Omelia XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Confidenza nella misericordia e responsabilità
Is 5, 1-7; Fil 4, 6-9; Mt 21, 33-43.
La parabola è una profezia e si è verificata storicamente: il popolo ebreo, che ha rifiutato Gesù e lo ha ucciso, ha subito il duro e giusto castigo del Signore; ma la parabola va applicata anche alla nostra anima ed è un discorso molto profondo che dobbiamo fare, perché anche noi siamo stati mirabilmente beneficati dal Signore, una vigna prediletta, mirabilmente beneficati in tutto.
Chi può contare le tante grazie che ha ricevuto? La misericordia di Dio non si è fermata davanti alle nostre colpe, ma ha donato ancora di più ed è logico perciò che sappiamo interrogarci sulla nostra attuale corrispondenza. Davanti ai tanti doni di Dio quale è stata la nostra riconoscenza? La riconoscenza del nostro cuore? La riconoscenza delle nostre parole? Particolarmente la riconoscenza delle nostre opere?
Che non succeda che pigri, svogliati, indifferenti, lasciamo cadere tanti preziosi doni del Signore! Che non succeda, perché assumeremmo una responsabilità troppo pesante, assumeremmo il marchio dell’ingrato!
Bisogna che allora ci preoccupiamo di una preoccupazione quotidiana: valorizzare la grazia di Dio, far tanto conto della grazia di Dio, riprenderci subito se siamo pesanti e neghittosi, riprenderci perché la confidenza nella misericordia di Dio non ci deve mai abbandonare.
Confidare molto ma avere il senso della responsabilità, il senso del dovere, il senso del dono ricevuto, tanto più che molte volte, se non siamo sensibili, crediamo disgrazie quelle che sono grazie, chiamiamo disavventura quello che invece è un prezioso ricamo della grazia di Dio.
Il Signore agisce in noi per santificarci e ci vuole distaccati dalle nostre troppe preoccupazioni e dalle nostre eccessive ansietà; ci vuole distaccati dai beni che ci affascinano e impegnati a curare l’avvenire del Regno di Dio in noi e nella Chiesa. Sentiamo la vocazione nostra, che è quella di essere i servi del Signore, i servi che vogliono fare la sua obbedienza, che vogliono riaffermare la loro docilità, i servi che sanno bene che il padrone è di una sapienza e di un amore infiniti, che servire Dio è regnare, che la gloria più grande, che può avere un uomo, è quella di un servizio di Dio umile, generoso e continuato.
Chiediamoci allora in una forma di interrogativo che arrivi fino in fondo al nostro cuore, chiediamoci com’è il nostro servizio, com’è il nostro impegno, com’è ancora la nostra vera riconoscenza.