Novena di Pentecoste – don Pietro Margini

novena pentecoste

At 18, 9-18; Gv 16, 20-23

Iniziamo la Novena di Pentecoste cercando sempre di più di conoscere lo Spirito e di apprezzare i suoi doni. Stasera ci è presentato un dono fondamentale, un dono che ogni uomo agogna, desidera: la gioia, la pace. Ed è proprio lo Spirito Santo la sorgente della gioia, perché è l’Amore infinito di Dio che si china su di noi e ha pietà di noi e ha doni sempre più grandi per l’anima fedele. Dobbiamo capire bene che la gioia del cristiano è una gioia che viene dall’alto, che non può venire dalle cose di quaggiù, che non può venire da quelle sorgenti che il mondo sollecita continuamente. È una gioia sua, è una gioia che è una partecipazione di quella infinita letizia che ci riserva nella vita eterna.

Che cosa vuol dire che lo Spirito Santo è la sorgente di una vera gioia? Perché è lo Spirito che ci illumina, è lo Spirito che ci fortifica, è lo Spirito che ci fa capire i veri e grandi valori della vita. È lo Spirito che riposa nell’anima in grazia e non sta inattivo, anzi è sempre nella grande opera della creazione. Vuol fare in noi il regno di Dio. Gioia allora l’ha chi acconsente a quest’opera, chi sa che tutte le gioie di questo mondo messe insieme non sono paragonabili a questa gioia di figliolanza, è lo Spirito che ci fa figli di Dio, a questa gioia di essere tabernacoli, di essere con lui, a questa gioia che nasce dalla considerazione che tutto quello che facciamo è elevato, consacrato da lui, reso veramente capace di merito per l’eternità. La gioia nasce dal saperci consolati, dal saperci protetti, che tutto confluisce al nostro bene, che niente il Signore permette che non sia per il nostro maggior bene. E se toglie una gioia è per darne un’altra più grande e più duratura. Dobbiamo perciò proporre questo nostro consenso totale alla sua opera, cioè alla volontà di Dio e dobbiamo promettere di vincere le nostre voglie irragionevoli, i nostri capricci disordinati e assurdi, le nostre voglie che sempre tentano di rapire il nostro cuore e di renderlo insoddisfatto e particolarmente ansioso di cose che sono veramente infime o pericolose. Desideriamo Dio, desideriamo la sua giustizia, desideriamo la sua gloria, poniamoci sempre totalmente fedeli e totalmente disposti e il nostro Amen diventerà proprio la sorgente del nostro Alleluia.

At 1, 1-11; Ef 1, 17-23; Mc 16, 15-20

“Siede alla destra del Padre”. In queste parole molto semplici è segnato tutto il suo trionfo e tutto il suo potere: alla destra del Padre nella piena gloria, nella piena esaltazione della sua umanità. Oh, quanta consolazione ci dà questo pensiero! Dicevamo ieri sera che il primo frutto dello Spirito è la gioia. Sì! Una grande gioia e una prorompente esaltazione di chi ci ha tanto amato da essere lacerato in tutto il corpo, da essere immerso in tutti i dolori. Se diamo uno sguardo al Crocefisso, se lo pensiamo inchiodato a due pali in un tormento terribile, tutto il suo corpo era in tormento. E adesso lo vediamo: “Siede alla destra del Padre”. È proprio lui! L’Onnipotente! Lui che ha sofferto per noi. Lui che giorno per giorno ci ha cercati. Lui, il buon Pastore, che va in cerca della pecora smarrita e se la carica sulle spalle. Quale motivo di consolazione e di sicurezza! Se è lui l’amico fedele, il Signore onnipotente, quanto ci dobbiamo aspettare! Perché, ci assicura la Scrittura, che è in Paradiso per noi. Per noi! lo aveva detto lui stesso: “Per prepararci un posto vicino a lui” (cfr. Gv 14, 2). Siano pur gravi le nostre afflizioni, sia pur pesante la lotta contro il male, sia pur terribile il nostro quotidiano travaglio: lui è là ed è per noi. È lui onnipotente e ci ama, ci ama con una tenerezza meravigliosa, con una premura delicatissima. Ecco perché vogliamo ricevere il suo dono e il dono suo è lo Spirito Santo. Vogliamo ricevere questo dono per essere fedeli, per essere sereni, per essere sicuri. Ecco perché ci dobbiamo preparare, perché siede alla destra del Padre, cioè è in quella posizione che non poteva avere migliore, per noi, sempre per noi. Ecco allora che noi vogliamo purificare il nostro cuore, diventare più attenti, più generosi, più raccolti, perché il giorno della Pentecoste possiamo essere in quella disposizione ottima, che dà veramente ricchezza, dà pace, dà vera gioia.

