Intervento del vescovo Camisasca in occasione della approvazione degli statuti rinnovati

Il 24 Aprile 2021, presso la chiesa di Sant’Alberto di Gerusalemme, il vescovo Massimo Camisasca ha approvato gli statuti della Comunità Familiaris Consortio e della Comunità Sacerdotale Familiaris Consortio. Si riporta di seguito la trascrizione dell’intervento del vescovo Massimo Camisasca (non rivista dall’autore). Per una comprensione più completa dell’occasione si faccia riferimento al video dell’incontro

24 aprile 2021 Reggio Emilia – chiesa di Sant’Alberto di Gerusalemme

Intervento del vescovo Massimo (trascrizione non rivista dall’autore)

Sono sempre molto contento quando vi incontro, in particolar modo oggi, per questo atto così significativo.
Sono contento perché vedo molti giovani. E quando ci sono dei giovani, vuol dire che l’albero non ha delle radici aride, perché la prima cosa che muore sono le foglie, poi sono i rami, poi il tronco. E dunque, se ci sono delle foglie vive, vuol dire che rami, tronco e radici sono vive.

Devo dire che in questi anni vi ho seguito molto da vicino e una delle ragioni è stata questa: la vostra capacità di incontrare i giovani e di interpellare le loro vite. Perché poi, infine, si gioca tutto qui, nella trasmissione di quello che siamo, la ragione per cui Dio ci ha scelti e ci ha mandati.
Oggi si compie un atto importante, che però deve essere visto nelle sue ragioni più profonde.

Di cosa si tratta? Si tratta che, avendo qualche tempo fa chiacchierato con don Luca, don Pietro, don Andrea, Reggiani e altri del volto che avrebbe potuto avere il movimento Familiaris Consortio in futuro, io ho suggerito che il Movimento, a mio parere, doveva avere il volto che originariamente don Pietro Margini gli ha dato, cioè piccole comunità di famiglie. E che anche i preti – quodam modo – dovessero rientrare in questa immagine. Non, quindi, come una realtà a parte, certo una realtà regolata, secondo modalità proprie per quanto riguarda il loro inserimento nella Diocesi, il loro ministero, eccetera, ma esattamente come gli altri per quanto riguarda il loro inserimento e partecipazione alla vita del carisma. E che, quindi, i preti avrebbero dovuto formare anch’essi delle piccole comunità e inserirsi nella realtà più grande delle comunità di famiglie.

Questo avrebbe dovuto rappresentare, perciò, una unica associazione, in cui essere inseriti anche le comunità di consacrati laici – laddove ce ne fossero, mi sembra siano solo femminili, oggi – e anche i responsabili del Movimento Giovani.
Ecco, questo è l’atto che oggi compiamo, che ha richiesto una riformulazione degli Statuti e anche una riformulazione della Regola, e poi una riformulazione degli Statuti della Comunità Sacerdotale. Nella sostanza, questo è quello che è avvenuto, secondo il decreto che poi leggerò.

Ma è chiaro – mi è molto chiaro, per esperienza personale ed ecclesiale – che nessuna comunità può camminare in ragione di statuti. Gli statuti sostengono il cammino, ma non generano il cammino; chi genera il cammino è lo Spirito, attraverso le persone. E questo lo ha fatto attraverso don Pietro Margini e attraverso coloro che per primi hanno seguito don Pietro, che costituiscono un punto importante del cammino, perché, se non ci fossero stati i primi, non ci sarebbero stati neanche i secondi e i terzi … e poi via via, fino a tutti voi.

Il carisma di don Pietro è affidato a ciascuno di voi, a ciascuno! Quando un fondatore muore, il carisma non è detenuto da qualcuno, ma è nelle mani di tutti coloro che lo accolgono.

Allora mi sono chiesto: perché un giovane dovrebbe partecipare a questa Comunità? Che cosa ha questa Comunità da offrire a dei giovani?

