“L’Avvento non è tanto ricerca nostra, quanto piuttosto ricerca sua: Lui ci previene sempre, è venuto a cercare e salvare”. (Servo di Dio, mons. Pietro Margini).
16 Dicembre
Mt 17,10-13
«Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista».
Il Vangelo di Marco è il Vangelo che quest’anno ci accompagnerà nelle più importanti domeniche e feste dell’anno; e all’inizio di quest’anno liturgico il Signore ci invita, attraverso chi scrive questo Vangelo, a preparare la strada affinché il Natale possa essere una festa nella quale incontrarlo. Ecco allora, che il Signore ci incontra attraverso una persona, Giovanni, che viene descritto come voce di uno che grida nel deserto. Una voce che grida nel deserto certamente si può udire perché nel deserto c’è il silenzio (anche se può sembrare un po’ assurdo: chi la sente, questa voce, se è nel deserto?).
L’invito che ci viene fatto attraverso questa parola, è quello di riuscire a creare il deserto, in senso positivo, all’interno della nostra anima. Un deserto di silenzio che ci permette di ascoltare la voce del Signore, che vuole arrivare proprio al nostro cuore per far sì che la nostra conversione diventi autentica. E allora, ognuno di noi può vivere queste settimane di Avvento imparando a custodire il silenzio, che tante volte ci sfugge, perché ci lasciamo prendere dalle varie attività della nostra quotidianità. I figli, i nipoti, il lavoro… tutto diventa un’occasione per rimandare il momento nel quale fermarsi nel silenzio e mettersi in ascolto di questa voce che grida.
Il Signore ci richiama a questo in particolar modo nella preghiera; solitamente noi siamo abituati a passare da un’attività all’altra, ma dobbiamo ricordarci che quando iniziamo la preghiera, la prima cosa che dobbiamo fare – e che solitamente bypassiamo- è quella di fermarci senza pensare a nulla, senza recitare nessun tipo di preghiera, e dire: “Signore, questi cinque minuti li uso per mettermi alla tua presenza, perché io possa con più facilità ascoltare la tua voce quando leggerò il vangelo, quando farò un momento di raccoglimento o quando dirò le mie preghiere”.
E la voce che ci arriva, è una voce di consolazione: il Signore desidera intervenire nella nostra vita per portare consolazione. Lo abbiamo sentito nella prima lettura: “Consolate, consolate …” (Is 40,1). Il Signore insiste perché nella nostra vita ci sia questa pace: la pace del cuore che nasce dalla consapevolezza di essere insieme al nostro Dio, che è creatore e salvatore. E allora il silenzio di cui vi parlavo, diventa un silenzio importante perché ci porta davanti al nostro Dio a trovare la pace. Pace che ci richiama ai conflitti attuali, ma prima di tutto alla pace del cuore: cioè la consapevolezza di poter stare fermi davanti al nostro Dio senza dire nulla, ma semplicemente adorandolo, amandolo.
Qualcuno ogni tanto, parlando con me in parrocchia o per strada, mi dice: “don, io ho molte cose da fare, non ho tempo per pregare, perché devo preparare da mangiare, devo accudire le persone che mi sono affidate… non posso mettermi a pregare!”. Ecco che l’invito che ci viene fatto nella liturgia è quello di riuscire a vivere l’Avvento rallentando i nostri ritmi, rallentando per far sì che la Parola di Dio diventi più evidente nella nostra vita, diventi più forte. Ecco cosa significa che il Signore verrà a battezzarci con lo Spirito Santo: significa che verrà per portare la sua consolazione, il sapere che possiamo anche rallentare senza dover fare tutto, possiamo anche lasciare qualcosa indietro senza essere efficienti in ogni cosa, consapevoli che ciò che ci dà importanza, ciò che dà risultati nella nostra vita, non è soltanto il fatto che siamo obbedienti ai nostri programmi, ma il fatto che siamo obbedienti alla Sua parola.