At 15,1-2.22-29; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29

La Liturgia oggi ci prepara alle due grandi feste che concluderanno il tempo pasquale: parla dell’Ascensione, la partenza di Gesù, parla della Pentecoste, la venuta dello Spirito Santo.

È necessario che, se la nostra anima vuole approfittare di quelle grazie, vuole avere quelle comunicazioni, si disponga.

La preparazione all’Ascensione è una preparazione di quella virtù che, con un termine unico, chiamiamo “spirito di povertà cristiana” e comprende molte virtù, comprende una visione di fede di tutte le cose di questo mondo, comprende un significato ben preciso della nostra vita: è pellegrinaggio, è cammino; comprende un distacco da tutte le cose di questo mondo, un distacco che è necessario perché, secondo la Parola del Signore, noi non possiamo servire a due padroni. Chi è eccessivamente preoccupato, ansioso, tutto teso alle cose di questo mondo certamente non può capire il significato di una vita cristiana tesa all’eternità. Le cose di questo mondo le dobbiamo fare, sono parte del nostro dovere, ma il Signore ci ha proprio vietata la preoccupazione, che vuol dire eccessiva ansietà, che vuol dire scarsa fiducia nella Provvidenza, che vuol dire un tormento del giorno che viene. “Non preoccupatevi”, dice sempre il Signore nel discorso della montagna, “non preoccupatevi del domani: basta a ciascun giorno il proprio affanno” (cfr. Mt 7, 34), “Non siate come i pagani”. Ecco la distinzione posta con chiarezza dal Signore: “Non siate come i pagani”, cioè coloro che hanno solo la speranza di queste cose terrene, l’uomo troppo immerso nei suoi affari e non vede nulla, non ha tempo per le cose della fede; la donna troppo preoccupata delle cose della famiglia, della sua casa e non ha mai tempo per la preghiera e le cose dello spirito.

Preoccupazione, che perciò fa mettere in seconda linea le cose che dovrebbero andare prima di tutto, perché passano tutte le cose, ciò che resta è quello che abbiamo fatto per il buon Dio.

Prepararci all’Ascensione vuol dire allora prepararci a vedere Gesù là in alto nel Paradiso, che ci chiama e ci indica che dov’è lui, dobbiamo essere anche noi.

Questo senso della vita cristiana, che è così sottolineato dalla Liturgia di questi giorni, cerchiamo di metterlo bene nell’animo nostro, di coltivarlo, di accrescerlo, perché altrimenti molte cose buone sono soffocate da quelle spine, che Gesù nella parabola del seme dice proprio essere le ricchezze, le preoccupazioni. E per ricchezze non si intendono cose smodate, si intende proprio questo affanno eccessivo, questa ansia che toglie le ali all’anima.

La seconda cosa, che dice la Liturgia, è la preparazione alla Pentecoste, l’attesa dello Spirito Santo, che è cominciato a scendere in quel giorno della Pentecoste e che continua a scendere nella Chiesa, che, lo Spirito Santo, è l’anima della Chiesa, che è lo Spirito di tutti i figli di Dio. Ed è lui che ci deve guidare, è lui che ci deve indirizzare, è lui che ci deve consacrare, è lui che ci deve insegnare a pregare, è lui che deve dare veramente alla nostra anima l’atteggiamento che piace al Padre.

