LETTERA DI UN FIDANZATO – 2012
Per me l’innamoramento ha significato avvicinarmi a (…) per vedere tutta la bellezza che il Signore le ha donato. Ha significato riuscire a cogliere le sfumature del Pensiero che l’ha creata, meravigliarmi delle piccole cose ed essere illuminato dalla presenza di (…). Mi sono accorto che con il tempo assieme a lei sono diventato una persona migliore.
Fidanzamento significa guardarci negli occhi e sceglierci; percepire con una vertigine che l’altro potrebbe realmente essere la persona che mi stringerà la mano e mi accompagnerà nell’incredibile salto nel vuoto che è la vita.
Fidanzamento significa mettere le ali e riuscire a raggiungere mete che da soli non avremmo mai raggiunto, diventando un dono per il prossimo.
Fidanzamento significa sapere che i miei desideri non comprendono più solo me stesso ma si compiono solo insieme a lei. Significa intuire che la gioia viene dal realizzazione della mia vocazione. Significa volere per prima cosa il bene dell’altro e desiderare di portarlo al Signore.
Fidanzamento vuole dire vivere con vera gioia e sicuri di essere nel giusto quando si compie una scelta per il bene della coppia, che è di conseguenza anche il mio! Per me obbedienza significa avere fede in questa logica.
Per noi è arrivato il tempo di salpare verso il largo, di ascoltare quello che il Signore ci chiede insieme, di prendere tutti i nostri desideri più belli e di impegnarci per realizzarli.
Siamo diversi: con stupore e meraviglia guardiamo a come il Signore ha disegnato le nostre vite e la nostra storia.
Capiamo che il momento è particolare e pieno di grazie; per questo già da adesso vogliamo imparare ad essere l’uno la gioia dell’altro, tagliando tutti quei “cordini e cordoni” che ci legano e ci impediscono di tenere un cuore leggero e libero, che ci permetta di viaggiare veloci verso la meta che il Signore ci ha disegnato.
Vogliamo che la coppia diventi un luogo di profonda intesa e corrispondenza e anche un luogo accogliente per i nostri amici.
Desideriamo prima di tutto imparare ad essere una cosa sola, in parole più semplici vogliamo essere un “noi” e mettere al primo posto il bene dell’altro, rinunciando con gioia a noi stessi.
INCONTRO CON I GIOVANI FIDANZATI – DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza del Plebiscito, Ancona
Domenica, 11 settembre 2011
Cari fidanzati!
Sono lieto di concludere questa intensa giornata, culmine del Congresso Eucaristico Nazionale, incontrando voi, quasi a voler affidare l’eredità di questo evento di grazia alle vostre giovani vite. Del resto, l’Eucaristia, dono di Cristo per la salvezza del mondo, indica e contiene l’orizzonte più vero dell’esperienza che state vivendo: l’amore di Cristo quale pienezza dell’amore umano. Ringrazio l’Arcivescovo di Ancona-Osimo, Mons. Edoardo Menichelli, per il suo cordiale e profondo saluto, e tutti voi per questa vivace partecipazione; grazie anche per le domande che mi avete rivolto e che io accolgo confidando nella presenza in mezzo a noi del Signore Gesù: Lui solo ha parole di vita eterna, parole di vita per voi e per il vostro futuro!
Quelli che ponete sono interrogativi che, nell’attuale contesto sociale, assumono un peso ancora maggiore. Vorrei offrirvi solo qualche orientamento per una risposta. Per certi aspetti, il nostro è un tempo non facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa. Soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza sull’avvenire. Questa condizione contribuisce a rimandare l’assunzione di decisioni definitive, e incide in modo negativo sulla crescita della società, che non riesce a valorizzare appieno la ricchezza di energie, di competenze e di creatività della vostra generazione.
Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a prescindere da chiari criteri morali: nel disorientamento, ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perimetro del presente. La frammentazione del tessuto comunitario si riflette in un relativismo che intacca i valori essenziali; la consonanza di sensazioni, di stati d’animo e di emozioni sembra più importante della condivisione di un progetto di vita. Anche le scelte di fondo allora diventano fragili, esposte ad una perenne revocabilità, che spesso viene ritenuta espressione di libertà, mentre ne segnala piuttosto la carenza. Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparente esaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende a farla vivere al di fuori di un contesto di comunione di vita e d’amore.
Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza. Abbiate coraggio, anche nelle difficoltà, rimanendo saldi nella fede. Siate certi che, in ogni circostanza, siete amati e custoditi dall’amore di Dio, che è la nostra forza. Dio è buono. Per questo è importante che l’incontro con Dio, soprattutto nella preghiera personale e comunitaria, sia costante, fedele, proprio come è il cammino del vostro amore: amare Dio e sentire che Lui mi ama. Nulla ci può separare dall’amore di Dio! Siate certi, poi, che anche la Chiesa vi è vicina, vi sostiene, non cessa di guardare a voi con grande fiducia. Essa sa che avete sete di valori, quelli veri, su cui vale la pena di costruire la vostra casa! Il valore della fede, della persona, della famiglia, delle relazioni umane, della giustizia. Non scoraggiatevi davanti alle carenze che sembrano spegnere la gioia sulla mensa della vita. Alle nozze di Cana, quando venne a mancare il vino, Maria invitò i servi a rivolgersi a Gesù e diede loro un’indicazione precisa: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Fate tesoro di queste parole, le ultime di Maria riportate nei Vangeli, quasi un suo testamento spirituale, e avrete sempre la gioia della festa: Gesù è il vino della festa!
Come fidanzati vi trovate a vivere una stagione unica, che apre alla meraviglia dell’incontro e fa scoprire la bellezza di esistere e di essere preziosi per qualcuno, di potervi dire reciprocamente: tu sei importante per me. Vivete con intensità, gradualità e verità questo cammino. Non rinunciate a perseguire un ideale alto di amore, riflesso e testimonianza dell’amore di Dio! Ma come vivere questa fase della vostra vita, testimoniare l’amore nella comunità? Vorrei dirvi anzitutto di evitare di chiudervi in rapporti intimistici, falsamente rassicuranti; fate piuttosto che la vostra relazione diventi lievito di una presenza attiva e responsabile nella comunità. Non dimenticate, poi, che, per essere autentico, anche l’amore richiede un cammino di maturazione: a partire dall’attrazione iniziale e dal “sentirsi bene” con l’altro, educatevi a “volere bene” all’altro, a “volere il bene” dell’altro. L’amore vive di gratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro.
Cari amici, ogni amore umano è segno dell’Amore eterno che ci ha creati, e la cui grazia santifica la scelta di un uomo e di una donna di consegnarsi reciprocamente la vita nel matrimonio. Vivete questo tempo del fidanzamento nell’attesa fiduciosa di tale dono, che va accolto percorrendo una strada di conoscenza, di rispetto, di attenzioni che non dovete mai smarrire: solo a questa condizione il linguaggio dell’amore rimarrà significativo anche nello scorrere degli anni. Educatevi, poi, sin da ora alla libertà della fedeltà, che porta a custodirsi reciprocamente, fino a vivere l’uno per l’altro. Preparatevi a scegliere con convinzione il “per sempre” che connota l’amore: l’indissolubilità, prima che una condizione, è un dono che va desiderato, chiesto e vissuto, oltre ogni mutevole situazione umana. E non pensate, secondo una mentalità diffusa, che la convivenza sia garanzia per il futuro. Bruciare le tappe finisce per “bruciare” l’amore, che invece ha bisogno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni; ha bisogno di dare spazio a Cristo, che è capace di rendere un amore umano fedele, felice e indissolubile. La fedeltà e la continuità del vostro volervi bene vi renderanno capaci anche di essere aperti alla vita, di essere genitori: la stabilità della vostra unione nel Sacramento del Matrimonio permetterà ai figli che Dio vorrà donarvi di crescere fiduciosi nella bontà della vita. Fedeltà, indissolubilità e trasmissione della vita sono i pilastri di ogni famiglia, vero bene comune, patrimonio prezioso per l’intera società. Fin d’ora, fondate su di essi il vostro cammino verso il matrimonio e testimoniatelo anche ai vostri coetanei: è un servizio prezioso! Siate grati a quanti con impegno, competenza e disponibilità vi accompagnano nella formazione: sono segno dell’attenzione e della cura che la comunità cristiana vi riserva. Non siete soli: ricercate e accogliete per primi la compagnia della Chiesa.
