Memoria della B.V. di Lourdes
Primo anniversario della morte di Vittoria Mescoli
Montericco, 11 febbraio 2019
Gen 1,1-19 Sal 103 Mc 6,53-56
Nel primo racconto della creazione riconosciamo oggi una dimensione permanente dell’opera di Dio che trae dal nulla cose e persone. Con la Sua parola dice ed esse esistono.
È Lui a chiamarne alcune per nome e le separa, ma vuole che sia l’uomo a dare il nome alla donna: la chiama Eva, perché è la madre di tutti i viventi. I cristiani orientali la considerano santa.
È Dio che dona la vita ad ogni cosa che non c’era. Ma l’opera della creazione consiste nel separare le acque dalle acque, la luce del giorno da quella della notte. Le acque sono le medesime: quelle di sotto e quelle di sopra. La scienza lo comprende, ma la fede ci testimonia che questa separazione è opera di Dio. Ogni separazione dice l’anelito alla unità e congiunzione. Così per la luce. Quella forte del giorno brilla di luce propria (è la luce di Dio), mentre quella della luna che rischiara la notte riflette la luce del sole. Per questo i mistici paragonano Maria alla luna. In questo stesso senso ricordo con commozione le parole del vescovo che ha parlato della mamma come una donna luminosa. Sono tanti che hanno riconosciuto in quelle parole il senso della loro stessa esperienza.
Separando le cose del cielo e quelle della terra, si apre una ferita benefica perché unisce il cielo e la terra in una reciproca attrazione. È quanto ho vissuto in quest’anno, riconoscendo l’opera di Dio che ci vuole legati ad una prospettiva eterna quanto la sua vita. Tutto è destinato a scomparire con il tempo se non è oggetto di questa separazione che unisce cielo e terra.
Il principio della nostra vita è in Dio, ma se non lasciamo che egli operi questa distanza, tutto cade nella assenza di Lui. La natura creata e l’uomo sperimentano questa aspirazione a ritrovarsi pienamente nell’opera di Dio. Ringrazio perché mai in questi mesi speciali è mancata la testimonianza del bene legato a questa tensione: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”. (Rm 8,19)
Ogni uomo, fin dall’inizio, nasce dalla collaborazione amante di Dio e dei suoi figli che si uniscono in Lui. La donna, diversamente dall’uomo, ha un posto speciale, poiché è la madre di tutti i viventi. Ognuno di noi ne fa esperienza fin dal principio, ma questa diventa ancor più chiara e sensibile proprio mentre la madre si unisce per sempre a Dio. È in Lui che siamo chiamati a realizzare in pienezza, nella libertà dell’amore, la vera unità. Ed è perciò che Maria Santissima compie quanto è iniziato con Eva. La prima donna è stata segnata dal peccato: tutti sappiamo che proprio questo è ciò che appartiene al tempo ed è destinato ad essere cancellato o a divenire eterno rifiuto. Perciò comprendiamo il motivo della sofferenza. Non vorremmo averlo compiuto, chiediamo che venga dimenticato o meglio superato nel perdono. Così Eva ha accolto con umiltà la misera condizione di separazione e ne ha sperimentato la pena. Perciò è venerata come santa.
Le nostre mamme che sono in cielo collaborano con il Signore a generare i figli legandoli ogni giorno di più al paradiso, separato e unito a noi nella semplice linea dell’orizzonte. In essa Gesù, figlio di Dio e dell’uomo ci lega per sempre in una profonda ed eterna gioia. È ciò che contempliamo nel tabernacolo presente all’Ecce Mater. E Maria, madre della Chiesa, riflette senza macchia di peccato la luce che ogni mamma ha donato e dona alla nostra vita. Lei pure, è appartenuta alla terra ed è apparsa come Immacolata ai suoi piccoli figli. Ricordiamolo ancora: colei che è apparsa ai pastorelli di Lourdes è la stessa che ha vissuto a Nazareth molti secoli fa. Di questa manifestazione facciamo memoria, contemplandola nella sua perenne giovinezza, intenta ad educare i suoi figli per guarirli dall’ignoranza e dimenticanza, dalla debolezza del corpo e dello spirito, causa e frutto del peccato.