Mi sono dato delle risposte, che adesso vi dico. Non perché io mi assuma la responsabilità o l’onere di definire il vostro volto: siete voi che dovete dipingere il vostro volto! Però, è la riflessione di un Vescovo che vi vuole bene e che ha cercato in questi anni di capire chi siete e di aiutarvi ad essere voi stessi.

Penso che la prima nota, che colpisce o può colpire un giovane, sia l’amicizia; prima ancora di altre, che potrebbero essere e che di fatto sono ancora più importanti, perché fondative dell’amicizia stessa. Ma dal punto di vista dell’apparire – non dell’apparenza, ma dell’apparire – è l’amicizia, penso, quello che colpisce di più. Oggi c’è un grande, immenso bisogno di amicizia; perché c’è un immenso buco di solitudine! E questo immenso buco di solitudine, che si è andato approfondendo in quest’anno e mezzo della pandemia, rappresenterà uno dei problemi più gravi per la vita nostra. Dico “nostra” di nazione, dico “nostra” di Chiesa: uno dei problemi più gravi. Perché? Perché dalla solitudine, che diventa poi isolamento e che può diventare depressione, non si esce solamente mettendo a fianco un altro, o degli altri. Occorre aiutare la persona a riprendere speranza. E in questo l’amicizia mostra la sua forza nell’essere non semplicemente una contiguità di persone, ma un’alleanza, nel senso biblico del termine. Sant’Agostino definiva l’amicizia: camminare insieme verso Dio. Questa è l’alleanza: camminare assieme verso Dio. Questo è un primo aspetto che vorrei sottolineare, e che è vostra responsabilità approfondire.

Perché, naturalmente, l’amicizia nel mondo ha tante forme, e non tutte vere. Non tutte vere! L’amicizia è un dono ed è una scoperta, che esige anche un cammino continuo di riscoperta degli altri e di se stessi. La vostra amicizia si alimenta sull’amicizia di Cristo per voi e vostra con Cristo. Non è un sentimento soltanto, ma è una realtà. Alla fine della sua vita, Gesù usa questa parola, “amiciʺ, che non ha quasi mai usato. Dice: “Vi ho chiamati amici, perché vi ho detto tutto quello che ho udito dal Padre mio”.

Vedete, l’amicizia è una condivisione del destino finale, che avviene dentro le ore del giorno. L’amicizia è certamente l’avventura più grande che è data all’uomo; ma essa lo è, se diventa una scuola di vita, se non si limita ad essere puramente un sentimento, ma se trasforma il nostro sguardo sull’altro e su noi stessi, se ci fa percepire il valore sacramentale dell’altro, se costituisce una strada di purificazione dalle nostre gelosie, invidie, ire, dalle nostre volontà di possesso, di prevaricazione. Accettare se stessi, accettare gli altri: che cammino lungo e impegnativo! Accettare gli altri, che l’altro sia altro da me; e che io sia altro da me.

Sapete che, se verrò ricordato per qualcosa, verrò ricordato perché mi appoggio sempre su Sant’Agostino. E lui dice, ad un certo punto, in un brano del Commento al Vangelo di Giovanni: “Quid tam tuus quam tu? Sed quid tam non tuus quam tu?”. Cioè: che cosa è più tuo di te stesso e che cosa è meno tuo di te stesso? Accettare la diversità dell’altro, accettare l’alterità di me a me stesso. Sapere perdonare e perdonarmi.

Sarei tentato di dilungarmi, perché certo l’amicizia è stata uno dei temi fondamentali di riflessione e di esperienza nella mia vita; ma penso che molto della vostra possibilità futura di incontrare gli uomini, e soprattutto i giovani, si radichi qui.
Il cuore di questa amicizia, ho detto, è l’amicizia di Cristo.