Vorrei tornare ancora su un punto essenziale: l’esperienza dell’amore ha al suo interno la tensione verso Dio. Il vero amore promette l’infinito! Fate, dunque, di questo vostro tempo di preparazione al matrimonio un itinerario di fede: riscoprite per la vostra vita di coppia la centralità di Gesù Cristo e del camminare nella Chiesa. Maria ci insegna che il bene di ciascuno dipende dall’ascoltare con docilità la parola del Figlio. In chi si fida di Lui, l’acqua della vita quotidiana si muta nel vino di un amore che rende buona, bella e feconda la vita. Cana, infatti, è annuncio e anticipazione del dono del vino nuovo dell’Eucaristia, sacrificio e banchetto nel quale il Signore ci raggiunge, ci rinnova e trasforma. Non smarrite l’importanza vitale di questo incontro: l’assemblea liturgica domenicale vi trovi pienamente partecipi: dall’Eucaristia scaturisce il senso cristiano dell’esistenza e un nuovo modo di vivere (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 72-73). E non avrete, allora, paura nell’assumere l’impegnativa responsabilità della scelta coniugale; non temerete di entrare in questo “grande mistero”, nel quale due persone diventano una sola carne (cfr Ef 5,31-32).
Carissimi giovani, vi affido alla protezione di San Giuseppe e di Maria Santissima; seguendo l’invito della Vergine Madre – “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” – non vi mancherà il gusto della vera festa e saprete portare il “vino” migliore, quello che Cristo dona per la Chiesa e per il mondo. Vorrei dirvi che anch’io sono vicino a voi e a tutti coloro che, come voi, vivono questo meraviglioso cammino di amore. Vi benedico con tutto il cuore!
Contro il pessimismo e l’egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel «Sì», di quell’«Amen», che è Cristo stesso (cfr. 2Cor 1,19; Ap 3,14). Al «no» che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente «Sì», difendendo in tal modo l’uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita. Così si esprimeva San Giovanni Paolo II, il Papa della Famiglia.
Prima Lettura: Tessalonicesi, il più antico libro del NT, intorno al 53 a.C. Non c’erano i Vangeli, non c’era il corpus cristianus… Paolo è preso da grande affetto. Esclama: «Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché́ ci siete diventati cari».
Oggi quello che San Paolo non è riuscito a fare, ebbene voi siete in procinto di diventare. Darvi la stessa vita, darvi il Vangelo di Dio, darvi buona notizia e nutrimento.
Non è un caso che Paolo citi anche la madre che nutre e cura le sue creature. Pensiamoci un momento: la famiglia è un unico puzzle che si completa di diversi pezzi. L’unico amore è declinato nelle diverse forme. Abbiamo l’ambizione di dire che non c’è altro luogo umano che condensi così tante forme di amore. Il volersi bene si dà appuntamento nella famiglia (come è vero che le ferite lasciano un segno profondo). Infatti, nella famiglia c’è l’amore sponsale, ma anche quello materno e paterno, quello filiale, quello fraterno… il linguaggio usa termini diversi per esprimere quella ricchezza.
Oggi voi rendete possibile tutto questo: nel vostro sì che dite chiedendo l’aiuto di Dio, a questo vostro volervi bene aggiungete l’amore di Dio.
Perché in effetti il nostro è un volerci bene, l’amore pieno è di Dio.
Generosi, si può misurare quanto vi volete bene, si può saturare il desiderio che avete l’uno dell’altro, si può quantificare il buono e il bello che vi donerete? Questo può essere frustrante perché ci dice che non siamo mai arrivati: in Dio diventa condizione per essere felici non in una oppressione, ma nella realtà delle cose che non si rassegna.
Nel Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II diceva: «anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione». Allora non dobbiamo spaventarci, ma proprio oggi Gesù ci chiede: «Mi ami più di costoro?». Anche nella famiglia questa domanda è profondamente vera: perché in questa ammissione voi liberate l’altro, voi sgravate di tutta la sete di infinito e dite: insieme chiediamola a Dio.
In questo modo capiamo che la preghiera non è la nostra ultima spiaggia, ma la nostra prima risorsa; che l’Eucarestia non è un ornamento, ma il nostro primo amore; che insieme oggi potete esclamare in compagnia di San John Henry Newman: Eppure egli sa quello che sta facendo.
«Il futuro dell’umanità passa dalla via della famiglia», con queste parole profetiche San Giovanni Paolo II vi rende nota la vostra alta vocazione: non è il futuro del cristianesimo che vi chiede di alimentare, che è più un calcolo e preoccupazione umana; ma il cristianesimo del futuro che lo Spirito attua ogni volta che due sì si promettono il per sempre!
LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO AGLI SPOSI IN OCCASIONE DELL’ANNO “FAMIGLIA AMORIS LAETITIA”
Roma, San Giovanni in Laterano, 26 dicembre 2021, Festa della Santa Famiglia.
Cari sposi e spose di tutto il mondo!