Allora usiamo questo tempo di Avvento come occasione per risvegliare il nostro desiderio di ascoltare la sua voce, che è una voce di consolazione, è una voce che ci vuole dare pace. (Don Emanuele Sica, Omelia II domenica di Avvento – 09 Dicembre 2023).
17 Dicembre
Gv 1,6-8.19-28
«Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa»
Un altro aspetto dell’Avvento è l’invito al deserto, al silenzio. Sentiremo molte volte il testo di Isaia al capitolo 40: “Una voce grida: Nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio” (Is 40, 3).
E’ insistente: c’è un prodigio, un prodigio di amore, di dono, una nuova creazione che si verifica nel deserto. “La condurrò nel deserto, parlerò al suo cuore”.
Il deserto è sottolineato, di solito, come il luogo dell’abbandono di Dio, è il simbolo della terra non benedetta. Ecco però il prodigio di Dio: il deserto è il luogo dove Dio compie i suoi miracoli, dove si manifesta meglio il suo amore. Torna il testo d’Isaia: “Ecco, il deserto fiorirà, fiorirà pieno di gigli”.
Questa insistenza del deserto come luogo di misericordia è ripreso da Gesù e Gesù si ritirerà nel deserto quaranta giorni e quaranta notti, Gesù periodicamente tornerà nel deserto. E veramente tante volte nel suo spirito la Chiesa è fiorita nel deserto, dalle solitudini dell’alto Egitto, alle solitudini dei luoghi rupestri dove sorgeranno quei monasteri che si chiameranno con i nomi più belli e più dolci, proprio perché è il luogo dove si trova Dio.
Tutta la Chiesa è chiamata a rivivere l’esperienza del deserto, ogni anima, per quanto le è possibili, deve fare deserto. Questo perché c’è un’assoluta esigenza, l’esigenza di far tacere le altre voci per poter ascoltare la sua voce più profondamente: direi che in questo senso il deserto è una forma di povertà. Perciò possiamo continuare il discorso di prima.
Il deserto in casa nostra, il deserto nella nostra povera vita così frastornata, il deserto in fondo al nostro cuore: sembrano posizioni assurde, eppure noi siamo invitati. E’ lo Spirito che parla alla Chiesa e dice: “Sta col tuo Dio per quanto ti è possibile, per quanto tu vuoi mettere qualcosa di vigoroso e di forte in te”.
C’è una mistica del deserto, è una mistica che non è solo per i monaci: è per tutti gli uomini di buona volontà. La Chiesa deve sentire la voglia di deserto.
(Don Pietro Margini, Ritiro di Avvento per Adulti – 23 Novembre 1975)
18 Dicembre
Mt 1,18-24.
«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati»
Proprio in questo difficile momento gli appare in sogno l’angelo del Signore che gli dice: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». (1,21). Parole che riecheggiano quanto – nel Vangelo di Luca – l’angelo dice a Maria annunciandole che diverrà la madre del Messia: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 2, 30-31).
Proprio il «non temere» dell’angelo, detto a Maria e poi ripetuto a Giuseppe, unisce i due sposi in una nuova e più profonda intimità. Il Bimbo che nascerà dal loro «sì» alla volontà di Dio e che Giuseppe riconoscerà legalmente come figlio rendendolo a tutti gli effetti discendente di Davide (Mt 1,1; 9,27; 20,30-31; 21,9; 22,42), è infatti l’«Emmanuele», il «Dio-con-noi», annunciato dai Profeti e atteso nei secoli.
I Vangeli non ci dicono cosa possono essersi detti Maria e Giuseppe dopo questi eventi. Ci lasciano intravedere, però, quanto il loro legame, in virtù della rispettiva adesione alla volontà di Dio, sia diventato ancora più saldo e profondo; quanto quel «non temere» abbia illuminato anche il loro cammino successivo, soprattutto nei momenti di prova e difficoltà che dovettero affrontare insieme.
