Omelia II Domenica Tempo Ordinario
Il punto centrale della nostra vita
1 Sam 3, 3-10. 19; 1 Cor 6, 13-15. 17-20; Gv 1, 35-42
La Liturgia oggi ci ricorda che la nostra vocazione è il punto centrale della nostra vita. Noi siamo stati chiamati dal Signore, chiamati, non dispersi in una folla anonima, chiamati per nome, chiamati come Samuele, chiamati come Andrea, come Giovanni, come Simon Pietro. Al centro della nostra vita resta allora questo incontro personale con Cristo, questo incontro dal quale dipende tutta la nostra esistenza terrena e tutta la nostra felicità eterna.
Ci ha chiamati. E a che cosa ci ha chiamati? Ci ha chiamati ad andare dove abita Lui: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava”. La vocazione nostra si è prima di tutto verificata nel Battesimo, quando siamo stati, per la misericordia di Dio, trasformati in figli del Padre celeste, in templi dello Spirito Santo, in membra vive di Cristo.
E poi c’è stato un successivo incontro, “il giorno dopo” dice il testo del Vangelo. Il nostro “giorno dopo” è stato quando sull’indicazione di qualcuno, che nella provvidenza di Dio è stato strumento e ci ha detto: “Ecco l’agnello di Dio”, si è verificata la chiamata ad una vita cristiana piena, a quella che chiamiamo “la santità”. È la chiamata definitiva e ognuno di noi deve sempre meditare su questa vocazione, che allora è vocazione di amore, è vocazione di forza, è vocazione che richiede a noi tanta generosità e tanto spirito di fede, perché non succeda che, dopo tante grazie e tanto incontro, la nostra vita si dissolva nel peccato o nella mediocrità colpevole. Non succeda che chiamiamo Gesù “il Redentore” e non ci lasciamo redimere, lo chiamiamo “la Luce” e non ci lasciamo illuminare, lo chiamiamo “la Vita” e desideriamo altre cose, che non sono Lui e non sono compatibili con Lui.
E poi c’è stato un successivo incontro, “il giorno dopo” dice il testo del Vangelo. Il nostro “giorno dopo” è stato quando sull’indicazione di qualcuno, che nella provvidenza di Dio è stato strumento e ci ha detto: “Ecco l’agnello di Dio”, si è verificata la chiamata ad una vita cristiana piena, a quella che chiamiamo “la santità”. È la chiamata definitiva e ognuno di noi deve sempre meditare su questa vocazione, che allora è vocazione di amore, è vocazione di forza, è vocazione che richiede a noi tanta generosità e tanto spirito di fede
In fondo questa nostra vocazione non è una vocazione che esiga cose terribili: esige un’onestà fondamentale, una coerenza minima. Noi dobbiamo essere ben persuasi, che il Signore non ci indica la sua casa in una montagna inaccessibile. “Venite e vedrete”. E andarono con lui. Ecco, il Signore, che ci dà la vocazione, si fa nostro compagno di cammino o, come dice il Salmo, ci dà la sua mano destra, perché sa bene che siamo dei bambini molto deboli, che siamo dei bambini fiacchi e indolenti e siamo molte volte sventati e tutte le cose ci attraggono. E allora lui ci dà la sua mano destra e ci accompagna.
La nostra essenziale vocazione è perciò non nell’arduo, non nell’impossibile, perché c’è Lui e la nostra forza sta a essere vicino a Lui, e la nostra forza è quella di lasciarci condurre, perché la sua strada è strada di amore e non ci conduce se non nella pace e nella soavità.
Dobbiamo dunque ribadire in questa domenica la nostra vocazione battesimale, che consiste nel fare come ha fatto Gesù la volontà di Dio: “Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà. Tu mi hai aperto gli orecchi. Allora io ho detto: “Io vengo”. Vocazione dunque di gioia, vocazione però coerente e forte. Non procedere a singhiozzo, non fare dei propositi che il giorno dopo vengono spezzati, credere nell’armonia della nostra vita, quell’ armonia che ricorda san Paolo nella seconda Lettura: l’armonia del corpo nostro e della nostra anima, del nostro corpo che è anche lui tempio dello Spirito, di noi che, comprati a caro prezzo, dobbiamo glorificare Dio in tutto, anche nel nostro corpo.