Una preparazione che dice allora raccoglimento, preghiera, riflessione, impegno a tenere l’anima nostra adatta, perché possa veramente essere non più guidata dal proprio spirito, cioè dal proprio egoismo, dal proprio sentimento, dal proprio tornaconto, ma sia veramente guidata dallo Spirito di Dio, dal mirabile Spirito di Dio, che è per noi e che noi continuamente dobbiamo invocare.

Prepararci alla Pentecoste è allora porci in quella disposizione essenziale, che è disposizione di attesa, riconoscimento che da Dio viene la salvezza, che non viene da noi, né dalle cose di questo mondo.

At 19, 1-8; Gv 16, 29-31

“Io non sono solo, perché il Padre è con me” (cfr. Gv 16, 32).

Gesù parlava della confidenza, della sicurezza, della gioia che aveva nel fare la volontà del Padre, per cui di fronte all’angoscia della passione procedeva così con serenità. Sappiamo bene che il Signore ammoniva i suoi discepoli che contavano su una falsa sicurezza. La sicurezza anche per i discepoli, per noi, poteva venire solo dall’Amore misericordioso del Padre. Dal Padre viene ogni bene: viene l’Amore che è diffuso nel nostro cuore, l’Amore che noi chiamiamo Spirito Santo, perché ci occupa, perché ci trasforma, perché ci dà la vera sicurezza basata non su motivi umani, ma basata in un atto profondo di fede. Abbiamo bisogno di lasciarci conquistare dallo Spirito Santo, perché è Gesù che ce l’ha meritato, ce l’ha meritato con tutto il suo sangue e tutta la sua passione. Ci ha meritato di poter essere guidati e sta a noi corrispondere, perché il dono c’è, il dono è grandissimo, il dono è per tutti, ma molti purtroppo si lasciano prendere da uno spirito troppo umano, dal loro spirito. Altri si lasciano prendere dallo spirito del mondo, che è contrario a Gesù. Bisogna che noi viviamo di Spirito Santo, cioè che il soffio venga dall’alto, venga dall’alto e ci dia chiarezza di idee, ci dia serenità di spirito, ci dia la forza dell’azione. Vivere di Spirito Santo vuol dire dipendere da lui, restare in comunicazione con lui, fare della nostra preghiera un ascolto attento e continuo. Bisogna che noi cioè abbiamo l’insistenza dei motivi di fede e ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio, anche dove la nostra miseria umana ripugnerebbe, anche là dove ci aspetta il sacrificio o l’incomprensione degli altri; poi perché dobbiamo poter ripetere le parole di Gesù: “Io non solo”. Abbiamo con noi lo Spirito. Un cristiano retto e sincero è un cristiano che è forte per questa sicurezza, la sicurezza di avere con sé il Signore, sempre. E questa nostra meditazione la dobbiamo sottolineare soprattutto in questo tempo, in cui più intensa deve essere la nostra supplica, più forte deve essere la nostra invocazione: “Manda il tuo Spirito!” Perché avvenga questa vita nuova, perché agiamo sempre secondo la volontà del Padre, perché non ci lasciamo mai sgomentare o perdere di coraggio nei nostri doveri. “Dio è con noi”, dice san Paolo, “e chi può essere contro di noi?” (cfr. Rm 8, 31).

