Omelia IV Domenica di Pasqua 2019 don Benedetto Usai

Omelia 4 Domenica di Pasqua Anno C

“Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore”.

Cosa possiamo fare quando siamo stanchi, ci sentiamo smarriti, ogni passo che proviamo a compiere ci lascia insoddisfatti? Si presentano due opzioni: andiamo avanti giustificando la situazione e facendo finta che non sia così, oppure ci fermiamo, diamo un nome alla nostra inquietudine e proviamo a rimettere ordine alla nostra vita. Da dove ripartiamo? Da chi ci ama di più, da chi ha il potere di riportare la gioia e di aprici di nuovo ad una speranza che passa anche attraverso le nostre tribolazioni.

“Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello… E uno degli anziani disse: ‘Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello’ ”.

La più grande tribolazione che ci può colpire fino a tramortirci è non avere nessuno che ci precede nel nostro cammino, indicando con sicurezza i passi da ripetere per raggiungere la meta. Abbiamo bisogno di un pastore, che ci conosca bene e sappia chiamarci per nome, riconoscendo nel tono della sua voce un cuore accogliente e prossimo. “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Ogni volta che chi ci conosce pronuncia il nostro nome, siamo invasi da grande fiducia, perché è come se fossimo scelti tutte le volte. Possiamo seguire solo chi ci sceglie, chi ripone su di noi il suo sguardo amorevole, senza mai scadere in un giudizio spietato, come spesso noi abbiamo verso noi stessi. Sappiamo di non essere perfetti, ma non per questo non siamo cercati, anzi, proprio perché siamo bisognosi, Dio Padre si rivolge a noi in confidenza. Gesù ci sceglie perché ci ama, ci sa guardare già nel nostro futuro, non solo per le qualità che Lui ci ha donato e che colorano la nostra persona e quella di chi ci incontra, ma per il dono che siamo per Lui e possiamo diventare per la maggior gloria del Padre e per il bene di tanti.

“Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”. (2 Cor 4,7-10).

Per chi siamo un dono? Solo per chi ha a cuore la nostra gioia e sa indicarcela con sicurezza. Sono tante le cosiddette gioie della vita, ma una sola dà corpo e spessore a tutte quelle che appaiono più grandi, di cui tutti siamo in cerca quasi ansimando: è la Vita Eterna. È la Vita, non solo quella fisica, che ha un suo percorso definito nel tempo, ma quella che dà significato al nostro essere creature ed è capace di andare al di là del tempo. “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno”. Nessuno andrà perduto, perché la morte non ha vinto, Gesù è più forte di ogni nostra morte.

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