“Le feste dei misteri del Signore sono avvenimenti che fanno sentire la loro grazia. Noi ci prepariamo, perché in modo misterioso, ma efficacissimo, il Signore nel Natale verrà a noi, ci darà la grazia che ci ha meritato con la sua nascita”. Don Pietro Margini
I Domenica Tempo di Avvento – Anno A
Is 2, 1-5 Sal 121 Rm 13, 11-14 Mt 24, 37-44
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Il Signore ci ammonisce: “Vegliate!” (Mt 24, 42). Vegliare è proprio il contrario del dormire. Vegliare vuol dire stare desti, stare attenti e stare pronti. Come dobbiamo sentire forte questo richiamo e questo invito, perché noi, purtroppo, tendiamo al sonno. A quel dormicchiare che è tipico di certi cristiani; quel dormicchiare, per cui niente si afferma di veramente forte e di veramente generoso… un dormicchiare. Certe anime sono così: un dormicchiare nella preghiera, quel russare placido, quel lasciare passare il tempo e poi stare tranquilli in coscienza. Si dice: “Ho pregato”, ma come hai pregato?! “Ho fatto il mio dovere di preghiera”, ma non t’accorgi che la tua preghiera è rifiutata, perché è posta male, perché è sgraziata nella tua attenzione e in ciò che chiedi, perché la tua preghiera è restata quale era l’anno scorso e l’anno di là e non ha fatto un passo in avanti. Si dice: “Ho osservato la legge del Signore”, ma con quale animo? Con quale amore? Con quale prontezza? Ecco, l’invito della liturgia è proprio quello di svegliarsi, “svegliarsi dal sonno”, dice proprio l’apostolo san Paolo, svegliarsi (Rm 13, 11). Noi abbiamo bisogno di rinnovarci, di dare un tono forte e vivo alla nostra spiritualità. Ne abbiamo bisogno individualmente, ne abbiamo bisogno comunitariamente e l’elenco sarebbe lungo.
Vorrei però soprattutto fermarmi nel richiamare la vostra riflessione sulla nostra vita liturgica, perché abbiamo bisogno di capire quanto è preziosa, quanto è importante la liturgia, giacché è la preghiera della Chiesa di Dio; giacché è l’assemblea nella quale è presente il Signore. La liturgia, che alcuni non conoscono, perché alla Messa fanno da svogliati spettatori e sono assenti alle lodi, né manco si sognano di essere a vespro… né manco si sognano. Hanno tante cose da fare e di tante cose sono preoccupati e non capiscono la forza, la gloria del popolo di Dio che si riunisce attorno all’altare del Signore, che si riunisce in un canto di lode. Il popolo di Dio che si riunisce nel giorno di festa per magnificare il Signore, per dirgli tutto l’amore, per dirgli tutta la forza di una riconoscenza per sé e per tutti. Perché, se cantiamo le lodi, non le cantiamo solo per noi, ma le cantiamo per tutti: le cantiamo come riparazione di tutte le bestemmie e di tutti gli spropositi e le oscenità. Oh, lo sappiamo bene, le parole più frequenti sono bestemmie e a noi sa fatica trovarci la domenica e lodare il Signore e benedirlo e dirgli che è grande e che la sua misericordia è la nostra salvezza. Pregarlo per tutti, pregarlo per la pace del mondo, perché gli uomini sono molto stolti, parlano continuamente di pace, ma dimenticano il Dio della pace; dimenticano che non si edifica la casa se il Signore non ci mette mano! Parlano, parlano, parlano e non pregano! Parlano e si compiacciono delle loro parole e dei loro trattati e dei loro progetti e dimenticano Dio, da cui viene ogni bene. E nei vespri, ci troviamo proprio per riconoscere come tutto viene dal Signore, come il ringraziamento gli è dovuto. Non è una cosa che possiamo fare o non fare: il popolo di Dio sente la gratitudine dovere di giustizia; sente la gratitudine necessaria posizione per avere altre grazie, altre benedizioni. Ci dobbiamo animare dunque e trovarci volentieri e fare i sacrifici per trovarci e sapere mettere in ordine le cose e dare una gerarchia ai nostri valori. Trovarci insieme, perché la lode a Dio è in fondo lo scopo della nostra vita. Noi siamo creati per la gloria e la lode di Dio! Oh com’è bello che non siamo fatti per le cose che passano, per le cose del mondo, per le cianfrusaglie che gli uomini senza Dio adorano; siamo fatti per la lode, siamo fatti per la benedizione, siamo fatti per immergerci nel Signore nel tempo e prepararci all’eternità! L’Avvento dice: “Svegliatevi”, ma aggiunge anche: “La salvezza è vicina” (Rm 13, 11). Quando si lavora per Iddio il tempo è ben sacro, il tempo passa presto: andiamo con gioia incontro al Signore.
Lunedì I settimana Tempo di Avvento
Is 2, 1-5; Mt 8, 5-11
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
L’episodio, che abbiamo ascoltato, suscita il nostro più grande interesse. Si dice dunque che Gesù è ammirato di un uomo: che cosa ammira il Figlio di Dio nell’uomo? Che cosa può ammirare in noi? Lo avete udito: Gesù ammira questa confidenza, questa fede, questo abbandono totale che esprime il soldato romano (cfr. Mt 8, 5-11). Gesù allora apprezza in una maniera piena coloro che hanno fede, coloro che non confidano in sé, confidano in lui, coloro che s’abbandonano con tutta la loro anima all’azione della Provvidenza e dell’amore di Dio, perché molte volte noi facciamo troppo conto delle cose umane e poco di quelle divine, facciamo molto conto delle nostre energie e non dell’intervento del Signore. Stasera dobbiamo dunque chiedere la fede ed è nella fede che si deve sviluppare fino in fondo la nostra generosità, la fede di Maria che ci è di esempio, perché come le disse Elisabetta: “Beata te, che hai creduto” (cfr. Lc 1, 45). La vita di Maria è stata totalmente nella fede, ha creduto al momento dell’annunciazione perché non è impossibile a Dio nessuna cosa. Si trovava di fronte al più grande miracolo, al più misterioso intervento di Dio e Maria, richiesta del suo consenso, lo dà pieno e professa la sua totale arrendevolezza: “Ecco la schiava del Signore” (cfr. Lc 1, 38). E così tutta la vita di Maria è un tessuto di fede e di abbandono, di confidenza e di amore. È nella fede che va da Elisabetta e la grazia dello Spirito Santo la segue e la fa veicolo della santità del nascituro Giovanni Battista. Con la fede ritorna, nell’angoscia che presentava la situazione sua con Giuseppe. Nella fede va a Betlemme e là abbraccia il suo Gesù. Nella fede va in Egitto, nella fede va a Nazareth, nella fede vive gli anni di Nazareth, nella fede segue Gesù nell’evangelizzazione, nella fede offre il suo Figlio sul Calvario. Maria è vissuta di fede e noi dobbiamo accogliere fino in fondo il suo mirabile invito, l’invito ad essere anche noi sostanziati di fede, a fidarci dell’opera di Dio, ad abbandonarci all’opera di Dio, ad essere pieni di generosità ogni qual volta il Signore chiede qualcosa da noi. Proponiamoci, questo giorno della Novena, di chiedere questa grazia per essere veramente come il servo del centurione, curati, curati dalla misericordia di Dio, che interviene in tutti coloro che s’abbandonano a lui. “Vieni, Signore, a liberarci. Fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (cfr. Sal 80, 20 ; Sal 80, 8; Sal 80, 4). Lo splendore del suo volto lo percepiamo nella fede, finché arriveremo a vederlo nella realtà, nella gloria.
Martedì I settimana Tempo di Avvento
Is 11,1-10; Lc 10,21-24.
Dal Vangelo secondo Luca
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Gesù è il centro della storia: tutto quello che è stato prima di Lui confluisce in Lui, e tutto quello che è venuto dopo di Lui, fino alla fine del mondo, dipende da Lui. È veramente il centro di tutta la tribolazione del mondo, che ha avuto in Lui la sua spiegazione; è il centro della gioia del mondo, che ha avuto in Lui la sua speranza.
Dobbiamo veramente sentire come questo Avvento ci deve rendere forti e pronti ad ogni volontà del Cristo. Con Lui è la Madonna, perchè è a Lui indissolubilmente unita.
I patriarchi hanno guardato a Gesù, ma hanno guardato anche a chi è venuto per portarci Gesù.
La Madonna è venuta a portarci Gesù. E quando Abramo acconsentì alla chiamata di Dio, diventò il capo del popolo eletto; Maria ne è stata la vera grandezza, la vera nobiltà, il vero culmine della santità. Il popolo eletto è stato onorato da Cristo, ma è stato onorato anche dalla Beata Vergine, la creatura più santa, la creatura più amabile, la creatura più potente.
Ecco perchè dobbiamo vedere un tratto della misericordia infinita di Dio l’averci dato Maria, avercela data come esempio, come modello, come madre.
Siamo chiamati figli di Dio, è la nostra vocazione essenziale. La Madonna ha saputo entrare meravigliosamente nel piano di Dio: lei ha detto di sì, ha detto di sì con la sua vita, ed è stata discepola di Cristo oltre che sua madre.