At 20, 17-27; Gv 17, 1-11

Gesù chiude la sua vita portata tutta alla glorificazione del Padre e ne dà testimonianza ai suoi apostoli, come sulla croce dirà: “Tutto è compiuto” (cfr. Gv 19, 30). Ecco, l’umanità di Gesù è stata guidata sempre dallo Spirito Santo ed è proprio anche per noi il dono di questa guida attenta e meravigliosa, di questa guida che vuole che la nostra vita non si sciupi, non si impoverisca, non s’accontenti di cose superficiali e umane. Il cristiano è chiamato a rinnovare Gesù Cristo, il Signore ha voluto che ogni cristiano rinnovi la sua vita, rinnovi il suo amore. Ognuno di noi è chiamato a vivere a gloria di Dio, lo Spirito Santo insiste in noi e la sua luce e la sua forza sono per questo. Comprendiamo bene cosa vuol dire vivere a gloria di Dio: vuol dire che ogni cristiano non può accontentarsi di finalizzare in altre cose, non può accontentarsi di cose mondane. Un figlio di Dio deve vivere per Iddio, il Dio infinito, il Dio meravigliosamente grande, il Dio meravigliosamente bello e meravigliosamente santo. Un cristiano è chiamato a vivere per lui a somiglianza di Gesù. Il cristiano non può avere una finalità inferiore a Dio, una finalità, ancora meno, che prescinda da Dio. Tutto deve essere gloria, cioè l’uomo è così grande che solo Dio può essere l’oggetto del suo amore, l’offerta del suo dolore, del suo lavoro. L’uomo è fatto per Iddio.

In sostanza come Gesù non ha fatto che vivere per amore e per la gloria del Padre, tale deve essere l’intento di ognuno di noi. Possiamo vivere solo per lui, se viviamo per lui tutto diventa grande, perché tutto è offerto alla sua gloria, tutto diventa degno. Non viviamo né per gli altri uomini, né per raggiungere cose di questa terra. Noi dobbiamo vivere di Dio, dobbiamo vivere come Gesù, dobbiamo intensificare il nostro cammino che deve essere un cammino generoso, pronto e forte. Domandiamo allo Spirito Santo che ci ponga nel cuore questa grande aspirazione: vivere solo per la gloria di Dio.

At 20, 28-38; Gv 17, 11-19

Preghiamo lo Spirito Santo che ci faccia capire con intelligenza di amore la parola di Gesù. Abbiamo ascoltato: nella sua preghiera così fervida e così ricca d’amore domanda che noi siamo “consacrati nella verità” (cfr. Gv 17, 17). Consacrare è prendere via una cosa da tutti gli usi profani o indegni. Noi dobbiamo essere completamente a disposizione dello Spirito che è Spirito di luce, che ci comunica la Parola del Padre. Oh, la Parola! Quella Parola che ha creato i cieli è la stessa Parola che ci deve purificare e costruire. Essere nella verità vuol dire far nostra la sua Parola, renderla padrona dell’anima nostra perché, come insegna la Scrittura, “la parola penetra e vuole andare fino all’intimo della nostra anima” (cfr. Eb 4, 12). Le nostre idee devono venire dall’alto, le nostre convinzioni, quei principi sui quali edificare tutta la nostra esistenza e tutta la nostra azione. “La sua parola è verità” vuol dire che, se allora non ci basiamo sulla sua Parola e non agiamo nella sua Parola, siamo falsi, siamo bugiardi, siamo coloro che vogliono unire delle cose che sono opposte, che dicono di credere, ma agiscono secondo il mondo e secondo le cose del mondo e secondo i propri comodi e secondo il proprio egoismo e secondo la sensualità. Vogliamo allora guardare dentro di noi, per vedere in fondo quella che è la coerenza che ci muove, una coerenza che ci deve dare prima di tutto il valore delle cose. Quando invece preghiamo perdiamo tempo e preferiamo il nostro comodo, quando di fronte a delle esigenze rifiutiamo lo spirito di sacrificio e vogliamo fare una virtù ridotta che diventa un difetto, quando di fronte alle opere di carità cerchiamo delle scuse per saltarci fuori e stare tranquilli in coscienza, noi non agiamo secondo la verità, non agiamo che cercando qualche cosa che ci piace, ma che non piace al Signore. L’impegno di vivere nella suprema coerenza vuol dire accogliere la Parola di Dio e meditarla, renderla l’anima della nostra anima, renderla il motore delle nostre azioni. Amare la Parola di Dio e metterla davanti a tutto, tutto deve essere di Dio, e la sua Parola ci guida e la sua Parola è fortezza. Chiediamo questa grazia. Avete sentito che il Signore prega perché siamo custoditi dal maligno, perché non dobbiamo mai essere del mondo come lui non è del mondo: questa liberazione dalla tentazione della menzogna, dalla tentazione dell’incoerenza, dalla tentazione della stanchezza, dalla tentazione del facile ripiegamento su di noi stessi, della facile nostra stanchezza spirituale. Ecco, chiediamo questa grazia che è grazia di fortezza, perché amiamo la verità e la meditiamo, la nostra meditazione, e la rendiamo l’anima di tutta la nostre giornate, l’anima che ci permette di servire Dio con vero amore.