L’altra ragione per cui dei giovani, avendovi incontrati, rimangono con voi, è perché trovano Cristo, nella carne della vostra vita quotidiana, non semplicemente come nome affermato da un pulpito o come programma di vita di un partito o di una ideologia – fosse essa anche religiosa o morale – ma perché trovano che le vostre vite sono interrogate da Lui, che c’è qualcosa fra di voi che voi stessi non sapete. È questo che affascina una persona: che io trovo in te qualcosa che tu stesso non sai. “C’è in mezzo a voi uno che non conoscete…”, dice il Battista al fiume Giordano, quando accorre lì Gesù per essere battezzato.

Quindi, che l’amicizia diventi un cammino di conoscenza di Gesù. Per questo è data l’amicizia: perché diventi un cammino di conoscenza di Cristo, senza più nessuna separazione tra la fede e la vita quotidiana, che è la grande eresia dell’età moderna. A poco a poco, la fede si è separata dalla vita quotidiana, è diventata sempre più privata e infine è morta! Perché una fede che non interessi il modo con cui io vivo il lavoro, con cui vivo gli affetti, con cui vivo il tempo libero, con cui vivo lo studio e il lavoro… a chi può interessare? Soltanto a un gruppo di devoti, che la storia ha già buttato ai margini della società.

Penso che i giovani siano attratti anche da una certa radicalità che vedono in voi. E questa è la terza ragione che vorrei dirvi.
Ci sono tante forme di radicalità, di radicalismo, anche di integralismo: sono forme negative. La radicalità positiva in cosa consiste? Consiste nel fatto che Dio, per offrire tutto se stesso, chiede tutto me stesso. È la radicalità di chi lascia tutto, perché tutto ha trovato. È la radicalità che vediamo in certi campioni dello sport. Perché affascina un campione? Per la sua radicalità. In quel caso, è chiaro, non è Dio, ma affascina per la sua radicalità. La radicalità vera è un fuoco, è un fuoco dentro di noi, un fuoco che riscalda anche l’altro. La radicalità vera non vive di proclami, non vive di intolleranza, non vive neppure di obiettivi che possono scavalcare l’altro e diventare una gabbia; la radicalità vera è la scoperta che soltanto in un amore folle esiste la possibilità di essere veramente se stessi.

Una volta avevo raccolto in un piccolo libretto alcune mie conferenze e avevo chiesto a don Giussani: “Che titolo potrei dare a questo libro?”. E lui mi ha detto: “Le due parole più importanti del cristianesimo”. “Ah, beh – gli ho detto – dimmele!”. “Obbedienza e follia”. E l’ho intitolato “Obbedienza e follia”.

Non si può essere cristiani senza follia. Soltanto chi crede veramente nell’impossibile lo realizzerà come possibile. Perciò, non abbiate paura di porvi degli obiettivi grandi, non nell’esteriorità, ma nella profondità degli orizzonti.
Un obiettivo grande è la mamma che si occupa del suo piccolo bambino; un obiettivo grande è l’intensità con cui vivo l’attimo. Come aveva scritto Giovanni Paolo II, appena diventato Papa, a proposito di San Benedetto: che il quotidiano diventi straordinario e lo straordinario quotidiano3. Follia è anche fare una scuola, per esempio. Ma è la follia più importante che ci sia! Follia è capire che i soldi che ho non sono per me, ma devono servire alla crescita di tutta la comunità. Non abbiate paura di creare opere, perché il Padre venga lodato per l’umanità nuova che nasce intorno a voi. Amicizia, fascino della persona di Cristo, follia: sono queste le tre parole che vorrei lasciarvi oggi.

Bene, il lavoro che ho fatto con i vostri responsabili in questo anno e mezzo, per arrivare a questa firma, che ha coinvolto, lo so, tutti voi (in un modo o in un altro, in tante forme, ma tutti voi!), è un lavoro che ho fatto volentieri. Ed è anche un po’ il lascito che vorrei anche ricordasse la mia persona in mezzo a voi, e anche pretendesse qualche preghiera, affinché Dio non sia troppo severo con me! E quindi, non ho che da dirvi ciò che si diceva cent’anni fa all’Azione Cattolica: “augeat, crescat, floreat”.

Tanti auguri!

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