E ci ricorda che è con noi, perchè noi realizziamo la nostra vocazione, perchè noi possiamo, come Abramo, dire il nostro assenso a tutto il piano di Dio. Per ognuno di noi, Dio ha un suo progetto, un progetto che supera ogni nostra intelligenza e ogni nostra aspettativa. Dio ha un progetto e noi dobbiamo collaborare a questo progetto e non dobbiamo perdere neanche un momento solo, perchè anche noi, prima ancora che ci fosse il mondo, siamo stati pensati da Dio e siamo stati predestinati ad essere santi e immacolati al suo cospetto (cfr Ef 1,4).
La nostra vocazione è la vocazione ad essere come Gesù, con l’aiuto di Maria, lasciando che Maria possa esercitare su di noi la sua maternità.
Il nostro progetto deve coincidere con il progetto di Dio.
In questo primo giorno della Novena, proponiamoci di sentire la nostra vocazione, che è la vocazione di figli di Dio, perciò vocazione alla santità, all’adempimento pieno della nostra chiamata.
Diciamo di sì e siamo più fervidi e siamo più raccolti e preghiamo meglio in questo tempo d’Avvento.
Mercoledì I settimana Tempo di Avvento
Rm 10, 9-18; Mt 4, 18-22
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
La figura mirabile di S. Andrea apostolo attira tutta la nostra devozione. Sant’ Andrea è stato uno dei primi a seguire Gesù, Lo ha seguito ed è stato amato e donato in modo particolare da Gesù e da Gesù ha appreso una grande cosa, che lo renderà particolarmente per noi maestro: l’amore alla croce. Sant’ Andrea dopo le sue peregrinazioni apostoliche consumò il suo martirio su una croce e al vedere quella croce, preparata per lui, esultò, fu preso non da paura o da sgomento, ma da gioia e disse: “O buona croce, che hai accolto Gesù, accogli anche me che sono suo discepolo”.
Sant’ Andrea offrì così il suo sangue, immolò così la sua vita a somiglianza di Gesù. “Seguitemi” (Mt 4, 19) aveva detto Gesù e Andrea Lo seguì fino in fondo, fino ad avere lo stesso martirio, fino ad avere la stessa incomparabile gloria.
Ed è qui che la nostra fede deve accrescersi. La nostra fede! Perchè, di fronte alle lotte e alle tribolazioni della vita, chi non ha fede vacilla e si perde, ma chi ha fede nella croce di Cristo sa che la croce, abbracciata, è principio della pace vera e della gioia vera. Gesù lo ha detto: “Beati quelli che soffrono, perché saranno consolati” (Mt 5, 4).
Nella Vergine Santa, in Maria nostro modello, vediamo come questo amore alla croce è stato tanto prezioso e tanto accetto a Dio. Quando vediamo la Madonna vicino alla croce di Gesù, sul Calvario, La vediamo come un’unica cosa con Gesù. Ella non era solo vicino, con l’anima era identificata a Gesù, in una fede gigante ha saputo offrire il martirio del suo cuore. Dobbiamo da Lei imparare ad accettare con umiltà, ad accettare con spirito di rassegnazione, ma più ancora con spirito di amore, le cose contrarie, le cose che ci fanno soffrire, le cose che, seminate, poi danno tanta messe di gloria. Il cristiano sa soffrire, perché sa maturare quello che il Signore ha messo nel suo cuore e ha partecipato a noi. Gesù nel suo cuore ha messo l’amore alla croce. Vi ricordate le sue parole? “Di ardente desiderio ho visto quest’ora” (Gv 12, 27; Lc 22, 14-15). Desiderava l’ora della croce, desiderava manifestare pienamente al Padre il suo amore e manifestarlo agli uomini. Gesù, a tutti quelli che lo seguono, dà questa partecipazione come la diede alla Madonna, come in sommo grado la Madonna corrispose, così dà a noi e dobbiamo con fede e con umiltà corrispondere sempre.
Giovedì I settimana Tempo di Avvento
Is 26,1-6; Mt 7,21. 24-27.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
La roccia su cui costruire la nostra casa è Cristo Signore. Come dice l’apostolo è “la pietra di angolo” (cfr Ef 2,20); la pietra che sostiene è Lui. E solo in Lui possiamo avere la solidità e la speranza. Solo in Cristo, perché Lui ci ha salvato, perché Lui continuamente ci salva, continuamente ci dona il tesoro della sua grazia, quella grazia per la quale siamo figli di Dio, quella grazia per la quale l’anima nostra è come divinizzata. Una meraviglia è il capolavoro di Dio: delle povere creature, delle creature che pure conoscono il peccato, possono dire a Dio infinito: “Tu, Signore, sei mio Padre e io ti amo e confido in te”.
Questa è l’opera che ha fatto Gesù e dobbiamo essergli sempre continuamente riconoscenti. La Chiesa ci insegna a ripetere in ogni Messa il nostro dovere di ringraziamento: “Rendiamo grazie al Signore nostro Dio”. Un prodigio il regalo della grazia. Gesù è venuto per opera di Maria, ecco perché la chiamiamo la «Madre della Grazia divina», perché ci ha dato Gesù e Gesù ci ha dato copiosi i frutti del suo sacrificio. Ecco perché con grande confidenza dobbiamo ricorrere alla Madonna, dobbiamo chiamarla, dobbiamo invocarla, dobbiamo onorarla, dobbiamo diventare dei veri suoi figli, docili ai suoi insegnamenti, sensibili alle sollecitudini materne che ci vengono da lei. Dobbiamo vivere uniti al Cuore Immacolato di Maria. Imparare con quale tenerezza dobbiamo invocare il Padre, con quale slancio dobbiamo testimoniare la sostanza della nostra vita cristiana che è proprio la fede e la grazia. Impariamo dalla Madonna a vincere ogni tentazione e invochiamo lei così premurosa, così pronta. Invochiamola che fissi su di noi i suoi occhi misericordiosi e ci dia quel coraggio, quella logicità nelle nostre azioni che testimoniano quanto grandemente apprezziamo il frutto della Croce, della Resurrezione di Gesù: la grazia divina.
Venerdì I settimana di Avvento
Is 29, 17-24; Mt 9, 27-31
Dal Vangelo secondo Matteo
“In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!».
Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.”
La guarigione di due ciechi ci ricorda il nostro problema, il problema di vederci nella fede e di vederci soprannaturalmente, perché è una grande disgrazia la cecità spirituale. Impedisce ogni movimento. Ciechi non si sa dove andare e non si sa come camminare. Non si riesce. La vita spirituale si chiama «vita interiore» proprio perché risiede nel cuore, proprio perché si indirizza alla santissima Trinità che abita nell’intimo dell’anima nostra.
Noi dobbiamo capire l’ufficio che nel piano di Dio ha la Madonna. La Madonna mirabilmente grande, mirabilmente amabile ha cura di noi; sa come è facile la nostra malattia spirituale, come è facile cadere così pesantemente in questa cecità spirituale. Ed ecco perché è vicino a noi, posta da Dio.
La chiamiamo «Mediatrice di tutte le grazie», cioè: le grazie che Dio ci dona per mezzo di Gesù passano da Gesù nelle mani di Maria. Perciò è giusto, è voluto dal piano di Dio che noi ricorriamo a lei, che ricorriamo a lei con fiducia, che ricorriamo a lei con umiltà, che ricorriamo con tanta perseveranza. Altrimenti non c’è sviluppo di vita spirituale e facilmente siamo bloccati anche su delle cose che hanno costituito tante volte i nostri migliori propositi.
Non basta la volontà umana, non bastano i mezzi umani. Abbiamo bisogno di un aiuto dall’alto ed è Maria che ci aiuta a capire meglio Gesù, a diventare veri discepoli di Gesù, ad amare ciò che ha amato Gesù, a buttare via ciò che Gesù non ha voluto. È Maria che ci insegna questa vista soprannaturale del saper guardare a Gesù nostro modello, del saper conformarci a Lui, del sapere essere pronti, sempre pronti, alla mozione interiore dello Spirito. Il Signore ci ha dato lo Spirito che ci educa, che ci spinge, che costruisce in noi la vera vita spirituale. Perciò il nostro proposito sarà andare dalla Madonna, chiamarla, chiamarla spesso. Ed ella verrà in nostro aiuto, ci farà progredire nel bene, nella vita spirituale.
Sabato I settimana di Avvento
Is 30,19-21.23-26; Mt 9,35-10,1.6-8
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
“Voce di uno che grida” (Lc 3, 4). E questa voce, risuonata allora, ha passato i secoli e risuona anche a noi, risuona nel nostro cuore, risuona nella Chiesa, risuona davanti al silenzio del Tabernacolo, risuona nella Liturgia solenne Eucaristica.
Il vangelo racconta il potere meraviglioso che aveva Gesù di fare miracoli e il potere che aveva di darlo ai discepoli: guarivano ogni sorta di malattie e di infermità. La sua compassione era infinita. Noi sappiamo bene di essere malati, di malattie del nostro spirito. Sappiamo di essere malati e abbiamo bisogno di Lui, di Lui medico, meravigliosamente potente da vincere anche le resistenze più testarde; Lui così comprensivo da non ritirarsi di fronte alle nostre infedeltà.