La sofferta decisione di Giuseppe, che in serena obbedienza «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24), può essere compresa solo alla luce della risposta di Maria: «Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua Parola» (Lc 1,38). È insieme, infatti, che Maria e Giuseppe hanno reso possibile l’adempimento del piano di Dio. Maria partorirà il Dio fatto uomo, Giuseppe gli imporrà il nome «Gesù», che significa «Dio salva». Una salvezza che, nel rifiuto di ogni messianismo terreno, si configura inequivocabilmente come «salvezza dai peccati» (v. 21). Gesù, infatti, non è venuto a conquistare il regno d’Israele o a liberare la sua nazione dalla dominazione straniera, ma a liberare tutta l’umanità dai suoi peccati. Per questo, come «Emmanuele», promette di essere con noi, sempre: «Ecco – sono le parole conclusive del Vangelo di Matteo – «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). (Maria De Giorgi, commento al Vangelo)
19 Dicembre
Lc 1,5-25.
«Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore»
Zaccaria ed Elisabetta aspettavano e la loro aspettativa sembrava assolutamente non esaudita, rifiutata. Ma Zaccaria ed Elisabetta verranno così a conoscere che non solo avranno una grande gioia − avranno un figlio, precursore del Signore − ma la loro gioia sarà testimonianza, la loro gioia sarà gioia per tutti quelli che crederanno sulla parola del loro figlio e il loro figlio indicherà Gesù.
Dobbiamo dunque capire bene come il Signore nel suo piano di amore per ognuno di noi guarda molto avanti, guarda con grande donazione di amore. Vuole che noi viviamo profondamente la nostra vocazione per essere nella Chiesa un seme che si apre, un seme dal quale nasce un virgulto cioè una testimonianza piena e gioiosa.
Bisogna lasciar fare al Signore. Troppo spesso siamo degli impazienti. Crediamo che la nostra impazienza sia la misura delle cose e vorremmo col nostro corto intelletto giudicare Dio, giudicarlo nella sua potenza, giudicarlo nella sua misericordia, nel suo prodigioso amore. Quanto dobbiamo rimanere in profonda e grande dipendenza! Come dobbiamo ammirare il Signore! Come dobbiamo aspettare tante meraviglie di grazie da lui!
Il proposito che dobbiamo fare in preparazione al Natale è sostanziato proprio qui: credere all’amore di Dio. Credere all’amore di Dio come una forza continua che agisce nella nostra vita.
Credere nell’amore di Dio anche se le apparenze sono totalmente contrarie. Credere nell’amore di Dio per donarci completamente e totalmente a lui. Credere nell’amore di Dio per noi, credere nell’amore di Dio per quelli che amiamo! Abbandonarci soavemente alla sua chiamata. Dire di «sì» al Signore, dire sempre di «sì».
Il nostro animo deve essere sicuro, sicuro che Dio farà molto di più di quello che ci aspettiamo se ci apriamo a grande fede, a grande confidenza. Il Signore è tale che ci stupisce sempre.
Abbandoniamoci alla sua provvidenza, crediamo nella potenza, nell’amore, nella generosità che il Signore ci ha dimostrato più volte, e che il Natale ci ricorda con tanto grandezza e tanta forza. (Don Pietro Margini, Omelia Venerdì III settimana Tempo Avvento – 19 Dicembre 1986)
20 dicembre
Lc 1,26-38
«Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore…”. E l’angelo partì da lei» (cfr. Lc 1,38).
Pensiamo ora a Maria rimasta sola in casa: sola di fronte a quella cosa enorme che le era stata proposta, detta.
Poteva dire: «Non ho sentito niente, era un’illusione!». Ma non avviene così. Da questo nasce il terzo fattore della maturità della fede: è l’energia, la forza per rimanere nel Signore, per permanere in ciò che si è visto.
Noi, invece, di fronte alla prima fatica, facciamo obiezione, diciamo: «Non è vero». Maria è sola, fa fatica, ma è “ferma”. La sua è una semplicità con una forza grande e semplice.
