31° anniversario Mons Pietro Margini – Omelia don Luca Ferrari

31° anniversario della morte di Mons. Pietro Margini

Sant’ Alberto di Gerusalemme – Reggio Emilia, 8 gennaio 2021

omelia di don Luca Ferrari

In mezzo ad una grande folla, con stupore e profonda emozione, accogliamo Gesù mentre scende dalla barca. La veloce sequenza di scene dell’inizio del Vangelo di Marco ci ha abituati a questi raduni, quasi flash mob, che tuttavia non si dissolvono rapidamente. Quando arriva Gesù si accalca attorno a lui tanta gente.

Anzi, siamo nel pieno dell’interesse per la sua persona, proprio mentre Giovanni Battista viene barbaramente ucciso per essere offerto in trofeo a chi non voleva ascoltarlo. La sua morte, così violenta, così maturata ed esibita, getta nello sconforto quanti riconoscevano in lui un leader forte e giusto.

Il popolo semplice si apposta per inseguire Gesù al punto da non permettergli nemmeno di parlare con i suoi in un momento così intimo e drammatico. Proprio dopo essersi ritirato con loro, scende dalla barca e vede questo popolo radunato. Sembrerebbe una massa anonima nella quale il protagonista acclamato è Gesù.

Ma nel suo sguardo dolce compare una strana compassione: ognuno dei presenti è accomunato dall’essere smarrito, disorientato, proprio come una pecora che non ha pastore. Il soggetto è dunque quell’unico popolo, siamo noi.

Conosciamo quello sguardo, abbiamo visto folle attendere con pazienza un servo di Dio! Le abbiamo viste in fila davanti ad uno studio, ad un confessionale o semplicemente nel breve passaggio dalla canonica alla sagrestia per ascoltare una parola che giunga al proprio cuore. Lo dico per quanti non hanno avuto il dono di partecipare a quella avventura. Non era frequente imbattersi in un uomo così. Proviamo ancora tanto stupore al pensiero di ciò a cui assistevamo quotidianamente con don Pietro.

Cosa fa dunque Gesù? Si mette ad insegnare loro molte cose. E a noi! Il dono di conoscere Lui accende tutta la vita nel suo innesco più profondo, nel suo significato più intimo, tanto da ispirare un coraggio e una gioia inesprimibile. “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”, suggerisce il Salmo 23.

Sembrerebbe troppo poco, nel momento in cui si agitavano pressioni sociali soffocate nel sangue. Cosa fare quando gli uomini sembrano incapaci di gestire i conflitti, quando si alzano voci, anche animate da qualche verità, che diventano violente e indisponibili al dialogo? Qualcuno pensa di attribuire a Dio i conflitti e preferisce emarginarlo dalla società; altri lo trascinano come testimonial del proprio partito o delle proprie idee. Come contribuire in epoche di cambiamenti profondi o in cambiamenti d’epoca alla pace e alla giustizia tra gli uomini? Le ricette semplici rischiano di umiliare l’umanità ed ogni uomo nella sua dignità. Occorre prendersi cura, ad uno ad uno, di tutti gli uomini.

Anche don Pietro ha vissuto nel pieno di scontri di parole e di idee, di armi e di mezzi di informazione. Ha scelto la via di Gesù: riconoscere Dio nel cuore di ciascuno. Ed ha insegnato a condividere la Sua stessa vita nelle relazioni quotidiane. Senza Dio, senza riconoscere che tutti siamo sua famiglia, ogni uomo ed ogni società tendono a prevalere, ad imporsi senza assumersi la responsabilità del popolo.

Ogni sacerdote intuisce nello sguardo di un ragazzo, di un anziano, di un bimbo come di un adulto quel bisogno, la ricerca di un pastore. Si potrebbe dire che la vocazione spesso coincide con lo sguardo di Gesù sulla folla. Quando senti compassione profonda, rapida e sincera per la gente riconosci una chiamata. Sta ad ognuno corrispondere nella fede, secondo il dono ricevuto.

Ero prete da una settimana, andai a Parma perché sarebbe arrivata Madre Teresa di Calcutta a parlare alla gente di una terra non più tutta cristiana. Non l’avevo previsto: pur essendo arrivato per tempo non c’era posto in tutta la Piazza Duomo. Nell’attesa cresceva un vociare molto forte finché, improvvisamente si è fatto silenzio nella piazza. Era impossibile vederla dal punto in cui mi trovavo, ma era chiaramente segno che era arrivata questa piccola donna, un vero gigante capace di ammutolire ogni chiacchiera superficiale. Il suo discorso semplicissimo richiamava la necessità di amare e rispettare ogni vita, anche quella non ancora venuta alla luce e parlava dello sguardo di Gesù. È bastata meno di un’ora per lasciare un segno indelebile, che ancora la città ricorda con nostalgia e che ha messo in moto tanti cuori e tante iniziative.

Qualcosa di simile accadeva con don Pietro: sentendo parlare di lui e dei tanti giovani che lo seguivano, chi lo incontrava rimaneva stupito. Qualcuno si aspettava di trovarsi di fronte ad un uomo prestante con voce potente. Gli ultimi anni in particolare era invece una figura esile e provata, con un filo di voce, ma con uno sguardo che non passava inosservato. Soprattutto quando celebrava i sacramenti o quando si posava su qualcuno e sembrava leggerne il cuore.

L’anniversario della sua morte quest’anno in particolare ci offre un panorama saturo di parole allarmate e di situazioni preoccupanti. E di ricette facili e categoriche quanto imbarazzanti: “Credo nella scienza”, oppure “credo che tanti non capiscano nulla e si spaventino senza motivo”!

Molti si stordiscono di notizie tutte uguali o di immagini sempre più distopiche, che prefigurano un futuro incerto e comunque oscuro. Molti stanno allontanandosi e stanno diradando le loro relazioni. Qualcuno si chiude nel silenzio, mentre altri non la smettono di ripetere in modo ossessivo ed estremo le proprie idee. Chi non è radicato in una fede profonda, che riconosce la presenza e la mano di Dio in ogni circostanza, si agita senza posa e scivola in opposti estremismi che non possono rassicurarlo davvero, né dare pace ai fratelli.

“Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare”. (Mc 6,35-36) Ognuno si arrangi da sé, come può, suggeriscono i suoi discepoli a Gesù. E Lui: “Voi stessi date loro da mangiare”. In questa espressione possiamo pensare, con qualche ragione, che intenda rivolgersi a coloro che sarebbero divenuti apostoli.

Di che cosa ha fame il popolo oggi? Certo, alcuni hanno ancor oggi e certamente domani bisogno del pane, ma tutti abbiamo fame di un altro pane che è misteriosamente prefigurato da Gesù in quella riva deserta. È il bisogno di Dio. Non è vero che l’uomo non lo cerca più, non è vero che altre cose possono prendere il posto Suo nella nostra vita.

È il pastore che ci genera, ci sostiene, ci rialza e ci accoglie nel suo amore. L’Eucaristia che celebriamo rende effettivamente presente a noi e per noi il dono di Gesù, della sua vita nel suo corpo e nel suo sangue. Gesù è qui e ci cerca con il suo sguardo.

Durante una consacrazione episcopale Benedetto XVI così si esprimeva: “Un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio” (Omelia 6 gennaio 2013). Il sacerdote comprende così che è chiamato per primo a partecipare con ogni uomo alla ricerca di Dio e all’inquietudine di Dio per ogni uomo che è in cerca di Lui. Perciò si unisce nella fede a Gesù che è la Parola di Dio, è il Pastore, è Colui che santifica comunicando la vita divina a tutti gli uomini.

L’Eucaristia riassume tutti questi doni. Come non amare l’Eucaristia, come perdere per un solo giorno questo pane quotidiano?

Ma la Messa non è dono soltanto per il sacerdote. Al contrario, è proprio per il popolo che ogni sacerdote la celebra, anche quando fosse solo in luogo deserto, per qualunque ragione. È per tutti che viene offerta la vita di Gesù al Padre. In Gesù Dio si fa uomo perché l’uomo si faccia Dio. “Il tuo Figlio unigenito si è manifestato nella nostra carne mortale: concedi a noi, che lo abbiamo conosciuto come vero uomo, di essere interiormente rinnovati a sua immagine” (Colletta di questa Eucaristia)

Ed è così che don Pietro ha creduto, con tutta la Chiesa che lo stava riscoprendo in quegli anni, nel dono dato ad ogni fedele laico: “Voi stessi date loro da mangiare”. Non si tratta di una nuova modalità di organizzazione dei servizi o del potere. È la fede nella parola di Gesù che rende il suo popolo una vera famiglia in mezzo a tutti gli uomini.

Cosa significa concretamente questa certezza? Anzitutto che la fede trasforma la vita umana in un segno luminoso della vita di Dio tra gli uomini. Il “Movimento delle Comunità” è generato da don Pietro come vera comunione di comunità. Come persone capaci di donare tutta la propria vita per gli amici. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.” (Gv 15,13). Non c’è retorica, né pura licenza poetica in una realtà dove le persone davvero si vogliono bene.

Il nostro fondatore ha incessantemente ricordato che senza una preghiera forte, non episodica, senza una vita trasformata in preghiera, con lo sguardo rivolto sempre a Gesù, non si genera comunione, ogni amore rischia di essere troppo debole e incerto per scaldare e riempire il cuore.

“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. (1Gv 4,7-8). Non è una considerazione per poche anime pie. È una verità per tutti. Se i fidanzati, gli sposi, gli amici non si pongono nell’umiltà dell’ascolto di Gesù, non rimangono nel Suo amore, diventano un peso l’uno per l’altro o addirittura la tirannia di chi vuole dominare, di chi si vuol far considerare ad ogni costo.

“In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.” (1Gv 4,9-10)

È ciò che ci ha insegnato don Pietro, ciò che ci ha donato fino all’ultimo respiro terreno. Un sacerdote esperto di cose del mondo, ma che ha parlato sempre di Dio. Ognuno ha il suo compito, la sua chiamata: il politico, il sociologo, l’economista, l’ecologista… Ma in tutte queste cose siamo sostenuti e nutriti dal dono di Gesù che fa di tutti noi una cosa sola come Dio Trinità. Solo in Dio si genera e si compie la pace nell’unità con il creato. Sarebbe vano cercare la vita piena dell’uomo senza di Lui: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” (S. Agostino, Le confessioni 1,1).

È questo il dono particolare che don Pietro ha coltivato in noi perché fossimo una testimonianza luminosa, il segno che attira tutti al dono che Dio è e condivide con quanti lo accolgono. Una famiglia unita, una comunità feconda e aperta, un’amicizia santa è segno che abbiamo conosciuto Dio e che Egli è in mezzo a noi perché tutti lo possano incontrare.

Anche chi la contesta o persino sembra detestarla, anela alla comunione in Dio. E con gli uomini amati e rigenerati da Lui.

A Maria, nostra madre, affidiamo il compimento della nostra chiamata.

A Giuseppe, suo sposo, in quest’anno a lui dedicato, affidiamo le nostre famiglie e comunità.

A Dio, Padre di Gesù e Padre nostro, va il ringraziamento per il dono di don Pietro e di quanti continua a chiamare in mezzo a noi per la Chiesa e per il mondo.

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