Con quanto coraggio dobbiamo andare a Lui e voler guarire dai nostri difetti e voler convertirci e volere attuare una riconciliazione piena e magnifica, vincendo le nostre colpe e costruendo le nostre virtù, quelle virtù che sono il fondamento di una vita santa, di una vita feconda di bene. Noi dobbiamo perciò avere tanta fiducia nel Signore.
In questo tempo di Avvento dobbiamo insistere per migliorare noi stessi, per non restare avviliti e sgomenti di fronte al ripetersi delle nostre colpe. La Madonna è chiamata nelle litanie il «Rifugio dei peccatori». Quando i peccatori non sanno come fare, non sanno dove rivolgersi, non sanno in quale dimore potere rimanere, ecco la Madonna! La Madonna è il rifugio, accoglie tutti i peccatori. Perciò siamo ben sicuri di avere da lei un aiuto meraviglioso, paziente, continuo per potere andare a Gesù, per potere essere accolti e guariti da Gesù. Noi dobbiamo imparare quanto è preziosa questa virtù della Madonna, la virtù della sua meravigliosa bontà. Quanto questa virtù è necessaria per noi ed è motivo di tanta confidenza!
Andare a Gesù presentati dalla Madonna è la sicurezza della guarigione. Bisogna che ci facciamo presentare dalla Madonna. Bisogna che la Madonna resti sempre la nostra sicurezza. Lei ci vuole bene, ci vuole bene perché è Madre nostra, ci vuole bene perché Gesù ci ha dato a lei. Ed essendo suoi, vuole per ognuno di noi usare le sue tenerezze e le sue premure. A lei perciò ripetiamo la nostra fiducia, a lei raccomandiamoci con molta forza.
II Domenica di Avvento – Anno A
Is 11, 1-10; Rm 15, 4-9; Mt 3, 1-12
1In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
3Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
4Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. 5Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; 6e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.
7Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? 8Fate dunque frutti degni di conversione, 9e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. 10Gia la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. 12Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».
Davanti ai nostri occhi si erge alta, forte, austera, grande la figura di Giovanni Battista. E come allora anche a noi ripete la parola: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”.
Abbiamo bisogno di una persuasione che sia profonda nel nostro animo. La persuasione che abbiamo bisogno di convertirci per lasciare tutte le cose che non piacciono al Signore, per abbandonare le mediocrità, per essere pronti per il regno di Dio. Perché il regno di Dio è regno di amore. È regno di un grandissimo amore perché è la volontà del Padre che ha mandato Gesù per amore. E vuole che noi ci diamo a Gesù con amore. È dell’amore che ha bisogno il nostro cuore. È l’amore che deve essere dominante in tutta la nostra vita e non l’orgoglio, non l’egoismo, non la chiusura in una forma sbagliata di pretesa.
Abbiamo bisogno così di penitenza: di una penitenza di amore e di una penitenza di fede. Abbiamo bisogno di questo dominio di noi stessi per dirigere meglio tutte le nostre cose, per fare della preghiera la vera atmosfera della nostra giornata.
Ai farisei Gesù diceva “razza di vipere”. Perché erano vipere? Erano vipere perché davano veleno, morsicavano dando veleno e così stravolgevano la legge di Dio, erano ipocriti. Giovanni Battista li conosceva bene. Non è il nome di cristiani, anche per noi, che ci salva. Sono le opere del cristiano che ci salvano. E su queste opere dobbiamo, in questo Avvento, insistere molto. Fare le opere buone. Perché torna la parola: “La scure è posta alla radice e ogni albero che non fa frutto buono viene tagliato e gettato nel fuoco” (cfr Lc 3,9).
Quali sono i nostri frutti? Quali sono le nostre opere buone? Che cosa può attirare in noi lo sguardo di Dio? Che cosa può attirare la sua compiacenza? Le opere buone: le opere di carità, le opere di misericordia, il saper perdonare, il saper essere generosi, il saper dare a chi non dà, il saper essere in perdono per chi non perdona. Dobbiamo fare queste opere buone e non accontentarci di parole, perché sarebbe un Avvento di parole. Deve essere invece una strada di servizio a Dio e di amore a Lui.
Sentiamo allora urgente e forte questo bisogno della penitenza di amore e facciamo sì che le nostre opere realizzino questa impostazione di fede. Facciamo sì che la nostra giornata sia ricca di amore, ricca di dono, ricca di fede.
Proponiamoci questo oggi, proponiamocelo con vera decisione e con vera umiltà per essere proprio a disposizione di Dio e sentire che è vero che traduciamo l’esortazione di Giovanni Battista: “Convertitevi”.
Ripetiamo: “Sì, Signore, noi ci convertiamo perché abbiamo capito che il tuo regno è regno di carità, è regno di misericordia, è regno che cerca il nostro bene, la nostra vera felicità”.
dPM Omelia, II Domenica di Avvento – Anno A, 07/12/1986
Lunedì II settimana Tempo di Avvento
Is 35, 1-10; Lc 5, 17-26
Dal Vangelo secondo Luca
“Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza.Veduta la loro fede, disse: “Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi”.Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: “Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?”. Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: “Cosa andate ragionando nei vostri cuori?Che cosa è più facile dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Àlzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico – esclamò rivolto al paralitico – àlzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”. Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose”.”
“Oggi abbiamo visto cose prodigiose”. E le vediamo anche noi. Vediamo la misericordia di Dio che si riversa su noi peccatori, che non si ferma davanti alle nostre miserie, davanti alla ripetizione delle nostre miserie. Il Signore è pieno di misericordia, riversa conciliazione, Dio risana le anime, le rinvigorisce, le rende forti perché non tornino a soggiacere al peccato.
Noi dobbiamo essere ben consci di questa grande realtà e dobbiamo lodare e benedire l’infinita misericordia di Dio. E sapere anche noi ottenere, attraverso questi mezzi, ottenere la purificazione del nostro cuore, ottenere la progressiva purificazione, perché troppe volte succede che per la nostra pigrizia, per la povertà dei nostri sentimenti, restiamo fermi, restiamo così, senza avere una pienezza che potremmo facilmente ottenere.
La Madonna Immacolata ha vinto Satana e ha sconfitto ogni sorta di peccato. Quando si parla della Madonna, non si può parlare nemmeno di un lievissimo peccato. In tutta la sua vita, la Madonna non ha fatto neppure il più piccolo peccato veniale, neppure l’imperfezione. Tutto in Lei è stato santo e perfetto. La Madonna la chiamiamo “lo specchio della santità”, “Speculum iustitiae”, lo specchio, dove tutti devono confrontarsi e devono migliorarsi.
Ecco, le nostre Confessioni devono essere oggetto delle nostre più intense sollecitudini. Non solo confessarci, ma confessarci bene, ma confessarci nel modo migliore. E’ per questo che, ricordando come la Madonna è la Mediatrice universale, ricordando come la Madonna è Rifugio dei peccatori, dobbiamo invocare la sua intercessione, il suo aiuto; il suo aiuto soprattutto perché possiamo avere un vero dolore dei peccati, un dolore soprannaturale, universale, sommo, un dolore che ponga veramente la nostra anima con sincerità nella presenza e nel perdono del Signore.
Domandiamo alla Beata Vergine questo sostegno, questo aiuto, non fidiamoci delle nostre forze. Chi si fida di se stesso finisce nel fallimento. Ricordiamoci: la Madonna ci è data come sostegno, ci è data come aiuto per vincere i peccati. L’Immacolata è per la vittoria sul peccato. Ricorriamo a Lei perché le nostre Confessioni siano vere e profonde conversioni.
dPM Omelia, Lunedì II settimana Tempo di Avvento, 05/12/1983
Martedì II settimana Tempo di Avvento
Is 40,1-11; Mt 18, 12-14
12Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? 13In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 14Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.
La pagina del Vangelo ci fa sentire forte veemente la tenerezza di Gesù. Chi è quella pecora smarrita? Chi è quella pecora che attira tutta l’attenzione del pastore, il pastore che si dona e che non guarda ai suoi diritti, ma guarda solo la sua bontà? Oh, lo sappiamo: quella pecorella identifica ognuno di noi, perché sentiamo che con i nostri peccati abbiamo disgustato il Signore e ci siamo allontanati da Lui. Ecco, Lui ci cerca, Lui ci cerca in verità, ci cerca non per castigarci, non per rimproverarci, ma per accarezzarci e per donarci.
Abbiamo bisogno di capire la misericordia di Dio, di capire quanto possiamo confidare in questa misericordia. Sull’altare della croce, nel Calvario, Gesù ha offerto al Padre il Suo sacrificio di amore per ognuno di noi. In ogni Messa il Signore ci dona quello che ci ha ottenuto dal Padre, ce lo dona e ce lo dona con particolarissimo amore. Dobbiamo scoprire la Messa come il sacrificio dell’amore. Dobbiamo scoprire nella Messa il grande segreto, il Cuore di Gesù immolato al Padre che si apre per ognuno di noi. Quindi, dobbiamo sentire la Messa come il grande momento del nostro recupero, il grande momento della grazia di Dio, il grande momento della misericordia.