Persino Abramo si era lamentato, Mosè aveva tremato: Maria è certa nella sua solitudine. Maria è una fortezza, grande e semplice. Anche Giannetta, qui a Caravaggio, e Lucia a Fatima provarono la stessa solitudine, ma furono sorrette dalla stessa certezza, furono ferme. Semplicità impavida (cioè piena di emozione), che ha sfidato tutta la vita da sola con «quella cosa» che le era stata detta. Sola di fronte alla gente che non crede, di fronte al lavoro che deve fare: c’è la solitudine e c’è l’adesione sua al Signore.
Ciò che in noi non deve venire mai meno è l’adesione della nostra fede: quando le emozioni non ci sono più, quando non hai più la carica iniziale, quando gli amici non ci sono, ciò che deve rimanere è la nostra fedeltà all’adesione data a Cristo. (Don Luigi Giussani, appunti dall’intervento al Santuario della Beata Vergine di Caravaggio – 3 Giugno 1982)
21 Dicembre
Lc 1,39-45
«In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda».
Il secondo mistero della vita di Maria è la visita ad Elisabetta. Maria, subito dopo l’Annunciazione – «in quei giorni», dice infatti san Luca (Cf Lc 1, 39) – si è messa in viaggio per andare da Elisabetta ad aiutarla, giacché anch’essa aspettava un bambino pur nella sua tarda età. Maria vi andò «in fretta», dice il Vangelo, portando Gesù nel suo cuore… E, appena ebbe salutato Elisabetta, il bambino di lei sussultò di gioia nel suo grembo (Cf. Lc 1,41).
Questo “andare ad amare”, portando Gesù in noi, è fondamentale. Ma poi, dopo aver portato Gesù in noi amando, si deve passare al servizio concreto. Maria aiutò per tre mesi la cugina in tutte le faccende di casa. E così dobbiamo fare anche noi: l’amore non è completo se non è concreto. Maria dunque anche in questo episodio si manifesta come nostro modello, come nostra via. Se perciò vogliamo che lo Spirito Santo inizi a plasmare anche in noi la figura di Maria, dobbiamo innanzitutto ricordare quali sono i nostri prossimi verso i quali abbiamo il debito dell’amore: sono tutti quelli con cui viviamo, quelli che incontriamo durante il giorno…
Andiamo dunque in fretta verso tutti quanti possiamo, amandoli, e porgendo loro quanto abbisognano o desiderano: così facendo saremo anche noi delle “piccole Maria”.
Maria non è andata da Elisabetta per cantare il Magnificat, ma per aiutarla. Così noi, non dobbiamo andare dai prossimi per svelare il tesoro cristiano che portiamo nel cuore, ma per portare con essi dolori e pesi e dividere gioia e responsabilità.
(Chiara Lubich, meditazioni sui misteri gaudiosi).
22 Dicembre
Lc 1,46-55
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore».
Maria pronuncia il Magnificat proprio quando la sua vita è da poco stata stravolta, tutti i suoi programmi cambiati improvvisamente. È davvero possibile lodare Dio in questi momenti? Quando la vita ci sfugge dalle mani come possiamo fare a non lasciarci vincere dallo sconforto e dalla fatica?
Maria come prima cosa si mette in dialogo con il Padre, non nasconde i suoi turbamenti, ma proprio “parlandone” con Dio trova conforto, forza, fede per affidarsi alla Sua volontà.
Poi Maria non so rinchiude nelle sue paure, ma subito parte per andare da Elisabetta; è proprio dall’incontro con sua cugina che Maria coglie tutta la grandezza di ciò che sta accadendo, è lì che prende piena consapevolezza della grazia che le è stata affidata e quindi canta lode a Dio.
Anche noi abbiamo bisogno di metterci in dialogo con Dio e di vivere relazioni che ci aiutino a vedere ciò che il Signore sta operando nelle nostre vite.
Camminare nella Sua volontà non è un percorso privo di fatiche, alcune anche molto grandi, ma se ci lasciamo aiutare a vedere attraverso queste, il nostro cuore non potrà che esultare in Dio. ” L’anima mia magnifica il Signore”
(Condivisione di una coppia di sposi – 10 Dicembre 2023).
Link videoclip canzone “Girl on a mission (Magnificat)” Il nuovo brano del Gen Verde per la GMG 2023:
23 Dicembre
Lc 1,57-66
Benedictus 2000 anni dopo
Carissimo amore mio,
Sei nata di domenica. Sei sorta prima che nascesse il sole e hai segnato l’inizio della tua vita.
Sei mia figlia ma sei completamente altro. Tocco con mano lo spazio incolmabile che separa la mia maternità e la tua esistenza. Non c’è continuità e questo spazio si allarga intorno a te. È chiaro che vai sempre oltre. Oltre quello che avremmo pensato. Hai superato ogni aspettativa e immaginazione. Sei bellissima. E sembra che noi siamo qui anche per questo. Per generare. Non c’è un altro senso.
Ti contemplo e il miracolo della vita mi riempie di incanto e stupore. Sono rapita in una vertigine. È una cosa troppo grande per poterla pensare tutta insieme e capire. Prima era il nulla, poi sei stata attirata nel vortice dell’esistenza e hai iniziato ad essere nel tempo. Mi ha raggiunto il sospetto certo e trepidante del tuo arrivo. Scoppiavo oltre la pelle. Un segreto meraviglioso. Una doppia linea. Il timore. La speranza grande. Lo stupore. L’amore. Ti abbiamo visto. Eri pochi millimetri ora sei qui. Avresti potuto non essere, eppure sei. Non necessaria e per questo sovrabbondante. Sei il centuplo quaggiù. Sei arrivata gratis… prima che potessimo aspettarti e con gli occhi blu.
Quando dormi, la nostra casa è fatta di pace. Amo il tuo respiro contro il mio. Ti guardo e dentro di me sono attirati tutto il bene e il bello del mondo. Ti guardo e mi coglie una tenerezza struggente che allaga il mio cuore. Ci sposti sempre un po’ verso il luogo da cui provieni. Mi guardi e ogni cosa dentro di me si mette al posto giusto. Penso allora che ci sarà un momento in cui finirà il tempo e verrà tirata una riga e si salderanno i conti, perché ogni cosa venga messa al posto giusto. Sento di volere e potere fare tutto il bene del mondo. La tua stessa esistenza ci chiede di amarci ed accoglierci fino in fondo, fino alla fine per sempre. Siamo qui soprattutto per questo. Il nostro amore è diventato una persona e di fronte ad una cosa così bella e grande non possiamo permetterci di tornare a quelle stupide e piccole. Non saremmo all’altezza di sostenere il tuo sguardo.
Sei nata tu e per me esiste solo il futuro. E tutto si spalanca davanti a te.
(Lettera di una neomamma – 25 Dicembre 2016).
24 Dicembre
Lc 1,26-38
Nel Vangelo di oggi risuona il saluto dell’Angelo a Maria: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Dio l’ha pensata e voluta da sempre, nel suo imperscrutabile disegno, come una creatura piena di grazia, cioè ricolma del suo amore. Ma per essere colmati occorre fare spazio, svuotarsi, farsi da parte. Proprio come ha fatto Maria, che ha saputo mettersi in ascolto della Parola di Dio e fidarsi totalmente della sua volontà, accogliendola senza riserve nella propria vita. Tanto che in lei la Parola si è fatta carne. Questo è stato possibile grazie al suo “sì”. All’Angelo che le chiede la disponibilità a diventare la madre di Gesù, Maria risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38). Maria non si perde in tanti ragionamenti, non frappone ostacoli al Signore, ma con prontezza si affida e lascia spazio all’azione dello Spirito Santo. Mette subito a disposizione di Dio tutto il suo essere e la sua storia personale, perché siano la Parola e la volontà di Dio a plasmarli e portarli a compimento. Così, corrispondendo perfettamente al progetto di Dio su di lei, Maria diventa la “tutta bella”, la “tutta santa”, ma senza la minima ombra di autocompiacimento. È umile. Lei è un capolavoro, ma rimanendo umile, piccola, povera. In lei si rispecchia la bellezza di Dio che è tutta amore, grazia, dono di sé. (Papa Francesco – Angelus, 8 dicembre 2019)
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