In occasione dell’Anno “Famiglia Amoris laetitia”, mi rivolgo a voi per esprimervi tutto il mio affetto e la mia vicinanza in questo tempo così speciale che stiamo vivendo. Sempre ho tenuto presenti le famiglie nelle mie preghiere, ma ancora di più durante la pandemia, che ha messo tutti a dura prova, specialmente i più vulnerabili. Il momento che stiamo attraversando mi porta ad accostarmi con umiltà, affetto e accoglienza ad ogni persona, ad ogni coppia di sposi e ad ogni famiglia nelle situazioni che ciascuno sta sperimentando.
Il contesto particolare ci invita a vivere le parole con cui il Signore chiama Abramo a uscire dalla sua terra e dalla casa di suo padre verso una terra sconosciuta che Lui stesso gli mostrerà (cfr Gen 12,1). Anche noi abbiamo vissuto più che mai l’incertezza, la solitudine, la perdita di persone care e siamo stati spinti a uscire dalle nostre sicurezze, dai nostri spazi di “controllo”, dai nostri modi di fare le cose, dalle nostre ambizioni, per interessarci non solo al bene della nostra famiglia, ma anche a quello della società, che pure dipende dai nostri comportamenti personali.
La relazione con Dio ci plasma, ci accompagna e ci mette in movimento come persone e, in ultima istanza, ci aiuta a “uscire dalla nostra terra”, in molti casi con un certo timore e persino con la paura dell’ignoto, ma grazie alla nostra fede cristiana sappiamo che non siamo soli perché Dio è in noi, con noi e in mezzo a noi: nella famiglia, nel quartiere, nel luogo di lavoro o di studio, nella città dove abitiamo.
Come Abramo, ciascuno degli sposi esce dalla propria terra fin dal momento in cui, sentendo la chiamata all’amore coniugale, decide di donarsi all’altro senza riserve. Così, già il fidanzamento implica l’uscire dalla propria terra, poiché richiede di percorrere insieme la strada che conduce al matrimonio. Le diverse situazioni della vita – il passare dei giorni, l’arrivo dei figli, il lavoro, le malattie – sono circostanze nelle quali l’impegno assunto vicendevolmente suppone che ciascuno abbandoni le proprie inerzie, le proprie certezze, gli spazi di tranquillità e vada verso la terra che Dio promette: essere due in Cristo, due in uno. Un’unica vita, un “noi” nella comunione d’amore con Gesù, vivo e presente in ogni momento della vostra esistenza. Dio vi accompagna, vi ama incondizionatamente. Non siete soli!
Cari sposi, sappiate che i vostri figli – e specialmente i più giovani – vi osservano con attenzione e cercano in voi la testimonianza di un amore forte e affidabile. «Quanto è importante, per i giovani, vedere con i propri occhi l’amore di Cristo vivo e presente nell’amore degli sposi, che testimoniano con la loro vita concreta che l’amore per sempre è possibile!». [1] I figli sono un dono, sempre, cambiano la storia di ogni famiglia. Sono assetati di amore, di riconoscenza, di stima e di fiducia. La paternità e la maternità vi chiamano a essere generativi per dare ai vostri figli la gioia di scoprirsi figli di Dio, figli di un Padre che fin dal primo istante li ha amati teneramente e li prende per mano ogni giorno. Questa scoperta può dare ai vostri figli la fede e la capacità di confidare in Dio.
Certo, educare i figli non è per niente facile. Ma non dimentichiamo che anche loro ci educano. Il primo ambiente educativo rimane sempre la famiglia, nei piccoli gesti che sono più eloquenti delle parole. Educare è anzitutto accompagnare i processi di crescita, essere presenti in tanti modi, così che i figli possano contare sui genitori in ogni momento. L’educatore è una persona che “genera” in senso spirituale e, soprattutto, che “si mette in gioco” ponendosi in relazione. Come padri e madri è importante relazionarsi con i figli a partire da un’autorità ottenuta giorno per giorno. Essi hanno bisogno di una sicurezza che li aiuti a sperimentare la fiducia in voi, nella bellezza della loro vita, nella certezza di non essere mai soli, accada quel che accada.
D’altra parte, come ho già avuto modo di osservare, la coscienza dell’identità e della missione dei laici nella Chiesa e nella società è cresciuta. Avete la missione di trasformare la società con la vostra presenza nel mondo del lavoro e di fare in modo che si tenga conto dei bisogni delle famiglie.
