La massima dignità del cristiano è essere assimilato al Figlio di Dio – Omelia don Pietro Margini

Omelia XXVIII Domenica Tempo Ordinario. 

La massima dignità del cristiano è essere assimilato al Figlio di Dio

 2Re 5,14-17; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17, 11-19

 (…) è sottolineato il dovere di riconoscere Dio come il nostro grande benefattore. E Dio ci è benefattore in due grandi sensi. Nel primo è da Lui che vengono tutte le cose che possediamo e che guardiamo e di cui gioiamo, tutto! La Provvidenza di Dio è in ogni cosa, la Provvidenza di Dio porta a noi ogni beneficio!

E il secondo senso: Dio è nostro benefattore particolarmente perché ci ha uniti a Gesù, ci ha fatto un’unica cosa con Gesù. È quello che sottolinea l’apostolo nella seconda lettura. Tanto vero che è proprio qui dove Dio massimamente si manifesta benefattore che noi abbiamo una sorte comune con Cristo. Sicché se moriamo con Lui vivremo anche con Lui, se con Lui perseveriamo con Lui anche regneremo.

È in quest’ordine allora che il cristiano si identifica con Cristo, cioè la massima dignità del cristiano è essere assimilato al Figlio di Dio, è potere con Lui dire a Dio: “Padre”, è entrare in comunicazione con la vita stessa della Trinità, è ancora essere con Gesù nell’ordine della salvezza. Se Cristo è Redentore, ogni cristiano insieme a Lui può diventare redentore: se appunto cerca di unire se stesso a Gesù, cioè se cerca di vivere potentemente il suo Battesimo.

Allora la vita di un cristiano diventa ricchissima, ricchissima di grazia, ricchissima di bene. Allora le giornate di un cristiano, secondo l’espressione della Scrittura, diventano piene, piene perché realizzate nella grazia danno lode a Dio, perché realizzate nella grazia tornano a beneficio di tutti. Non è così? È un membro vitale che dà all’organismo una vera vitalità, che dona all’organismo una grande collaborazione.

La Provvidenza di Dio è in ogni cosa, la Provvidenza di Dio porta a noi ogni beneficio!

Quando noi diciamo che è degno e giusto ringraziare il Signore, e lo diciamo in ogni Messa, lo intendiamo particolarmente in questo senso, nel senso che ci ricordava san Pietro, prima che noi leggessimo il Vangelo: “Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa” (1Pt 2, 9).

Ecco cosa vuol dire essere cristiani: non dunque immiserire la vita, non dunque trascinare la nostra vita in una serie di atti materiali, di cose materiali, di interessi materiali e fermarsi lì, ma dare un’anima a tutto! Dare un’anima al lavoro, dare un’anima alle nostre preoccupazioni, alle nostre cose di famiglia, dare l’anima vuol dire viverle così nella dignità di figli di Dio, dare così alle nostre azioni un indirizzo che è salvifico, cioè che, posto bene, è per la salvezza soprannaturale di tutti gli uomini.

Vorrei che insistessimo in questo pensiero di meditazione, perché altrimenti un cristiano non si distingue da un altro. Come un altro lavora, tribola e muore, invece noi dobbiamo sì tribolare come gli altri ma con tutt’altro merito, con tutt’altro senso, con tutta altra forza, con altro diversissimo frutto. Il cristiano vive la grazia, cioè il cristiano è responsabilmente conscio di quanto il Signore ha compiuto in Lui, di quanto il Signore vuol compiere attraverso di Lui.

Condividi: