Omelia XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Accompagnati dalle parole di don Pietro Margini (1917-1990), per vivere con frutto questo tempo prezioso.
Is 53,2-3. 10-11; Eb 4,14-16; Mc 10, 35-45.
Gesù oggi ci ricorda una legge che è la legge della salvezza: la legge del soffrire per la giustizia, per il bene, per il trionfo del bene.
Il peccato essenzialmente è ricerca di gioia fuori di Dio, contro Dio. La Redenzione si attua accettando la nostra condizione che è condizione dell’umanità decaduta, che è condizione di lotta.
Per essere buoni dobbiamo lottare: non è buono se uno non lotta. Perché siamo soggetti a superare le tentazioni perché se non superiamo ci travolgono, ci avviliscono, ci umiliano.
E dobbiamo accettare il dolore che è venuto in seguito al peccato. Lo sappiamo bene: nessuno è esente dal dolore. Gesù è venuto dallo splendore della gloria del cielo sulla terra e ha sofferto, ha sofferto più di tutti. Si è immolato fino all’ultimo. In tutti gli anni di vita passati su questa terra, è stato un continuo succedersi di sofferenze, morali e fisiche, per cui è diventato l’«uomo dei dolori» e abbiamo sentito Isaia paragonarlo ad un arbusto cresciuto nel deserto.
La sofferenza la ha abbracciata in pieno e non ha esentato la Madonna, sua madre, che pur aveva preservato dal peccato e sua madre è diventata la «Regina dei martiri». E gli apostoli, che abbiamo sentito chiedere la gloria, sono passati tutti attraverso crudeli sofferenze e sono morti di martirio.
Quanto dobbiamo riflettere!
Riflettere per sapere prendere le cose contrarie, per saperle santificare, per sapere allenarci nella lotta contro il male. Concepire e volere un cristianesimo comodo, un cristianesimo flaccido è volere una cosa impossibile.
Il cristianesimo è essenzialmente una sequela di Gesù e seguire Gesù è seguire l’uomo dei dolori, è prendere quindi le nostre difficoltà con umiltà, con fede, con serenità e vincere le difficoltà quotidiane della lotta. La lotta per essere buoni, la lotta per dominare le passioni, la lotta per superare tutte le ansietà, le preoccupazioni, le difficoltà di ogni genere.
Sì, dobbiamo proprio dalla Messa prendere il coraggio, prendere il coraggio perché il Signore ci vuole vicino a Lui.
E cos’è la Messa se non la rinnovazione del Calvario? Cos’è la Messa se non Cristo che torna in croce, che torna ad offrire la sua croce? Cos’è la Messa? Non è un incontro fuori dalla croce!
La nostra assemblea ogni volta deve prendere dalla Messa il coraggio della lotta, il coraggio del superamento, il coraggio per essere schietti e forti nella professione del nostro credo. Quindi, non un discorso triste ma un discorso reale, perché il Signore ci ha ottenuto di sapere soffrire, di saper lottare, di saper vincere. E mentre Lui ha avuto l’angoscia, ha ottenuto per noi la serenità, ha ottenuto per noi la soavità di fare il nostro dovere.
Facciamo questo nostro dovere con perseveranza, sentendo che proprio questa vita, gli anni di questa vita sono gli anni del seminare: “Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglie; ma chi semina abbondantemente, abbondantemente raccoglie” (cfr 2 Cor 9,6).
Seminiamo il bene, seguiamo Gesù, vinciamo le nostre passioni, vinciamo la nostra pigrizia, vinciamo le difficoltà che ci frappone il demonio.
Viviamo con intensità la nostra vita di figli di Dio, di seguaci di Gesù.