Anche i coniugi devono prendere l’iniziativa (primerear) [2] all’interno della comunità parrocchiale e diocesana con le loro proposte e la loro creatività, perseguendo la complementarità dei carismi e delle vocazioni come espressione della comunione ecclesiale; in particolare, quella degli «sposi accanto ai pastori, per camminare con altre famiglie, per aiutare chi è più debole, per annunciare che, anche nelle difficoltà, Cristo si rende presente». [3]
Pertanto, vi esorto, cari sposi, a partecipare nella Chiesa, in particolare nella pastorale familiare. Perché «la corresponsabilità nei confronti della missione chiama […] gli sposi e i ministri ordinati, specialmente i vescovi, a cooperare in maniera feconda nella cura e nella custodia delle Chiese domestiche». [4] Ricordatevi che la famiglia è la «cellula fondamentale della società» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Il matrimonio è realmente un progetto di costruzione della «cultura dell’incontro» (Enc. Fratelli tutti, 216). È per questo che alle famiglie spetta la sfida di gettare ponti tra le generazioni per trasmettere i valori che costruiscono l’umanità. C’è bisogno di una nuova creatività per esprimere nelle sfide attuali i valori che ci costituiscono come popolo nelle nostre società e nella Chiesa, Popolo di Dio.
La vocazione al matrimonio è una chiamata a condurre una barca instabile – ma sicura per la realtà del sacramento – in un mare talvolta agitato. Quante volte, come gli apostoli, avreste voglia di dire, o meglio, di gridare: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,38). Non dimentichiamo che, mediante il Sacramento del matrimonio, Gesù è presente su questa barca. Egli si preoccupa per voi, rimane con voi in ogni momento, nel dondolio della barca agitata dalle acque. In un altro passo del Vangelo, in mezzo alle difficoltà, i discepoli vedono che Gesù si avvicina nel mezzo della tempesta e lo accolgono sulla barca; così anche voi, quando la tempesta infuria, lasciate salire Gesù sulla barca, perché quando «salì sulla barca con loro […] il vento cessò» (Mc 6,51). È importante che insieme teniate lo sguardo fisso su Gesù. Solo così avrete la pace, supererete i conflitti e troverete soluzioni a molti dei vostri problemi. Non perché questi scompariranno, ma perché potrete vederli in un’altra prospettiva.
Solo abbandonandovi nelle mani del Signore potrete affrontare ciò che sembra impossibile. La via è quella di riconoscere la fragilità e l’impotenza che sperimentate davanti a tante situazioni che vi circondano, ma nello stesso tempo di avere la certezza che in questo modo la forza di Cristo si manifesta nella vostra debolezza (cfr 2 Cor 12,9). È stato proprio in mezzo a una tempesta che gli apostoli sono giunti a riconoscere la regalità e la divinità di Gesù e hanno imparato a confidare in Lui.
Alla luce di questi riferimenti biblici, vorrei cogliere l’occasione per riflettere su alcune difficoltà e opportunità che le famiglie hanno vissuto in questo tempo di pandemia. Per esempio, è aumentato il tempo per stare insieme, e questa è stata un’opportunità unica per coltivare il dialogo in famiglia. Certamente ciò richiede uno speciale esercizio di pazienza; non è facile stare insieme tutta la giornata quando nella stessa casa bisogna lavorare, studiare, svagarsi e riposare. Non lasciatevi vincere dalla stanchezza; la forza dell’amore vi renda capaci di guardare più agli altri – al coniuge, ai figli – che alla propria fatica. Vi ricordo quello che ho scritto in Amoris laetitia (cfr nn. 90-119) riprendendo l’inno paolino alla carità (cfr 1 Cor 13,1-13). Chiedete questo dono con insistenza alla Santa Famiglia; rileggete l’elogio della carità perché sia essa a ispirare le vostre decisioni e le vostre azioni (cfr Rm 8,15; Gal 4,6).
In questo modo, stare insieme non sarà una penitenza bensì un rifugio in mezzo alle tempeste. Che la famiglia sia un luogo di accoglienza e di comprensione. Custodite nel cuore il consiglio che ho dato agli sposi con le tre parole: «permesso, grazie, scusa». [5] E quando sorge un conflitto, «mai finire la giornata senza fare la pace». [6] Non vergognatevi di inginocchiarvi insieme davanti a Gesù nell’Eucaristia per trovare momenti di pace e uno sguardo reciproco fatto di tenerezza e di bontà. O di prendere la mano dell’altro, quando è un po’ arrabbiato, per strappargli un sorriso complice. Magari recitare insieme una breve preghiera, ad alta voce, la sera prima di addormentarsi, con Gesù presente tra voi.