Ed è per questo che dobbiamo proporci di partecipare la Messa insieme alla Madonna, alla Madonna che ha assistito Gesù sul Calvario, che con Lui è in ogni Messa, perché tutta la ricchezza che Gesù ha voluto dare alla Chiesa, la fa passare dal Suo cuore al cuore della Madonna. È Lei che dispensa, è Lei che distribuisce i doni di Dio, è Lei con quella materna cura, con quella singolare vigilanza, con quella meravigliosa bontà, che il Signore ha voluto fosse nella più alta espressione in Maria.
Andiamo da Lei per andare al Cuore di Gesù. Andiamo dal Cuore di Gesù per essere risanati, essere così fortificati nel bene, nel cammino del bene, per ogni nostra giornata.
dPM Omelia, Martedì II settimana Tempo di Avvento, 06/12/1983
Mercoledì II settimana Tempo di Avvento
La Festa dell’Immacolata Concezione è una festa d’incomparabile bellezza; è la festa della vita suscitata così meravigliosa, ricca, come sbocciata in Maria. Il Signore ha fatto di Maria il capolavoro dei secoli, il capolavoro meraviglioso di tutto l’universo, perché è proprio da Lui, infinita sorgente di vita, che ogni vita è venuta. E in Maria è stata così prodigiosamente bella! Noi onoriamo Dio e lo ringraziamo. Noi diciamo che il Signore è stato magnifico nei Suoi disegni, nei Suoi progetti d’amore. Noi ringraziamo il Signore di questo dono elevatissimo, per il quale le generazioni cristiane sarebbero state particolarmente liete, particolarmente arricchite.
Perché i figli che vengono battezzati sono così preziosi? Proprio perché è da questo fiore che sono nati tutti i fiori, è da questo Fiore immacolato che è venuto Gesù, e Gesù è il Redentore di tutti i bimbi battezzati, di tutti quelli che sono nella misericordiosa predestinazione di Dio.
Ecco, esultiamo allora, esultiamo di particolare letizia, unendo questo pensiero di fede a tutta la nostra preghiera, unendo questo pensiero di fede all’affetto di cui è già circondato questo, che ha la gioia di poter essere innestato in Cristo, di poter diventare figlio di Dio, di poter essere unito ineffabilmente a Gesù. Oh sì! pensiero di letizia, pensiero che ci commuove, pensiero che suscita il nostro augurio e la nostra preghiera. Che cosa auguriamo e per che cosa preghiamo, se non perché il disegno di Dio su questa creatura si compia fino alla perfezione, si compia in totalità, si compia in un sovrabbondare della ricchezza divina? È fatto figlio di Dio: viva da figlio di Dio. È fatto membro di Cristo: possa ricopiare in tutto Cristo. È fatto figlio di Maria: possa godere della protezione specialissima di tanta Madre. Possa così, educato, indirizzato, guidato, arrivare dove il Signore lo vuole, dove il Signore lo chiama, dove il Signore vuole che lui dia testimonianza, dove vuole che lui realizzi nella sua vita il Regno di Dio.
Questo noi preghiamo, questo invochiamo, questo intensamente invochiamo, perché si compia veramente e completamente tutta la meravigliosa chiamata e vocazione di essere veramente di Dio, del Suo amore e della Sua gloria.
dPM Omelia, Mercoledì Solennità dell’Immacolata
Giovedì II settimana Tempo di Avvento
Gn 3,9-15.20; Ef 1, 3-6.11-12; Lc 1,26-38.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.
La festa dell’Immacolata Concezione è la festa dello stupore. Tutti siamo chiamati a contemplare il capolavoro di Dio. Un capolavoro così prodigioso, così grande che non cesserà di formare l’ammirazione dell’eternità. Guardiamo alla Vergine santa, alla Vergine senza macchie, alla Vergine dotata di tutti i doni di Dio, alla Vergine che ha corrisposto in maniera unica al piano di Dio. È festa perciò di ammirazione ed è festa di grande gioia. Una festa che noi celebriamo con cuore proprio perché una figlia di Eva, una creatura come noi è stata fatta così grande, così buona, così potente.
Ed è proprio questo motivo di gioia che vuole dare il tono al vostro matrimonio. Una festa di gioia perché volete consacrare la vostra vita qui davanti all’altare, e volete corrispondere al piano di Dio su di voi a somiglianza di come ha corrisposto la Beata Vergine.
Volete assumere la gioia ma anche le responsabilità del matrimonio. Volete adempiere alla missione alla quale Dio vi chiama. Voi lo sapete: è Dio che chiama; voi lo sapete che spetta a voi corrispondere con tutta l’anima perché la corrispondenza fa parte dell’amore. È scritto: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze” (cfr Dt 6,5; Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27).
Lo ponete così il vostro matrimonio: volete che sia motivo di una quotidiana salita di bene, di una quotidiana scoperta della grazia che Dio vi dona e vi darà, volete che il vostro matrimonio sia proprio nell’ordine del piano divino di santificazione perché è il Signore che ha detto: “I due saranno una sola cosa” (Mc 10,7). Volete perciò fare la vostra promessa al Signore, la promessa di un amore forte e fedele, di un amore grande e generoso, di un amore che sa donare e sa sacrificarsi, di un amore posto a servizio del regno di Dio. La vostra famiglia deve diventare − e da oggi comincia − deve diventare una pienezza del regno di Dio. Dovete così giorno per giorno fare il vostro cammino che noi vi auguriamo proprio in questo ordine e in questa forza, in questo slancio e in questo entusiasmo!
Noi vi auguriamo proprio di potere dire di «sì» tutti i giorni al Signore. Tutti i giorni dire il «sì»! Perché il Signore chiede ma dà. E se ci domanda l’impegno ci dà l’aiuto mirabile, grande. Più di quello che possiamo immaginarci! Ecco l’augurio che tutti i vostri amici presentano al Signore in comunione di preghiera.
Questi auguri, sì, li desideriamo con pienezza! Desideriamo la vostra vera riuscita, la riuscita che devono avere i cristiani, la riuscita del senso di Dio per tutte le ore. Perché passa il tempo, passano le cose ma resta l’amore quando è posto in Dio. Quando è posto in Dio, l’amore diventa sempre più grande, diventa gigante.
Ed è questo che vi invochiamo ed è questo per cui siamo in grande comunione con voi.
dPM Giovedì II settimana Tempo di Avvento 08/12/1986
Solennità Immacolata Concezione, Matrimonio
Venerdì II settimana Tempo di Avvento
Is 48,17-19; Mt 11,16-19.
Dal Vangelo secondo Matteo
“In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
L’angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria e Maria seppe pronunciare il suo sì.
È nell’ordine del sì che si sviluppa tutta la nostra vita di iniziativa, di forza, di progresso. Non ci si avanza che con il sì: il mezzo sì interrompe il cammino, il no lo inverte.
Ecco perché il profeta Isaia ci dice, la Parola del Signore è una parola di rincrescimento: “Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume”.
Cosa vuol dire andare incontro al Natale, se non saper accogliere questa meravigliosa realtà della grazia di Dio, che viene incontro a noi come un fiume maestoso? Una grazia mirabile, una grazia che ci costituisce così come ci vuole Dio: ci costituisce nella bontà, ci costituisce nella carità, ci costituisce nella perfezione della carità, che è l’amicizia. Ci fa vedere nei nostri fratelli l’immagine stessa di Cristo.
Noi abbiamo bisogno di imparare di più questo nostro vero accondiscendimento alla volontà di Dio, questa nostra adesione convinta e forte. Troppo giochiamo sulle parole, troppo giochiamo sulle azioni e non abbiamo una linea retta, perché smentiamo con le parole quello che già ci siamo proposti e più ci smentiamo con le opere. Le nostre opere suonano male, perché mancano di rettitudine, mancano di linearità, mancano di trasporto e di forza.
Allora prepararsi al Natale è restare con umiltà nella volontà di Dio, nell’osservanza dei comandamenti. Non si richiede da noi delle cose mirabili, non si richiede da noi delle cose eroiche, si richiede da noi l’umiltà dell’ubbidienza a Dio, l’umiltà che dice: “Signore, tu devi fare ciò che tu vuoi!”
Il Signore ci tratta con gioia e ci tratta con amabilità e noi non approfittiamo della gioia. Il Signore ci tratta con il dolore e noi al dolore ci ribelliamo e non approfittiamo del dolore.
Ecco, era quello che diceva Gesù agli Ebrei: “Siete simili ai fanciulli, che non stanno alle regole del gioco, che non si sa che cosa vogliono”.
Noi dobbiamo imparare a vivere così nella linearità dei comandamenti di Dio, perché la nostra carità non può basarsi sul sentimento, non può basarsi sull’entusiasmo, non si può basare su un’affinità umana. La nostra carità deve basarsi sulla sua Parola, sul suo comando, su quello che lui ha stabilito per fare della nostra vita il suo regno, perché noi viviamo di lui e sappiamo veramente ascoltare la sua voce.
Ecco allora che cominciamo proprio con il Salmo primo: “Beato l’uomo che si compiace della legge del Signore, che la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1, 1-2).
È in questa volontà di santità, è in questa volontà di fruttificare, è in questa volontà di osservare tutta la legge del Signore, che noi poniamo con generosità e con fedeltà il nostro proposito.
Sabato II settimana Tempo di Avvento
Sir.48,1-4.9-11; Mt 17,10-13.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?».
Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro».
Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.