At 22, 30. 23, 6-11; Gv 17, 20-26

“Prego anche per quelli che per la loro parola crederanno in me” (cfr. Gv 17, 20).

Queste parole del Signore ci sono una sicurezza e ci sono una gioia: essere nella preghiera del Signore, quella preghiera meravigliosa sempre accolta dal Padre, quella preghiera che chiede per noi il vero bene, tutto il bene, anche quel bene che non sappiamo vedere, che non sappiamo accettare. Noi nelle Pentecoste celebriamo la venuta dello Spirito Santo, celebriamo con gioia questo grande, meraviglioso frutto della preghiera di Gesù. È perché lui ha pregato che abbiamo l’Amore dall’alto, che abbiamo la Luce dall’alto. È perché lui ha pregato che anche noi abbiamo la consolazione meravigliosa di essere i templi dello Spirito Santo, di potere glorificare e onorare Dio anche col nostro corpo: “Lo Spirito Santo che io manderò”, (cfr. Gv 15, 26). Ecco, la posizione più giusta, la posizione che deve essere cercata e voluta da noi, che lo Spirito Santo porti alla nostra anima il vero distacco dalle cose di questo mondo e l’entusiasmo per le cose celesti. Lo Spirito Santo scende in un cuore sgombro, in un cuore libero, in un cuore che vuole ciò che vuole Gesù. Il suo dono è per questi cuori, il suo dono è un dono per la santità, per la gloria del Padre, per la testimonianza piena. Chiediamoci allora stasera quanto è libero il nostro cuore, quanto può accogliere il frutto della preghiera di Gesù. Chiediamolo perché, quando un’anima ha delle passioni che la dominano, quando un’anima è attaccata ai suoi peccati, all’affetto per il peccato, è un’anima che è piena e chiusa ad ogni dono celeste. Chiediamoci quale cosa ci impedisce un colloquio più completo e sereno, più docile e più umile, quale attaccamento abbiamo a certi peccati. Diceva san Francesco di Sales che proprio è questo attaccamento, che impedisce per tante anime la via della perfezione, della santità. “Sei legato”, dice il santo, “slegati” se vuoi essere con il Signore in pienezza. Il nostro esame di coscienza sia dunque ben forte e ben sincero. Vediamo quale cosa è di maggiore ostacolo al dono di Gesù, alla realizzazione della sua preghiera per noi.

At 25, 13-21; Gv 21, 15-19

Anche noi, insieme a Simon Pietro, siamo interrogati. È lo stesso Gesù che ce lo domanda: “Mi ami tu?” (cfr. Gv 21, 16). La nostra risposta davanti all’infinita Verità, davanti a Gesù che conosce tutto, deve essere estremamente sincera. Quand’è che si può dire che lo amiamo? Lui stesso ce l’ha detto: “Se mi amate osservate i miei comandamenti” (cfr. Gv 14, 15). Non è nelle parole l’amore, l’amore è nelle opere, nello sforzo e nella tensione di tutta l’esistenza, dalle nostre opere di obbedienza alla legge, di ricerca di Dio, di docilità alla sua voce, sta il nostro amore. E vogliamo invocare lo Spirito Santo perché il nostro amore non può essere solo un amore umano, un amore che quindi sarebbe di un momento. Noi vogliamo che il nostro amore sia perenne, per l’eternità. Noi vogliamo amare Dio per sempre e vogliamo essere suoi per sempre, e vogliamo consacrare la nostra vita alla sua grazia.

Proprio così, oggi che è la festa della Madonna del preziosissimo sangue noi vogliamo imparare dalla Madonna come si ama Gesù. La Madonna ha raccolto il sangue di Gesù, la Madonna si è unita al sangue di Gesù, la Madonna ha dato il sangue del suo cuore. Come è stato grande l’amore della Madonna! Come è stato forte! Come è stato un amore completo! Si è sacrificata totalmente, perché il sangue di Gesù fosse a beneficio di tutti. Noi la chiamiamo Corredentrice. E allora a lei domandiamo questa sera la grazia di essere molto sensibili alle sollecitazioni dello Spirito per capire, per seguire, per potere nella realtà amare tanto, nella realtà far sì che l’amore di Gesù sia dominante nella nostra vita e possiamo così vincere tutte le tentazioni dei falsi amori, del falso amore verso sé stesso che si chiama egoismo, del falso amore verso gli altri che si chiama, evidentemente, ipocrisia. Di tutti i falsi amori otteniamo vittoria, chiedendo alla Madonna che ci ottenga dallo Spirito Santo il vero amore, la vera riconoscenza a Gesù che ha sparso tutto il suo preziosissimo sangue per amore nostro, per la nostra salvezza.

Gn 11, 1-9; Rm 8, 22-27; Gv 7,37-39

Raccogliamo con trepidazione la sua parola: “Chi ha sete venga a me” (cfr. Gv 7, 37), perché questa grande festa della Pentecoste ci trovi veramente assetati e tutte le fibre del nostro essere sentano questa sete, perché è evidente quello che vuole dire: chi ha sete beve, ma chi non ha sete non beve. Rimane nella sua povertà e rimane nella sua sufficienza, si crede, si stima, pensa che la sua vita sia valida, ma non la è, perché non è un assetato. Sarà un abituato, sarà un superficiale e un leggero, ma non beve l’acqua divina che solo dà lo Spirito Santo, non gli è comunicata. Ecco perché questa sera dobbiamo scuoterci, muoverci, dobbiamo suscitare in noi questa benedetta sete, questa voglia di Spirito, questa voglia di fare la volontà di Dio, di tradurre nella nostra vita la Parola di Gesù. Dobbiamo non essere pigri e con tutto lo slancio andare avanti, perché lo ha detto il Signore: “Chi crede in me” (cfr. Gv 7, 38). “Chi crede in me”: è attraverso la fede che viene la sete, è nella fede che si attua questo stato di esigenza, che non basta l’umano, che il peccato è tradimento, che l’essere contenti della propria superficialità è una grande disgrazia. Abbiamo bisogno di scuoterci nella fede, di camminare vigorosamente, di essere pronti a dire di sì al Signore. Ecco, il sì della Pentecoste è il sì al fuoco, è il sì all’amore, è il sì al dono. Il sì della Pentecoste è un sì che scuote, che coinvolge tutto il nostro essere. Dice il testo della Pentecoste: “Ci fu un vento forte” (cfr. At 2, 2). Ci vuole allora un uragano, l’uragano della generosa misericordia di Dio che noi dobbiamo invocare insieme a Maria Madre di Gesù. Lo dobbiamo invocare per noi, lo dobbiamo invocare per tutta la Chiesa, lo dobbiamo, in spirito missionario, invocare per tutto il mondo, perché sono tanti che hanno sete, ma non c’è nessuno che dia loro l’occasione della fede. Ecco perché dobbiamo pregare, ecco perché dobbiamo sentire vivo il nostro cristianesimo, ecco perché dobbiamo andare avanti, pregando e sacrificandoci e impegnandoci per tutta la realtà missionaria. La Chiesa che nasce dalla Pentecoste è essenzialmente missionaria e deve continuare la missione di Gesù. Per questo preghiamo, per questo invochiamo, per questo dobbiamo saperci offrire.

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