È pur vero che, per alcune coppie, la convivenza a cui si sono visti costretti durante la quarantena è stata particolarmente difficile. I problemi che già esistevano si sono aggravati, generando conflitti che in molti casi sono diventati quasi insopportabili. Tanti hanno persino vissuto la rottura di una relazione in cui si trascinava una crisi che non si è saputo o non si è potuto superare. Anche a queste persone desidero esprimere la mia vicinanza e il mio affetto.
La rottura di una relazione coniugale genera molta sofferenza per il venir meno di tante aspettative; la mancanza di comprensione provoca discussioni e ferite non facili da superare. Nemmeno ai figli è risparmiato il dolore di vedere che i loro genitori non stanno più insieme. Anche in questi casi, non smettete di cercare aiuto affinché i conflitti possano essere in qualche modo superati e non provochino ulteriori sofferenze tra voi e ai vostri figli. Il Signore Gesù, nella sua misericordia infinita, vi ispirerà il modo di andare avanti in mezzo a tante difficoltà e dispiaceri. Non tralasciate di invocarlo e di cercare in Lui un rifugio, una luce per il cammino, e nella comunità una «casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 47).
Non dimenticate che il perdono risana ogni ferita. Perdonarsi a vicenda è il risultato di una decisione interiore che matura nella preghiera, nella relazione con Dio, è un dono che sgorga dalla grazia con cui Cristo riempie la coppia quando lo si lascia agire, quando ci si rivolge a Lui. Cristo “abita” nel vostro matrimonio e aspetta che gli apriate i vostri cuori per potervi sostenere con la potenza del suo amore, come i discepoli nella barca. Il nostro amore umano è debole, ha bisogno della forza dell’amore fedele di Gesù. Con Lui potete davvero costruire la «casa sulla roccia» (Mt 7,24).
A tale proposito, permettetemi di rivolgere una parola ai giovani che si preparano al matrimonio. Se prima della pandemia per i fidanzati era difficile progettare un futuro essendo arduo trovare un lavoro stabile, adesso l’incertezza lavorativa è ancora più grande. Perciò invito i fidanzati a non scoraggiarsi, ad avere il “coraggio creativo” che ebbe san Giuseppe, la cui memoria ho voluto onorare in questo Anno a lui dedicato. Così anche voi, quando si tratta di affrontare il cammino del matrimonio, pur avendo pochi mezzi, confidate sempre nella Provvidenza, perché «sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere» (Lett. ap. Patris corde, 5). Non esitate ad appoggiarvi alle vostre famiglie e alle vostre amicizie, alla comunità ecclesiale, alla parrocchia, per vivere la futura vita coniugale e familiare imparando da coloro che sono già passati per la strada che voi state iniziando a percorrere.
Prima di concludere, desidero inviare un saluto speciale ai nonni e alle nonne che nel periodo di isolamento si sono trovati nell’impossibilità di vedere i nipoti e di stare con loro; alle persone anziane che hanno sofferto in maniera ancora più forte la solitudine. La famiglia non può fare a meno dei nonni, essi sono la memoria vivente dell’umanità, «questa memoria può aiutare a costruire un mondo più umano, più accogliente». [7]
San Giuseppe ispiri in tutte le famiglie il coraggio creativo, tanto necessario in questo cambiamento di epoca che stiamo vivendo, e la Madonna accompagni nella vostra vita coniugale la gestazione della cultura dell’incontro, così urgente per superare le avversità e i contrasti che oscurano il nostro tempo. Le tante sfide non possono rubare la gioia di quanti sanno che stanno camminando con il Signore. Vivete intensamente la vostra vocazione. Non lasciate che la tristezza trasformi i vostri volti. Il vostro coniuge ha bisogno del vostro sorriso. I vostri figli hanno bisogno dei vostri sguardi che li incoraggino. I pastori e le altre famiglie hanno bisogno della vostra presenza e della vostra gioia: la gioia che viene dal Signore!
Vi saluto con affetto esortandovi ad andare avanti nel vivere la missione che Gesù ci ha affidato, perseverando nella preghiera e «nello spezzare il pane» (At 2,42).
E per favore, non dimenticatevi di pregare per me; io lo faccio tutti i giorni per voi.