La festa di sant’Eulalia è la grande festa della nostra parrocchia, della nostra comunità e noi dobbiamo tradurre la nostra devozione in paradigmi ben chiari. Dobbiamo fare festa pregando; dobbiamo pregare molto, perché le grazie di Dio arrivano attraverso una preghiera fervorosa e perseverante.
Dobbiamo rinnovare il nostro amore. Dobbiamo voler bene alla nostra parrocchia, dobbiamo volerle bene. Dobbiamo stare così, in ringraziamento per tutte le meraviglie che il Signore si è degnato di fare nella sua misericordia. Dobbiamo sentirla così, come la vera nostra eredità: siamo parrocchiani sotto la protezione di una santa martire e vergine.
Dobbiamo realizzare quindi una presa di coscienza ben specifica: siamo una comunità voluta dal Signore; siamo una comunità che deve realizzare la missione che il Signore le ha affidato; siamo una comunità che deve abbracciare con tutto il cuore la linea del vangelo, le idee del vangelo, gli insegnamenti del vangelo e quindi che deve stare ben attenta a non deviare neanche in una più piccola idea. Siamo una comunità che deve evitare tutte le mode che sono antievangeliche, una comunità che deve sentire la sua chiamata, che è una chiamata di Cristianesimo vero, di sforzo vero per essere docili e umili sotto la guida dello Spirito Santo.
Dobbiamo attuare nella nostra vita morale, nei nostri costumi, una dirittura ben precisa e ben forte. Ecco perché oggi invochiamo sant’Eulalia, ecco perché ci interroghiamo: come è stato il nostro cammino quest’anno e come vogliamo che diventi nel prossimo?
Dobbiamo interrogarci, perché ognuno sappia dare quello che può dare, perché ognuno senta la sua responsabilità per tutti; senta che non è lì per far numero, è lì per operare, è lì per operare verso tutti: per quelli che sono lontani dalla fede, per quelli che hanno bisogno del nostro aiuto, per gli infermi, per i poveri, per i solitari, per quelli che hanno bisogno di una parola, di un conforto, di un apprezzamento.
Dobbiamo sentire che essere comunità è essere famiglia, una famiglia unita, una famiglia che preziosamente realizza quello che il Signore chiede.
Domandiamo a sant’Eulalia che ognuno di noi sappia fare tanto, sappia fare bene, sappia fare con continuità, perché la nostra parrocchia vuole essere un’espressione viva e forte della santa Chiesa di Dio.
III Domenica di Avvento – Anno B
Is 35,1-6. 8. 10; Gc 5,7-10; Mt 11, 2-11.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
La “Domenica in gaudete” (Fil 4,4). È una parola forte: Gioite! (cfr. Sof 3,14). È una parola che ci indica come la fede ha bisogno della speranza. E la speranza è grande, perché è la speranza della sua salvezza. Giovanni mandò da Gesù i suoi discepoli perché capissero. E Gesù lo indica con forza: Lui è la salvezza, Lui è l’unica salvezza in cui gli uomini possono gioire. La sua salvezza. È salvezza di amore, è salvezza di forza; è salvezza perché non è solo liberazione dai mali, è promessa certa di tanti beni.
Coloro che non hanno la fede non hanno neanche la speranza e non aspettano nulla se non l’angoscia e la morte. Poi vedono l’abisso del nulla.
Noi abbiamo la grande certezza: abbiamo Gesù. È per questo che dobbiamo rendere forte la nostra attesa, l’attesa per essere più uniti a Lui, per essere in maggiore comunione con Lui, per essere “festivi”, nella certezza di possederlo. Abbiamo bisogno di vivere potentemente la nostra speranza, di viverla con tutto l’animo aperto. Speriamo troppo poco; dobbiamo sperare di più! È una virtù fondamentale la speranza. Rende più schiette le nostre gioie, consola i nostri dolori, dà senso al lavoro, dà senso a tutta quella che è la storia umana.
Vorrei che su questa virtù insistessimo particolarmente in questa terza settimana di Avvento. Sperare molto, sperare tanto, sperare ringraziando, sperare anelando a tanta grazia, a tanta luce, a tanto possesso di bene. Anelare! Uscire dalle nostre mediocrità quotidiane. Uscire da una forma di pigrizia e di stanchezza. Anelare, cioè volere Gesù, volerlo nella vita vissuta di ogni giorno, volerlo nella nostra preghiera, volerlo particolarmente dove si dona a noi: nell’Eucarestia. Volerlo.
Un anelito che dice la nostra stima, che dice la nostra soavità. Soave è il pensiero del Signore. Soave perché grande è la sua promessa, grande è il suo dono, grande è la sua sicurezza. Abbandonarci a Lui e vivere questa seconda parte dell’Avvento con umiltà, con fiducia, con grande senso di attesa. Vivere così nell’attesa del Natale che è grazia perenne. Abbiamo il Signore con noi: che cosa possiamo temere? Di che cosa possiamo essere in angoscia? Il Signore è con noi; ci dà i doni, ci dà la Chiesa. E, nella Chiesa, la nostra vita comunitaria di parrocchia, noi che crediamo, noi che speriamo, noi che amiamo di un amore che il Signore rende grande, nonostante la nostra povertà, e rende perenne.
dPM Omelia, III Domenica di Avvento – Anno A, 14/12/1986
Lunedì III settimana Tempo di Avvento
Nm 24, 2-7.15; Mt 21, 23-27
Dal Vangelo secondo Matteo
“In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Volevano un miracolo, un miracolo che potessero riconoscere secondo la loro mentalità, la loro testa. Altrimenti non credevano. Oh quanto dobbiamo pensare per non essere come loro! Il Signore ha moltiplicato i suoi interventi ed è sempre presente nella sua Chiesa; Dio ci ha amato e ci ha dato suo Figlio. E il Figlio, l’unigenito Figlio di Dio, è tutto per noi. Tutto! La sua parola è per noi; il suo corpo e il suo sangue sono per noi; il suo Paradiso sarà nostro.
Dobbiamo capire bene perciò la sollecitazione che ci viene particolarmente viva in questa novena di Natale: capire il Signore, capire il suo piano, non pretendere delle cose strane e impossibili. Quello che noi chiamiamo «il silenzio di Dio» è la sua parola forte e viva. Il Signore permette tante cose che noi non permetteremmo perché vede meglio di noi, perché sa profondamente, perché con la sua onnipotenza dirige tutto. Noi ci scandalizziamo del dolore e dell’ingiustizia perché fermiamo presto il nostro sguardo. Bisogna guardare più lontano. Sentire che la provvidenza di Dio condurrà tutto a salvezza.
Dobbiamo meditare forte questa idea della salvezza perché è nato per noi, per noi uomini è disceso dal cielo. In questo tempo di Novena dobbiamo porci nelle condizioni di essere più adatti a vederlo, di essere più pronti ad ascoltarlo, di essere più sensibili alle sue sollecitazioni. Se ci siamo fatti un’idea non giusta del Signore, dobbiamo correggerci; se abbiamo indugiato nei nostri peccati e i peccati hanno reso duro il nostro cuore, dobbiamo essere pronti a modificare noi stessi. Cambiarci! Cambiarci e convertirci!
Ecco dove deve cominciare la nostra conversione: nel capire di più le vie del Signore, nel capire di più il perché il Signore permette ciò che permette. Dobbiamo cominciare qui la conversione: nell’abbandonarci alla volontà di Dio, nel voler fare sempre la volontà di Dio; anche noi, come è scritto nella prima lettura, dobbiamo conoscere come Balaam la scienza dell’Altissimo e vedere la visione dell’Onnipotente. Perciò nelle nostre contraddizioni, nelle nostre difficoltà, nei nostri dolori impariamo a dire: “Amen! Sì, Signore! Amen!”. E a ripetere anche: “Alleluia!”, proprio perché tutto sia lode e tutto sia a benedizione di Dio.
Martedì III settimana Tempo di Avvento
Sof 3,1-2.9; Mt 21, 28-32
Dal Vangelo secondo Matteo
“In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».”
Bisogna andare. Questo è il comando: «Va’. Oggi, va’». La nostra meditazione all’inizio di questa Novena è proprio in ordine a questa parola. Il Signore ci manda, ci invia a lavorare nella sua vigna. Qual è la sua vigna? La nostra anima. Qual è la sua vigna? La Santa Chiesa. Noi abbiamo bisogno di capire che la preparazione a un incontro di amore con il Signore esige da noi lo spirito di umiltà e lo spirito di obbedienza. È proprio su questo che dobbiamo fare i nostri propositi perché è tanto facile fermarsi a delle parole e credere a dei gesti, ma non sono questi che ci salvano. Bisogna andare, bisogna lavorare, bisogna impegnarsi e questo lo compie l’anima umile, l’anima che crede alla potenza e all’amore del Signore.
Tante volte proprio ciò che manca è uno spirito elementare di umiltà, abbiamo delle pretese e scegliamo noi i lavori, e scegliamo noi le cose da fare, mentre bisogna ubbidire al Signore, seguire il suo invito, realizzare la sua indicazione. Davanti a Dio dobbiamo avere l’umiltà che è propria della creatura, che sa che Dio è potenza e amore; che sa che Dio è misericordia. E quindi l’anima sente la proporzione, sente che non può vivere di se stessa ma deve vivere sempre di Dio, che non può scegliere lei, deve scegliere Dio Signore. “Sia fatta la tua volontà” è la preghiera fondamentale, perché troppo spesso vogliamo scegliere noi le nostre condizioni di vita; vogliamo scegliere noi le nostre prove; vogliamo scegliere per noi le nostre occupazioni e il nostro piacere.
