«La povertà favorisce una dedizione più spontanea al prossimo, rende la carità più generosa». Così scrive mons. Pietro Margini e allo stesso modo possiamo intendere il nostro anno giubilare: la gioia che esso ci dona non è che il frutto di una carità generosa. L’allegria è il frutto di una carità che va verso i fratelli e che fa vivere in comunione, da riconciliati. «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole» (Rm 13, 8): che bella una comunità così! Così vogliamo vivere il nostro Giubileo, un particolare anno di grazia, in cui Dio si fa presente nella comunione e nella riconciliazione all’interno della comunità.
«Bisogna amare gli uomini», continua don Pietro, «considerarci l’un l’altro un dono, aprirci all’altro prendendolo in carico. […] La regola sarà quella della carità. Si considererà utile per sé ciò che ci permette di servire il prossimo». Ecco che entriamo nella concretezza di «una carità che arriva a dare non solo del nostro superfluo al prossimo, ma anche del nostro necessario». È la logica del chicco di grano, di chi lascia tutto per seguire il Signore Gesù. Riviviamo la cura del buon Samaritano, l’abbraccio del Padre misericordioso, la generosità di Zaccheo, fino al lavarsi i piedi gli uni gli altri, tra fratelli. Nasce il desiderio di far parte e dare carne ad una magnifica carità.
La nostra esperienza di comunità può essere luogo dove appassionarsi ai nostri amici, ai fratelli più o meno lontani. Tante sono le occasioni di una generosità fervida, abbondante. Aiutiamoci nella riflessione relativa alla gestione dei nostri beni. Non basta accontentarsi di qualche considerazione superficiale: «posso permettermelo oppure no?», «ciò che ho me lo sono guadagnato», «mi serve oppure no?», «almeno è una cosa buona». Occorre invece entrare in un discernimento gioioso all’interno del quale gli strumenti sono tanti: la preghiera, la direzione spirituale, il confronto con la famiglia e gli amici. Necessario è pensare come la mia generosità fa vivere la mia vocazione, come può dare corpo a quel dono che ho ricevuto da Dio per il bene e la gioia degli amici. A partire da questo potrò vivere quel «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7) che spinge a prendersi cura dei fratelli e che sa creare comunione.
don Domenico Reverberi
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