno di noi, che qualifica il momento presente e lo contraddistingue come unico tra infinite altre possibilità: siamo diventati le persone che siamo; se tocco uno di voi, tocco il vostro tempo vissuto.

Eppure il tempo scorre senza di noi, non ci guarda “mai in faccia”, e questo rappresenta un nostro malessere esistenziale, perché ci sembra di doverlo rincorrere, di non averne abbastanza, di non farcela, inafferrabile, muto, perché un giorno finirà e il pensiero della fine ci rattrista alquanto…

Ma se è vero che scorre senza di noi, è anche vero che non si compie, cioè non raggiunge niente, alcuno scopo, se non con la nostra disponiblità. Oggi, 31 dicembre, si compie un anno per tutti e diciamo si apre un anno nuovo.

Se il Figlio di Dio, Gesù, non fosse venuto nel mondo, forse, la numerazione degli anni ci riporterebbe ancora alla fondazione di Roma, la Città Capo del mondo e Vertice dell’organizzazione degli uomini, che procede verso un destino però sconosciuto.

Ma abbiamo ascoltato nella lettura di Galati che quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, facendogli assumere un’umanità come la nostra, dandogli la nostra stessa temporalità; Dio è diventato tangibile.

Con l’incarnazione l’eternità è entrata nel tempo e la storia dell’uomo, finalmente, si è aperta al compimento. Ci ha fatto conoscere che è Lui il nostro destino, la nostra meta è la comunione con Lui.

Il tempo è stato – per così dire – toccato da Cristo e da Lui ha ricevuto significati nuovi e sorprendenti (cf. BXVI): è diventato tempo di grazia, cioè d’incontro con Dio.

In questa prospettiva dobbiamo considerare l’anno che si chiude e quello che inizia per porre le più diverse vicende della nostra vita – importanti o piccole, semplici o indecifrabili, gioiose o tristi – sotto il segno della Salvezza che viene dall’incontro con Dio e accogliere la chiamata a una meta che è oltre il tempo stesso: l’eternità.

Il Signore è vicino, come una madre è vicina a un figlio appena nato. Tutto questo è per la nostra gioia e ci porta a elevare la lode a Dio. Diciamo il nostro grazie a Dio per il dono di Suo Figlio, fonte e pienezza di tutti gli altri doni, con i quali l’amore di Dio riempie l’esistenza di tutti noi, delle famiglie, delle comunità, della Chiesa. Il Canto del Te Deum è un segno della ns gioiosa gratitudine. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.

Maria e Giuseppe sono saliti a Gerusalemme, camminano insieme come pellegrini inseparabili; in tutto il periodo natalizio Maria e Giuseppe si muovono, la pace domestica risiede nel loro legame più che in un luogo fisico, quanto dobbiamo impegnarci perché i giovani e i fidanzati scoprano la stabilità e la pace personale e comunitaria prima e più ancora di quella geografica ed economica! Le innumerevoli difficoltà ad accogliere dei figli sono un segnale preoccupante che è avvenuto un improprio rovesciamento delle aspettative di felicità: chi si muove lo fa per essere indipendente o per necessità legate alla propria felicità o al lavoro. In nessuno di questi casi sembra concepibile formare una famiglia… Quanto più grande, invece, la prospettiva di affrontare insieme ogni cosa, di lavorare per le necessità della famiglia, di cercare la felicità e non di aspettare di averla già trovata; e la libertà consiste nell’essere segnati dall’amore che ci lega all’altra persona. Nelle coppie, nei gruppi di amici, nulla è impossibile a Dio.

A voi che siete qui questa notte dico grazie, a tutti coloro che in questo momento sono in comunione con noi, in ospedale, in servizio, in missione, lontano per lavoro, in viaggio, in campeggio a coloro che quest’anno hanno visto cambiare la loro vita per averla donata al Signore, o perché qualcuno è stato loro tolto, e non lo rivedrà che in Paradiso, per coloro che hanno smarrito la fiducia nel dono del tempo, vorrei che la Chiesa e la società vi facessero sentire più alto e concreto il grazie per tutto quello che fate, custodendo e sviluppando con energia la vita famigliare, specialmente quando è più fragile e bisognosa, con sacrifici nascosti ed evidenti sforzi per il Bene, desiderando la pienezza, cioè condividere il tempo di Dio e l’opera di Dio che siete, desiderando di essere questo dono.

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