Fraternamente,
Francesco
DIALOGO DAL FILM QUALCOSA È CAMBIATO (AS GOOD AS IT GETS), DIRETTO DA JAMES L. BROOKS. (1997, USA, TRISTAR PICTURES, GRACIE FILMS)
“Tu… io forse sono l’unica persona sulla faccia della Terra che sa che sei la donna più in gamba della Terra. Io forse sono l’unico che capisce e apprezza quanto tu sei straordinaria per ogni singola cosa che fai… per quello che fai con Spencer… “Spence”! E per ogni singolo pensiero che hai e per come dici quello che hai in mente e perché quello che dici è quasi sempre legato profondamente con l’essere onesti e buoni. Io… io credo che a molte persone sfugga questo di te e io le osservo e mi chiedo come facciano a guardarti mentre gli porti da mangiare e sparecchi i loro tavoli senza capire che hanno appena incontrato la donna più straordinaria che esista? E il fatto che io lo capisco, mi fa sentire bene… con me stesso!”.
IL DIALOGO NELLA COPPIA – P. MARGINI, ESERCIZI SPIRITUALI TENUTI A DUE COMUNITÀ DI FAMIGLIE, 30-31 GENNAIO / 1 FEBBRAIO 1965; DA REGISTRAZIONE AUDIO
Bisogna arrivare a un’intensa confidenza, di modo che l’animo di ognuno si possa riversare sempre, in ogni occasione, in ogni circostanza, in ogni eventualità, nell’animo dell’altro […].
La base della confidenza è la fiducia. Bisogna stimare l’altro e stimarlo capace di capire noi e di abitare in noi. Una fiducia quindi che deve essere somma, che non deve essere il frutto di un faticoso sforzo, ma piuttosto una naturale conseguenza di tutta una serie di premesse.
La fiducia, dicevo, è stima; la stima nasce da una considerazione attenta dell’altra persona: in essa ci sono elementi soprannaturali, ci sono elementi umani che Dio ha diffuso. Bisogna prendere atto del dono di Dio; bisogna prendere atto di quello che il Signore ha fatto nell’altro. E quanto più uno è umile, tanto più riesce a trovare nell’altro i pregi. Il vero umile è proprio colui che riesce a vedere tutta la ricchezza che Dio ha sparso negli altri, nei fratelli; riesce a vederla, e riesce ad ammirarla, e ne fa strumento della propria edificazione.
Dovete guardare all’elemento “umiltà” come a un buon elemento di base per la vostra vita di sposi. Quando in una famiglia ci son due umili, ci sono due che tengono molto fresco il loro amore, proprio perché sanno scoprire in loro stessi i doni che Dio ha messo. Le passioni allora non offuscano il loro sguardo; si vogliono troppo bene e per questo sanno perdonarsi i difetti e sanno ammirare vicendevolmente le virtù. È necessario che guardiate gli altri in uno spirito di assoluta generosità; e lo è ancora di più quando si tratta del proprio sposo e della propria sposa.
Primo elemento: impegnarvi alla stima. Apprezzatevi, perché siete il regalo che Dio ha fatto all’altro. Apprezzatevi, perché Dio, che vi ha messo insieme, vi ha messi insieme perché realizziate qualche cosa di grande. Non vi ha messo insieme a caso, non vi ha messi insieme così, senza criterio: siete fatti l’uno per l’altra! E allora dovete ammirare ciò che non c’è in voi, ma c’è nell’altro. Dovete ammirare e dovete gioire in questa ammirazione. Ecco allora il vostro impegno: “Io mi vorrò disincagliare da tutte le brutte impressioni che il mio egoismo suscita in me e che mi impediscono di vedere il bene, tutto il bene nell’altro”. Senso di umiltà, senso di stima, senso di profondo equilibrio.
Stima e, in secondo posto, uso sapiente di ciò che si sa. Come si può affidare infatti un proprio segreto, affidare la propria anima, se non se ne fa un uso più che sapiente? Molte volte si sono rotte le confidenze perché si è abusato della confidenza, perché si è tirata fuori la confidenza fatta al momento meno opportuno, perché si è fatta pesare, perché ci si è ragionato su sfacciatamente, inconsideratamente. Un segreto, anche tra due sposi, è sempre una cosa che bisogna prendere con il gesto di chi riceve una cosa sacra: bisogna riceverla in ginocchio, con trepidazione.
Terzo: alle volte viene a mancare la confidenza, non perché manchi la stima, non perché si sia fatto un cattivo uso di ciò che è stato detto; ci si blocca per un senso sciocco di colpa, una forma di complesso di inferiorità. Ci si lascia prendere dal proprio pessimismo, dalla propria malinconia, dalla propria stanchezza. Ci si lascia prendere da un coefficiente di peso e di angustia e non si cammina più. Bisogna che realizziate un sano ottimismo.