Maria, assieme alle nostre mamme, ci introduce ogni giorno con soave e discreta presenza, nel mistero di Dio: ci dona l’acqua della vita nella luce della fede. Le acque sopra i cieli e la luce nelle tenebre, irrigano e rischiarano la nostra sete di comunione con Dio e tra noi.
Ed è così che il Vangelo di questo giorno liturgico ci consola. Lo riascoltiamo: “In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.”
È il simbolo dell’opera di Dio: il mare è segno della morte. Da bambino mi appariva chiaro che la morte era l’esperienza di chi, preso il largo si trovava separato da noi. È facile associare il pensiero della morte all’inoltrarsi in acque troppo profonde dove l’uomo non può vivere. Gesù compie questa traversata per noi e approda con i suoi a Gennèsaret, il “giardino del principe”, che dà il nome al lago. Con Gesù, la morte prende il nome della vita. Approda dunque con i suoi discepoli. Per questo non abbiamo paura di nominare la morte: molti oggi, anche credenti, preferiscono altre espressioni quasi volessero rimuoverne il pensiero. Per noi la morte è già vinta. Man mano che cresciamo nella fede, quel mare non ci fa più paura.
“Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.”
È come se questa scena disegnasse con chiarezza ciò che avviene per noi al di là del confine del nostro sguardo carnale. Chi riconosce subito Gesù accorre e gli porta tutti i malati sulle barelle.
“E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.”. È lo spettacolo che ci colpisce a Lourdes. Maria è lì, con Lui. Quanti lo toccano sono riempiti di pace. È il miracolo che continua. La condizione di debolezza per il nostro peccato e quello dell’umanità lascia all’azione di Dio il compito di riportare la gioia ad ogni cuore, che diventa leggero e capace di camminare con le sue gambe. Anni fa la grotta era totalmente rivestita di stampelle ed ex voto. Forse per una mutata sensibilità, forse perché non c’era più posto, quella grotta è stata sgomberata. Ma sono innumerevoli le persone che in questo luogo o in questo giorno sono state liberate da tutto ciò che grava sui figli di Dio.
Il cielo e la terra, dunque. In questa serata è avvenuta anche la traversata della mamma sulla barca con Gesù, in dolce compagnia della Madonna. Da allora si sono susseguiti giorni molto intensi, belli e difficili. Non sono mancati i segni di presenza della mamma, anzitutto al papà, ai suoi figli e alla nostra famiglia. La nostra unità è stata la sua opera ed ora è certamente la sua gioia. Desideriamo onorarla così, ringraziando tutti voi che ci avete costantemente parlato di una maternità e fraternità allargata, che avete sperimentato e condiviso con noi. Accogliendo con fede le prove che il Signore ci dona, riconosciamo che basta toccare il lembo del suo mantello per essere salvati. Proprio questa esperienza ci assicura la gioia che il mondo, con tutte le sue promesse, da solo non può dare.
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!” (Mt 10,8) Questo è il tema che papa Francesco ha indicato per la questa giornata. Tanto abbiamo ricevuto e tanto possiamo offrire, con vera generosità.
Anzitutto rivolgiamo la nostra preghiera di questa sera a Maria in ringraziamento e per il suffragio della mamma: la Chiesa sempre ci invita ad accompagnare i nostri cari con la costante ed umile intercessione della pietà e della penitenza perché siano liberati da tutto ciò che passa.
E preghiamo, offrendo la nostra vicinanza e le nostre lacrime di affetto anche per i suoi amici di comunità, per i sacerdoti che ha tanto amato, per quanti le hanno voluto bene, particolarmente per tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Ci uniamo così all’opera di Maria e delle nostre mamme insieme a lei.
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