“Verbum caro factum est” (Gv 1,14) – Santo Natale 2020
Carissimi amici,
ho pensato a lungo se aggiungere, come goccia in un diluvio di considerazioni, un pensiero sul tempo che viviamo. Sembra inevitabile cadere nella retorica o sbuffare in una parola che si opponga a considerazioni che non ci corrispondono. Per questo ho esitato. Ma per la stessa ragione non possiamo ignorare, anche in questo momento, la storicità del nostro cammino, segnata da diverse stagioni e luoghi nei quali il Signore ci invita a cercarlo, ci viene incontro e ci chiama a stare con Lui.
“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo” (Qo 3,1). Che tempo è questo? Cosa ci riserva? La vita è davvero un’avventura magnifica che ci pone di fronte al mistero con umiltà e fiducia. Il Signore ci riserva impreviste salite e orizzonti larghi, proprio quando le possibilità paiono restringersi.
Questi mesi ci obbligano, non sappiamo per quanto ancora, a misurarci tutti con l’esperienza del limite: della salute, delle energie psichiche, degli spazi, degli affetti donati e ricevuti. I nostri stessi pensieri possono chiudersi in confini troppo ristretti, in ossessive e ritornanti preoccupazioni. Si moltiplicano le situazioni che suscitano apprensione e non è possibile sottrarsi alla fatica di così numerose e ravvicinate emergenze. Chiunque ha ricevuto e coltivato il dono di tanti amici lo sperimenta.
Non tutti viviamo allo stesso modo le angustie, le prove e le gioie. È un tempo che ci mette a confronto ed espande reazioni e sensibilità. Dalle piccole alle grandi questioni. È perciò un momento tanto delicato che dobbiamo vivere con pazienza e comprensione, dono e speranza.
Siamo messi a nudo, smascherati nelle superficiali o convenzionali occupazioni nelle quali siamo soliti riempire la nostra vita. Gesti, parole, incontri, attività professionali, ricreazioni, persino servizi nei quali ci riconosciamo “vivi” e realizzati, sono rimandati o improvvisamente gettati alle spalle. Come metallo in un crogiuolo che distingue e fa affiorare una verità di noi stessi.
È perciò un tempo privilegiato nel quale possiamo dedicarci con distensione e cura alla preghiera e alla meditazione, alla lotta interiore e alla consolazione della vittoria. Non possiamo sprecarlo. “Non abbandonarci alla tentazione”, non lasciare che cadiamo nella tentazione, ci suggerisce la nuova traduzione del Padre Nostro che da questo tempo liturgico recitiamo nella Messa.
Tuttavia la carenza di contatto immediato, fisico con la realtà e soprattutto con le persone, ci rende spaesati. Sappiamo l’importanza di rimanere aperti alla presenza di chi vive accanto a noi ed arricchisce la nostra vita di passioni e di speranze. Anche di fede. Chiusi in noi stessi risuonano le domande e mancano le risposte. La fede nasce dall’annuncio inedito di ciò che non avremmo potuto nemmeno sperare, eppure è avvenuto. Nasce dall’ascolto di ciò che altri ci testimoniano e il nostro cuore riconosce come vero. Cresce attraverso quanti si sono, anche loro malgrado, trovati di fronte al mistero della realtà che si esplicita.
Così si manifesta la volontà di Dio: vuole essere con noi, vuole essere uno di noi perché possiamo essere con Lui e come Lui. Perciò la Parola si fa carne. E quella carne ci è offerta nel fratello e nel Pane eucaristico. Il dono mirabile dell’Eucaristia ci è dato dal cielo, da Dio, per la nostra vita e per la nostra comunione.
Sebbene dopo durissime restrizioni oggi ci è concesso di tornare all’Eucaristia, sembra che in molti prevalga il timore, o forse la pigrizia, o peggio l’indifferenza! Non è raro trovare comunità cristiane dove sono completamente assenti adolescenti, giovani e famiglie.
“Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” sono parole che da sole scuotono il nostro torpore. Ma che cosa cambia senza il Signore? “Lasciate per 20 anni una parrocchia senza prete e vi si adoreranno le bestie!” constatava con tristezza il Santo Curato d’Ars. Negli scorsi anni qualcuno pensava che vivere senza Dio fosse anche più umano. Ora siamo ricondotti ad umiltà, perché spaesati: per qualcuno il cielo è un luogo disabitato, per altri è sede di una vaga speranza, eppure resta sempre sopra di noi.
Quanti si nutrono dell’Eucaristia sono capaci di un’accoglienza, di una misericordia, di una generosa condivisione che nasce dal Verbo che si dona. E ci sorprende!
È vero per le famiglie, per le comunità, in ogni vocazione. Ce ne danno testimonianza luminosa tanti amici e sconosciuti, capaci di un amore che affonda le radici proprio in quel dono. E ce lo ricordano tanti giovani che guardano con fiducia a chi si dedica a loro con larghezza. Lo affermano i poveri che si stupiscono della carità generosa che ricevono.
Molti, cresciuti nella rivendicazione dei soli diritti sono, e forse saranno sempre, tristi e scontenti, irritabili e delusi. Aprendoci ai fratelli come Gesù lo fa con noi, come Parola, come Corpo e Sangue dato senza riserva, scopriamo che le più piccole attenzioni sono preziose. “Proprio a me che sono l’ultimo? Non dimenticherò mai il suo gesto finché vivrò”. Espressioni come queste sono un dono immenso per chi le riceve. Che gioia, poi, sapere che “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40) e non sarà dimenticato in eterno.
Ecco perché l’incontro con gli altri, con i piccoli e i poveri, è una benedizione straordinaria che arricchisce la nostra vita, ci spinge ad uscire e ad offrire quanto per primi abbiamo ricevuto. “Nemo dat quod non habet”: nessuno può dare se non ciò che ha ricevuto.
Torna così un colore proprio dell’amore: la fedeltà. Quante persone sono fedeli al proprio amore? Le vocazioni integre sono quelle che rifioriscono costantemente nella grazia di Dio. Si afferma oggi che l’amore umano non sa essere fedele. C’è in questo un fondo di verità che tutti ben conosciamo. Ma se l’amore non è fedele, smette di essere amore, di essere attrattivo, di essere motivo di speranza, di forza, di pace. E lascia soltanto in un vuoto più grande.
Guardiamo a quanti vivono in questi giorni l’esperienza della Riconciliazione! Solo così ogni luogo e ogni tempo è una festa. In questo modo anche un appartamento diventa una cattedrale, un fallimento inizio di una nuova e più vera fraternità, una famiglia “chiesa domestica”.
“E il Verbo si fece carne”. È proprio questa consegna irreversibile di Dio all’uomo che ci dona la speranza di un amore che non muore, di una vita che si compie proprio nel momento in cui è spezzata. A Betlemme, (casa-del-pane), vede la luce il bambino che dona a tutti la vita stessa di Dio attraverso l’offerta della sua persona, fino alla fine. Attendiamo in questi giorni Colui che ci libera non soltanto dalla malattia, ma dalla morte, da quella eterna. A questo pensiero ci richiamano le splendide catechesi di Avvento del card. Raniero Cantalamessa alla Curia Romana.
L’Avvento ci ripropone così la promessa di un compimento che sta davanti a noi, ma che già ha posto radici profonde nella nostra vita, nelle nostre famiglie e comunità.
È questa la speranza con la quale possiamo illuminare e riscaldare il mondo perché sappia ritrovare sorgente e compimento nel mistero dell’amore di Dio che si fa Uno di noi, ognuno di noi.
Maria Santissima, Vergine e Madre del Verbo, ci benedica e ci introduca nella vita che in lei ha preso carne. Da Giuseppe, suo sposo, impariamo a custodire con fede il mistero che ci è affidato anche quando non tutto ci è chiaro.
Con amicizia e riconoscenza profonda a ciascuno di voi.
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