Quarto elemento. Dovete realizzare la confidenza, realizzando un’uguaglianza di carattere, in modo da togliere tutte le oscillazioni: oscillazioni basse, musi, grugni, sorde irritazioni, resistenze passive, scioperi taciti […].
Evitare questi scogli vuol dire già costruire una confidenza perfetta? Assolutamente no; la confidenza si sviluppa soprattutto dal vivere insieme un ideale, dal sentirsi capiti, nel fare insieme le cose. Quando si vive insieme il proprio ideale e lo si vive così, concretamente, attraverso le singole azioni, uno si sente aiutato nel fare ciò che il dovere gli comanda di fare.
Quando la donna si sente isolata e lui è un “tontone” che non le dà una mano e dice: “Pensaci tu, veh! Pensaci tu. I bambini te li tiri su tu! Al tuo lavoro pensi tu!”… attenzione! La donna deve essere aiutata nei suoi problemi. L’uomo deve essere aiutato nei suoi problemi. Dovete vivere non due vite che si incollano a vicenda in certi momenti; dovete vivere un’unica vita!
Lei va a far scuola? Anche lui deve andare a far scuola con lei. Lui è impegnato in una determinata forma di professione? Anche lei. Lei rimane in casa? Anche lui! Mi capite quello che vi voglio dire, vero? Non siete due incollati per qualche momento; siete due che dovete vivere insieme totalmente la vostra vita.
Allora sì che nasce la confidenza, allora sì che le difficoltà dell’uno sono difficoltà di tutti e due; le gioie dell’uno sono le gioie di tutti e due; allora sì che tutta la vita è musicalmente sentita in un’unica armonia […].
L’AMORE, STRADA AL COMPIMENTO DELL’IO – Massimo Camisasca, Amare ancora, Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani. Edizioni Messaggero, Padova 2011, 28-29
Erich Fromm scrive: “Ho bisogno di te per essere me stesso […]. Amandoti, tu mi dai a me stesso, tu mi permetti di essere”1. Questa frase esprime in sintesi l’amore come incontro che decide dell’identità di ogni persona. Mi sembra importante però ricordare che non c’è verità nell’amore inteso come incontro di anime belle. «Nella mia esperienza quotidiana – mi scrive un’amica – mi capita spesso di stare davanti alla “diversità” di mio marito e dei miei figli, alla loro “alterità”. Questo può, a volte, costituire una ragione di fatica. Se parto però dalla consapevolezza della mia sproporzione, della mia impossibilità a essere per l’altro il suo compimento totale, finisco per guardare loro amandoli, poiché amo Colui che è loro destino. Divento così capace di stima, tenerezza e affezione più ancora che se partissi da un sentimento appassionato».
Per alcuni l’alterità, la differenza profonda di colui o di colei de hanno scelto come compagno o compagna di tutta la vita, suscita paura, «L’alterità non diventi una tomba!», mi scrive ancora un amico. E da un’altra famiglia ricevo questo racconto: «Per comprendere la nostra diversità siamo costretti a uscire da noi stessi, a punto più vero dell’altro, alla sua grandezza. Qui scopriamo perché proprio noi due, così come siamo fatti, siamo stati scelti per vivere insieme».
- Fromm, The art of loving: New York 1952, 77, cit. in J. Pieper, Sull’amore. Morcelliana, Brescia 1974, 53.
- Cfr J. Pieper, Sull’amore, op. cit., 89
- Cfr Francesco di Sales, Traitè de l’amour de Dieu, I, Nierat, Annecy 1894, 71.
Per questa ragione ogni rapporto d’amore è sempre interessato e disinteressato. E disinteressato perché si nutre di gratuità: l’altro è amato perché c’è, non per quello che mi può dare. È nello stesso tempo interessato: l’amore è sempre preferenza. Essere amati significa essere visti come un caso d’eccezione2.
La Deus caritas est mostra in modo mirabile l’unità fra amor concupiscentiae e amor benevolentiae. L’enciclica svela che l’amore di concupiscenza, cioè quello sensuale, non nega la gratuità dell’amore. Il nostro è un amore bisognoso, indigente, un amore che mira alla felicità, un amore fecondo, che gode del bene dell’amato. L’amore è il punto in cui la volontà si unisce e si congiunge alla gioia e al bene di un altro3.
- Fromm, The art of loving: New York 1952, 77, cit. in J. Pieper, Sull’amore. Morcelliana, Brescia 1974, 53.
- Cfr J. Pieper, Sull’amore, op. cit., 89
- Cfr Francesco di Sales, Traitè de l’amour de Dieu, I, Nierat, Annecy 1894, 71.
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