La missione dell’amore. Omelia di don Pietro Margini

Omelia della XV domenica del Tempo Ordinario. Accompagnati  dalle parole di don Pietro Margini (1917-1990), per vivere con frutto questo tempo prezioso.

Am 7, 12-15; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13

Gesù manda i suoi apostoli, li manda a fare che cosa? 

Il guarire gli ammalati, il cacciare i demoni è solo un segno, come la presentazione di una garanzia. Che cosa devono dire? Gesù sottolineerà molto questa missione, quando dirà: “Come il Padre ha mandato me così anch’io mando voi” (Gv 20, 21).

Questa missione è la missione dell’amore, è la missione della salvezza, è annunciare agli uomini che la vita ha un senso, che neppure la morte è un’angoscia senza speranza. Dovranno annunciare che Dio ama gli uomini e per loro ha fatto e disegnato i cieli, per loro ha fatto la ricchezza della terra, per loro ha fatto una ricchezza ancora più grande quando, attraverso la morte, entreranno nella casa del Padre. 

Ecco allora la potente sintesi, fatta da san Paolo, che abbiamo letto nella seconda Lettura, quando l’apostolo ci dice che “fin dall’eternità Dio ha pensato a noi” (2 Tm 1, 9). Non siamo fuscelli in balia di un vento, non siamo fragili esseri così nel gioco delle potenze cosmiche. Dio ha pensato a noi, anzi in questo suo pensiero c’è stata una scelta, la scelta della carità, la scelta per cui Dio vuole che gli uomini entrino nella sua famiglia, diventino suoi figli. “Ci ha scelti per essere santi ed immacolati al suo cospetto, predestinandoci ad essere suoi figli” (Ef 1, 4). E tutto questo attraverso una porta, la porta della sofferenza, la porta del Calvario. Cristo ci ha redenti, ci ha dato la ricchezza della grazia, ci ha dato il senso pieno di quello che facciamo e di quello che domani potremo compiere. “Egli mediante il suo sangue ci ha ottenuto la remissione dei peccati” (Ef 1,7). È il primo punto: entriamo nel piano di Dio nella conversione dai nostri peccati. Più un uomo vince a se stesso, più un uomo obbedisce a Dio, più quest’uomo diventa ricco di bene, la sua personalità acquista le sue vere dimensioni; più un uomo abbandona il male più è colmo della ricchezza di Dio e, ancora, l’uomo entra nell’ordine di Dio. Il disegno di Dio è un disegno di ordine meraviglioso, il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, cioè tutte le cose che tornano, vinto il peccato e vinta la morte,  tornano nell’ordine, cioè tornano nella precisa posizione che ha voluto Dio per loro. Ecco quindi il finale: “in lui siamo stati fatti eredi” (Ef 1, 11). Cosa vuol dire? Vuol dire che in lui noi aspettiamo una vita, che non è neanche paragonabile alla vita presente; la vita di adesso, pur grande e meravigliosa nella fede, la vita di adesso ricca di tutte le opere buone che compie in noi lo Spirito, è una vita di passaggio. La vera vita è la vita della gloria, quando saremo veramente la “lode della sua gloria”; quando veramente la nostra vita sarà piena. 

Ecco allora tre cose devono restare a frutto di questa nostra riflessione: la prima è la vittoria nostra suoi nostri difetti, sui nostri peccati, è una vittoria che condiziona tutto il resto, non ci miglioriamo a parole, ci miglioriamo a fatti. Primo nostro proposito deve essere allora quello di insistere nel nostro miglioramento, nel superamento del peccato. Secondo: noi dobbiamo essere molto lieti di realizzarci non solo come creature umane ma come figli di Dio, ci chiederemo se la nostra vita è veramente costruttiva come deve essere quella dei figli di Dio. E, terzo, noi vorremo di fronte alle difficoltà della vita, di fronte al dolore, di fronte alle cose che ci umiliano, ricordare la parola della speranza: il Signore è con noi, tutto verrà superato, la vita è degna perché noi siamo nella grazia di Dio, la vita è degna perché prepara una incommensurabile gloria. Saranno questi i nostri propositi, ricordando che non solo dobbiamo costruire per noi, ma questo lo dobbiamo poi portare agli altri, così come l’han portato i dodici.

 

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