Omelia XXIII Domenica del Tempo Ordinario, 8-09-2019, don Benedetto
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.>>
Le parole di Gesù sono come una spada a due tagli che penetra fino al midollo del mio essere uomo (Eb 4, 12), mandando all’aria tutte le mie sicurezze più consolidate, illuminando con chiarezza la verità già inscritta nel mio cuore. Questo si verifica perché Gesù è sostanza del mio essere uomo secondo Dio, la traduzione pratica di ciò che nell’intimo desidero, la luce vera per la mia esistenza.
‘Di nuovo Gesù parlò loro: ‘Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita’’ (Gv 8, 12).
La gente fa ressa attorno a Gesù, non possiamo conoscere tutti i motivi di tanta partecipazione, ci fermiamo a quello che dice san Luca: ‘Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità’. (Lc 4,32). Non è l’autorità di un comandante teso e concitato per la battaglia imminente, è l’autorevolezza di chi ha parole che toccano le corde più sensibili dell’animo umano, le quali si ravvivano all’ascolto.
Gesù non dice ‘non voglio che tu sia mio discepolo’, ma dice che non possiamo essere suoi discepoli, cioè non riusciamo ad esserlo, se non gli diamo il primo posto nella nostra vita: nei nostri pensieri, nelle nostre scelte, nei nostri progetti. Non dice ‘se vuoi amare me, odia e disprezza i tuoi cari’, ma ‘accogli i tuoi famigliari e la tua stessa vita come un suo dono gratuito per imparare ad amare Me’. Anche la croce che porti è la mia croce che io porto con te, perché tu ne riceva vita come Io l’ho ricevuta dal Padre.
Il Signore ci fa cambiare l’orizzonte del nostro essere e del nostro agire, dove Lui è il protagonista e noi siamo i suoi figli, vigilanti e in attesa dell’amore e della pace che il nostro cuore cerca. Il di più di Gesù è il salto della fede, che non è un salto nel buio: è il trampolino verso la gioia più vera.