Omelia XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 15 Novembre 2020
Nella celebre parabola dei talenti, Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca.
Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato.
Con questa parabola, Gesù ci vuole insegnare ad usare bene i doni che abbiamo da Lui ricevuto. Egli chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere: mostrare la bellezza del suo Volto. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza.
Il Signore non fa mancare a nessuno il dono della sua carità, che è’ il talento più prezioso, cioè il dono di Se’. San Gregorio Magno scrive: “È perciò necessario che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere…se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre”.(Omelie sui Vangeli 9,6)