Bisogna restare umili e accettare le disposizioni del Signore, tanto più che il Signore si svela a noi come un Padre e noi vediamo, ancora con più splendore, il suo amore premuroso, tenero, forte. Sentiamo che Dio si china su di noi perché, dandoci Gesù, ci dà tutto e in Gesù pone il nostro Salvatore e il nostro modello. Umiltà quindi, molta umiltà, che si esprime nella preghiera del Padre Nostro, che si esprime nelle nostre buone adesioni: fare ciò che vuole Dio, gioire di ciò che vuole Dio, eseguire fino in fondo ciò che vuole Dio, aborrire dalle parole che non sono seguite dai fatti. Non dobbiamo essere dei parolai: “Vado” diceva il figlio, poi non andò; come sarebbe brutto se questa fosse la definizione della nostra anima! Facciamo ciò che vuole il Signore. La nostra felicità è nel fare ciò che Lui desidera.
Mercoledì III settimana Tempo di Avvento
Is 45, 6-8. 18. 21-25; Lc 7, 19-23
Dal Vangelo secondo Luca
“In quel tempo, Giovanni chiamati due dei suoi discepoli li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”».
In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi.
Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».”
“Sei tu colui che viene?” (Lc 7, 19). La domanda di Giovanni è sulle nostre labbra. Noi chiediamo a Gesù chi è che viene, che cosa aspettiamo in Lui, che cosa attendiamo da Lui E la risposta è sempre la stessa, potremmo sintetizzarla così con le parole che sono nel Prologo del quarto Vangelo: “Lui è la vita” (Gv 1, 4). Andando incontro a Cristo, si va incontro alla vita; tutto è vitale quello che parte da Lui: i suoi precetti, i suoi consigli, le sue esortazioni, i suoi rimproveri, tutto per poter darci la vita, tutto perché in noi la sua vita sia in una pienezza, in una vera, in una grande pienezza. In Lui la vita, la vita alla quale noi tendiamo con tutto quello che è in noi, con tutte le fibre del nostro cuore. Noi siamo fatti per la vita, non siamo fatti per la morte. E’ nella vita che c’è la gioia, è nella vita che c’è la speranza, è nella vita che c’è l’amore. Noi tendiamo alla vita, perché veniamo dalla mano dell’Eterno vivente, di Dio, e Dio ci ha chiamati per poter vivere eternamente in Lui.
Ecco perché noi desideriamo Gesù. Nella sua onnipotenza Egli ci dona la vita e dopo il peccato, cioè dopo la morte, ci torna a ridare la vita e non si stanca di far partire dal suo Cuore dei fiumi di vita, dei fiumi di amore e non si stanca delle nostre ripulse, delle nostre cattiverie, dei nostri tradimenti, delle nostre miserie, perchè questa vita è amore e parte dal suo Cuore, in cui vi sono veramente i torrenti che letificano la città di Dio. È fonte di vita il suo Cuore, è fonte di una vita che letifica, di una vita che innalza, di una vita piena e grande.
Oh, come dobbiamo desiderare che questa vita cresca in noi, si sviluppi in noi! E quanto è triste pensare che anche dei cristiani, che pur praticano, pur si impegnano in certi settori, si accontentano solo di un pochino di vita! Sono come delle piante che porterebbero tanto frutto e invece vivono tristemente, appassite, senza nessun rigoglio.
Come dobbiamo desiderare questa vita! E la dobbiamo cercare proprio in Lui, nell’Eucaristia, perché nell’Eucaristia noi troviamo e abbiamo il vero Cuore di Gesù, il reale Cuore di Gesù. Nell’Eucaristia noi possiamo attingere ampiamente a questa fontana di vita. “Voi”, aveva detto il profeta Isaia, “attingerete con gaudio alle fonti del Salvatore” (Is 12, 3). Come ci dobbiamo guardare, allora, da un’Eucaristia guardata così da lontano, da un’Eucaristia ricevuta con pigrizia, con distrazione, ricevuta passivamente e con tristezza. La nostra Eucaristia deve essere ricevuta con entusiasmo, con amore, con slancio, con fervore, con impegno. Dobbiamo andare all’Eucaristia con gli stessi sentimenti coi quali ci aspetta Gesù: ci aspetta con amore, ci aspetta per donarci, ci aspetta per fare di noi veramente le anime che piacciono al Padre suo.
Impegniamoci allora, perché possiamo nel Cuore eucaristico di Gesù trovare ogni giorno la nostra forza, la nostra vita, il nostro fervore.
dPM Omelia, Mercoledì III settimana Tempo di Avvento, 16/12/1981
Giovedì III settimana Tempo di Avvento
Is 54, 1-10; Lc 7, 24-30
Dal Vangelo secondo Luca
“Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle:
«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
“Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via”.
Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui.
Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro».”
Facciamo stasera la preparazione al Natale. Voi ricordate: le feste che celebriamo non sono dei semplici ricordi, delle commemorazioni, le feste dei misteri del Signore sono avvenimenti che fanno sentire la loro grazia. Noi ci prepariamo, perché in modo misterioso, ma efficacissimo, il Signore nel Natale verrà a noi, ci darà la grazia che ci ha meritato con la sua nascita. Ecco perché non ci prepariamo a poco, ci prepariamo a molto, e se per Natale noi entreremo in viva comunicazione col Signore, grande sarà il profitto e grande la gioia. Stiamo ben attenti allora a passare in spirito di fede e di preghiera questi giorni. Non siano giorni in cui conduciamo una vita spirituale stanca e svogliata. Cerchiamo di essere ben attenti. Avete sentito che terribile condanna è stata la condanna dei farisei e dei dottori della legge? Non hanno accolto Giovanni Battista e hanno reso vano per loro il disegno di Dio. Rendere vano un progetto di Dio! Un progetto di sapienza e un progetto di amore! Non ne hanno voluto sapere. Dobbiamo pensare al progetto che Dio ha su ciascheduno di noi: un progetto per la nostra felicità e per un risultato positivo della nostra vita. Poveri noi se annulliamo questo disegno di Dio! Lo possiamo forse sostituire facendo noi un progetto della nostra vita o facendolo fare a degli altri uomini? Poveri noi, se la costante della nostra vita è questo dire di no alle sollecitazioni della grazia, agli impulsi dello Spirito, se ci illudiamo di fare noi le cose, di costruire noi, di essere quelli che risolvono i problemi. Lo spirito di penitenza è proprio prima di tutto qui: nell’accettare la sua volontà – Venga la tua volontà, sia fatta totalmente – nell’accettare la sua volontà, nell’accettare la sua linea, nell’imprimere alla nostra vita un indirizzo energico, forte, vivo! Volere fare la sua volontà, volerla fare tutta, volerla fare ogni giorno e accettare quelle cose che ci mortificano, quelle cose che costituiscono una penitenza, ma è la penitenza per il bene, entra come un elemento vivo nel progetto di Dio. Proponiamoci allora di ricercare sempre meglio la volontà di Dio nel nostro dovere quotidiano, nell’adempimento pieno di quella che sappiamo essere la nostra chiamata, la nostra vocazione.
dPM Omelia, Giovedì III settimana Tempo di Avvento, 15/12/1983
Venerdì III settimana Tempo di Avvento
Is 56,1-3a.6-8; Gv 5, 33-36
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato».
Si parla di testimonianza, e noi siamo chiamati a dare testimonianza a Gesù. Ma che cosa vuol dire? Vuol dire che gli altri, quelli che non credono o quelli che hanno soltanto una fede iniziale, guardando a noi, devono prendere motivo per lodare benedire e credere fortemente a Cristo. Essere a testimonianza è un dovere e nello stesso tempo è una gloria che Gesù sia glorificato in noi! Se ci dobbiamo purificare, se la purificazione deve essere una linea decisa nella nostra vita, è proprio per questo, perché se noi che siamo suoi, se noi che partecipiamo all’Eucaristia, se noi chiamati ad essere così vicini, restiamo sporchi, restiamo pieni dei più grossolani difetti, se noi non ci muoviamo dalla pesantezza del nostro egoismo e dallo squallore del nostro orgoglio, anziché avvicinare al Signore siamo occasione di scandalo! Perché chi non dà quella testimonianza che deve dare, cade nello scandalo e ricordiamo con paura quello che ha detto Gesù “Guai all’uomo per causa del quale avviene lo scandalo”. Guai! Devono vedere in noi il segno del Signore, devono vedere il segno della sua verità e della sua bontà. Devono vedere che noi, che relazioniamo in profondità con Lui, abbiamo una cosa unica, abbiamo una preziosa qualità, la qualità che Lui stesso ha sottolineato, la qualità di essere coloro che si chiamano “i figli del Padre”, che amano, che perdonano, che sanno portare frutti di bene: “Io vi ho posto perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Cerchiamo di riflettere con molta umiltà, con molta sincerità: che cosa c’è nella nostra vita che non è testimonianza, ma che è piuttosto occasione di scandalo? Guardiamo nella nostra vita con forza e proponiamo con generosità.
dPM Omelia, Venerdì Feria di Avvento, 16/12/1983
Sabato III settimana Tempo di Avvento
Gn 49,2.8-10; Mt 1,1-17.
Dal Vangelo secondo Matteo
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Una serie di nomi, non inutili, porta un grande insegnamento: Gesù è veramente il Messia promesso e si innesta nella storia degli uomini. Viene da uomini che non tutti sono stati giusti, viene anche da uomini peccatori, da uomini che non sempre hanno rispettato la legge di Dio. Viene per noi, per noi che siamo peccatori! Viene per redimerci dal peccato, per darci la forza di combattere e di vincere le insidie del male. Si inserisce, il Signore, con la sua misericordia nella nostra storia, nella povera nostra storia. Una storia che troppe volte anche per noi è stata una storia di peccati, di cadute e ricadute, di promesse non mantenute, di propositi buttati via. Si inserisce nella nostra storia e il suo Natale vuol dire che nonostante le nostre manchevolezze Lui ci dà ancora la grande grazia, la grande speranza. Lui è veramente colui che ci accompagna in questo viaggio terreno verso l’eternità. È Lui che ci accompagna, è Lui che ci capisce, è Lui ci sostiene, è Lui veramente e infinitamente paziente.
Dobbiamo capire come il senso del nostro Natale è proprio questo essere di più con Lui. La nostra riconciliazione è veramente partita da Lui. È veramente Lui che sollecita questa nostra autentica conversione. Abbandonare di più le cose che ci portano a dissiparci nel mondo, abbandonare le occasioni di mediocrità e di insipienza, diventare più forti, più decisi, più logici.
Tante volte ci viene meno proprio la logica. Lo sappiamo bene che seguire Lui conduce alla felicità, conduce alla libertà. Seguire Lui è la sicurezza. Troppe volte, invece, il nostro egoismo ci fa ripiegare su delle cose molto povere e molto misere.
Noi vogliamo che il Signore venga sempre di più nella nostra vita, noi vogliamo seguirlo con passo sempre più deciso e più spedito. Lo vogliamo seguire perché Lui sia proprio l’anima della nostra anima, la gioia vera della nostra gioia.
dPM Omelia, Sabato Feria di Avvento III settimana, 17/12/1986
IV Domenica di Avvento – Anno A
Is 7, 10-14; Sal 23; Rm 1, 1-7; Mt 1, 18-24.
Dal Vangelo secondo Matteo
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Tutta la liturgia d’oggi sottolinea un fatto: lo stile che Dio ha nelle sue opere. Ognuno ha la sua calligrafia e possiamo dire: anche Dio ha la sua calligrafia, ha il suo modo di procedere, di segnare le cose. Era ciò che non voleva capire il re Acaz, di cui parla la prima lettura.
Nella prima lettura è sottolineato come questo re cercasse di scappare dal dilemma che gli era posto: staccarsi dall’alleanza con gli Assiri, una nazione pagana che s’appoggiava non su Dio ma su una potenza terrena, e assecondare l’ingiunzione che gli faceva il profeta: “Non ci credi? Chiedi un miracolo!”.
Acaz dice: “Non lo chiedo, non voglio tentare Dio”. Simulava devozione quando di fronte ad un preteso miracolo vedeva semplicemente un pericolo, il pericolo di una sollevazione popolare o qualcosa di simile. E il Signore, per bocca del profeta, gli dice: “Tu non credi alle opere di Dio? Quando verrà il Messia, verrà con questo prodigio: sarà una Vergine la sua Madre e il Messia non sarà semplicemente uno dei tanti personaggi illustri della storia ebraica, ma sarà Dio-con-noi, l’Emmanuele!”.
Il Signore ha la sua presenza, ha i suoi disegni. Quel re non voleva andare secondo la provvidenza, voleva andare secondo il suo criterio.
E Paolo, nella seconda lettura, sottolinea come nell’evangelizzazione il cristiano non è semplicemente uno che aderisce a Dio e al suo messaggio, ma è uno che trasmette il messaggio. Paolo dice che nessuno può costituirsi apostolo, uno diventa apostolo per vocazione e deve seguire la linea data da Dio. Solo così si capisce la grazia dell’apostolato e si possono ottenere i frutti dell’apostolato stesso: l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti a gloria del suo nome. Nella terza lettura, nel brano evangelico, ci è presentata la grande fede, il grande abbandono di Maria e di Giuseppe alla linea di Dio, al disegno di Dio. E mi pare che sia questo dunque un motivo della nostra riflessione.
Siamo vicini al Natale, e ognuno di noi deve porsi in una chiara prospettiva: Dio è nella mia vita? Si è verificato un autentico Natale nella mia esistenza? Ho dei settori dove escludo l’intervento di Dio, dove cioè non c’è Natale? La mia volontà aderisce alla volontà di Dio, sceglie ciò che piace a Dio o è ancora lontana dall’«abito» − come si è soliti dire −, cioè da una fede che investe tutto, investe il modo di pensare, investe il modo di giudicare, lo scegliere, il ragionare, il relazionare? Dov’è che non c’è ancora Natale, cioè dov’è che io non ho accettato la linea di Dio? Dove scarto il Signore per scegliere secondo il mio capriccio o il mio povero ragionamento?
Realizzare il Natale è realizzare un clima nella nostra anima. Non è semplicemente il ricordo storico della nascita di Gesù a Betlemme, è un rinnovato avvenimento. E questo avvenimento nella mia vita deve porsi così: io
devo in ogni momento essere nello stile di Dio, nella volontà precisa di Dio a mio riguardo, come vuole Lui. Io non devo giudicare le opere di Dio. Alcuni di fronte ai dolori si sgomentano, perdono la fede; altri trovano scandalo nei cristiani; altri si disorientano e finiscono per essere semplicemente dei pigri, dei rassegnati.
Fare Natale vuol dire sentire la presenza di Dio nella storia, sentire la presenza di Dio nella nostra storia, sentire cosa vuole Dio da ognuno di noi e dirgli il nostro sì. Non come il re Acaz che calcolava secondo le ragioni politiche, non come i falsi apostoli che si improvvisavano suoi banditori. No, c’è Dio, è al di sopra, al di là di ogni nostra immaginazione. Il Signore è presente, il Signore vuole da noi una collaborazione, il Signore ci ama ed è in questo amore, ed è nel credere a questo amore che allora si compie veramente la nostra vita cristiana e si compie, si verifica nella pienezza l’autentica luce del Natale.
dPM Omelia, IV Domenica di Avvento – Anno A, 22/12/1974
Lunedì IV settimana Tempo di Avvento
Is 7, 10-14; Lc 1, 26-38
Dal Vangelo secondo Luca
“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei.”
Zaccaria ed Elisabetta aspettavano e la loro aspettativa sembrava assolutamente non esaudita, rifiutata. Ma Zaccaria ed Elisabetta verranno così a conoscere che non solo avranno una grande gioia − avranno un figlio, precursore del Signore − ma la loro gioia sarà testimonianza, la loro gioia sarà gioia per tutti quelli che crederanno sulla parola del loro figlio e il loro figlio indicherà Gesù. Dobbiamo dunque capire bene come il Signore nel suo piano di amore per ognuno di noi guarda molto avanti, guarda con grande donazione di amore. Vuole che noi viviamo profondamente la nostra vocazione per essere nella Chiesa un seme che si apre, un seme dal quale nasce un virgulto cioè una testimonianza piena e gioiosa.
Bisogna lasciar fare al Signore. Troppo spesso siamo degli impazienti. Crediamo che la nostra impazienza sia la misura delle cose e vorremmo col nostro corto intelletto giudicare Dio, giudicarlo nella sua potenza, giudicarlo nella sua misericordia, nel suo prodigioso amore. Quanto dobbiamo rimanere in profonda e grande dipendenza! Come dobbiamo ammirare il Signore! Come dobbiamo aspettare tante meraviglie di grazie da lui!
Il proposito che dobbiamo fare in preparazione al Natale è sostanziato proprio qui: credere all’amore di Dio. Credere all’amore di Dio come una forza continua che agisce nella nostra vita. Credere nell’amore di Dio anche se le apparenze sono totalmente contrarie. Credere nell’amore di Dio per donarci completamente e totalmente a lui. Credere nell’amore di Dio per noi, credere nell’amore di Dio per quelli che amiamo! Abbandonarci soavemente alla sua chiamata. Dire di «sì» al Signore, dire sempre di «sì».
Il nostro animo deve essere sicuro, sicuro che Dio farà molto di più di quello che ci aspettiamo se ci apriamo a grande fede, a grande confidenza. Il Signore è tale che ci stupisce sempre. Abbandoniamoci alla sua provvidenza, crediamo nella potenza, nell’amore, nella generosità che il Signore ci ha dimostrato più volte, e che il Natale ci ricorda con tanto grandezza e tanta forza.
dPM Omelia Lunedì Feria di Avvento, 19/12/1986
Martedì IV settimana Tempo di Avvento
Is 7,10-14; Lc 1,26-38.
Dal Vangelo secondo Luca
Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Contempliamo con ammirazione e riconoscenza il sì della Beata Vergine. Questo «sì» alla volontà di Dio, questa prodigiosa obbedienza che ci ha ottenuto il Salvatore e Redentore. Se non avesse detto di «sì» non avremmo Gesù. Ha detto un «sì» più forte di ogni altro «sì», perché ha permesso che nel suo grembo si formasse il Figlio di Dio. Dobbiamo capire come la riconoscenza dei nostri cuori deve essere grande. Alla Beata Vergine va tutta la nostra riconoscenza.
È stata veramente quella che ci ha portato il sole di giustizia: Cristo nostro Signore. Perciò viene chiamata «l’aurora della salvezza». Come l’aurora viene prima del giorno così è venuto il «sì» della Madonna e poi lo splendore dell’amore di Dio.
Impariamo anche noi questa virtù dell’obbedienza alla volontà di Dio. Quando si ubbidisce si fa propria la volontà di chi comanda. Far propria la volontà di Dio. Quale onore, quale forza, quale gioia!
La tentazione che presenta il demonio, menzognero e padre della menzogna, è proprio la stolta autonomia, il crederci più grandi quando si disobbedisce invece di vedersi ridicoli e sciocchi, il preferire alla volontà di Dio il proprio capriccio, credere di essere più sapienti di Lui, più forti di Lui.
Oh, quanto dobbiamo capire che l’uomo è creatura e tutto ha da Dio! Ed essendo creatura deve imparare la dipendenza dal suo Creatore; il battezzato è figlio e deve imparare la gioia di ubbidire al Padre, la gioia di essere sempre a sua disposizione, come vuole Lui, anche se non capisce, anche se sul momento la propria visuale è molto limitata e corta. Crediamo. Crediamo nella potenza di Dio. Crediamo nella sua misericordia. Crediamo nella sua sapienza e siamo veramente obbedienti a Dio, obbedienti a chi Dio ha partecipato la sua autorità: la Chiesa continua Gesù, la Chiesa ha perciò l’incarico di guidare. Dobbiamo ubbidire alla Chiesa con umiltà, con semplicità, con continuità. La Chiesa continua Gesù nell’insegnamento, continua Gesù nella elargizione della grazia, continua Gesù nell’indicarci qual è il bene e qual è il male.
Crediamo a Dio, crediamo alla Chiesa e siamo figli obbedienti di Dio, figli obbedienti della Chiesa.
dPM Omelia, Martedì Feria di Avvento, 20/12/1986
Mercoledì IV settimana Tempo di Avvento
Ct 2,8-14; Lc 1, 39-45
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Maria Santissima ha appena ricevuto Gesù e porta Gesù per la gioia e la salvezza. Il miracolo avviene perché Lei è disponibile, perché lei si mette a servizio del Signore. Aveva detto “io sono la serva” e subito fa il suo servizio: Elisabetta è piena di Spirito Santo e il bimbo è santificato. Adoriamo il mistero di redenzione che si compie, il mistero di amore che si verifica splendido e pensiamo che anche per noi il Signore ha il suo piano, cioè il Signore vuole che ci santifichiamo, che diventiamo un vero suo possesso, lo vuole per il nostro bene, ma anche per il bene degli altri. Ogni cristiano deve essere portatore di Cristo, ogni cristiano non deve solo pensare a se stesso, ma deve pensare agli altri, ogni cristiano deve avere molto vivo e molto urgente il grande principio: siamo nel Corpo Mistico, siamo uniti tutti in Gesù, e il bene dell’uno è il bene degli altri e il danno dell’uno è il danno degli altri. Dobbiamo sentire così vivace l’urgenza di non chiudere la nostra pietà, di non chiuderla in un individualismo egoista ed esasperato, ma di realizzare una vera vita di pietà che è il rigoglio della carità verso Dio e verso il prossimo.
Maria si mise in viaggio e raggiunse in fretta la meta, cioè noi dobbiamo tradurre il principio, tradurlo nella nostra vita quotidiana con urgenza, con slancio, con fervore. Il Natale deve essere il Natale di tutti, dobbiamo portare l’amore di Gesù agli altri, dobbiamo pregare per gli altri, dobbiamo pregare per il bene di tutti, per la pace di tutto il mondo, perché l’odio e le ingiustizie abbiano un superamento, perché tutto si riferisca a Dio Padre nostro, a Dio che con la sua bontà e con la sua onnipotenza vinca anche gli ostacoli più duri e più terribili. Ecco che questa sera preghiamo per tutti, preghiamo per la pace di tutto il mondo, preghiamo per il bene di tutti gli uomini.
dPM Omelia, Mercoledì Feria di Avvento, 21/12/1983
Giovedì IV settimana Tempo di Avvento
1 Sam 1, 24-28; Lc 1,46-55.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno
beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
L’evangelista san Luca ci ha trasmesso il cantico di Maria, dove Maria Vergine ha effuso un po’ dei sentimenti che aveva nel cuore. Noi siamo molto lieti di potere partecipare a lei e con lei lodare e benedire Dio. La Madonna ci insegna quale deve essere il nostro rapporto con Dio: deve essere un rapporto di amore riconoscente, una visione della sua grandezza e della sua bellezza. Dobbiamo educarci nella preghiera perché una vera preghiera è fatta di amore, una vera preghiera è fatta di contemplazione. Vedere Dio. Nella fede ammirarlo, benedirlo, adorarlo, ringraziarlo. Nella fede alzarci al di sopra delle cose di questa terra, dalle povere cose di questa terra, alla visuale fervida e bella di Dio.
Ricordiamo: Dio è infinita grandezza, Dio è infinita bellezza! È proprio guardando alle sue perfezioni che l’anima nostra deve sentire il palpito di amore, un palpito di ammirazione e di gioia. Sì, tanta gioia! La gioia di sentirsi creature sue, figli suoi, di essere nelle sue mani, le sue mani santissime e provvidenti. E di sapere, con grande certezza, che noi siamo fatti per Lui e che Lui aprirà il seno della sua gloria per ammetterci nell’eternità alla sua contemplazione. Il paradiso è fatto della contemplazione di Dio, della lode a Dio, di questo amore che beatifica. Pensiamo quanto dobbiamo camminare per migliorare la nostra preghiera.
Dobbiamo prepararci al Natale volendo innalzare, proporzionare di più la nostra preghiera. Quando vedremo nel presepio Gesù, quale preghiera sarà più adatta se non la preghiera del contemplare, del vedere, del corrispondere all’amore del Cuore di Gesù?
Impariamo allora dalla Madonna e supplichiamola che ci educhi a pregare bene, a distaccarci dai nostri motivi egoistici per salire più in alto, per lodare e benedire Dio, per ringraziarlo con tutto il cuore e contemplare le sue meraviglie. Come dice la Madonna: “Le opere di Dio sono grandi, le opere di Dio sono potenti, le opere di Dio umiliano i superbi e innalzano gli umili” (cfr Lc 1,46-55). Vogliamo essere gli umili che pregano, gli umili che contemplano.
dPM Omelia, Giovedì Feria di Avvento, 22/12/1986
Venerdì IV settimana Tempo di Avvento
Ml 3,1-4. 23-24; Lc 1,57-66.
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?».
E davvero la mano del Signore era con lui.
Bisogna corrispondere al progetto di Dio. Giovanni è l’esempio di come si corrisponde. Giovanni
Battista è un grande santo, è il santo nel quale si è compiuta magnificamente la volontà di Dio. Ha
veramente compiuto la sua missione, l’ha compiuta fino al martirio.
Per celebrare bene il Natale non possiamo cullarci di parole o di sentimenti troppo vaghi. Dobbiamo
capire che la costruzione della nostra vita spirituale è la vera risposta di amore alle sollecitudini del
Signore. Il Signore ha il suo progetto per ogni nostra anima. Ogni nostra anima deve aver capito
quanto il Signore passo per passo, circostanza per circostanza, spinge e suggerisce. La nostra anima
deve capire e deve esultare nel fare la volontà di Dio. Così avviene l’edificio dell’amore, l’edificio
che comincia nel tempo e finisce nell’eternità, l’edificio che è la nostra gloria.
Noi dobbiamo insistere particolarmente per essere solleciti, per non lasciare cadere nessuna grazia
di Dio. Le grazie di Dio sono concatenate: un anello è unito all’altro anello. Non spezziamo gli
anelli, spezzeremmo il progetto di Dio. Bisogna saper corrispondere e sapere dire di «sì» anche
nelle situazioni difficili, anche nelle situazioni intricate e veramente opprimenti. Bisogna saper dire
di «sì».
Allora vedremo come è magnifico il Signore, sempre! Come è buono, come è misericordioso, come
porta la nostra pesantezza in alto, la porta Lui, che è la nostra forza e la nostra vera gioia. Noi
dobbiamo acconsentire a questo piano. Come Giovanni Battista ha saputo dire di «sì» e hanno detto
di «sì» i suoi genitori e hanno esultato e hanno benedetto e lo hanno lasciato procedere in una via
austera e dura, così pure noi cerchiamo di dire un «sì» unito a un «grazie», un «sì» unito a un
«alleluia», un «sì» unito a un cuore pieno di amore. Diciamo di «sì» a Dio e Dio interverrà
potentemente nella nostra vita e coronerà l’uso giusto e buono che abbiamo fatto della nostra
libertà.
Don Pietro Margini, omelia del 23/12/1986