Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre,
perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
“Cantateci canti di Sion!”.
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra;
mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
(Sal. 137)
Carissimi,
il richiamo al Salmo dell’esule può apparire inadeguato: in questi giorni viviamo come in esilio non in terra straniera, ma proprio nelle nostre case. La storia del popolo di Israele conosce sia la vicinanza al suo Dio, imparagonabile a quella dei popoli stranieri, sia l’estraneità e il tradimento di chi vive nell’abbondanza della terra promessa.
La Sacra Scrittura fissa nello sguardo credente la patria del popolo eletto: essa è dovunque Dio abita, particolarmente nella sua casa, custode delle tavole dell’alleanza. “Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”. (Gv 4,23-24)
Come è possibile, dunque, essere esuli in casa propria? Richiamo alcune ragioni per le quali ognuno vive questa quaresima così singolare, che nemmeno la Pasqua sembra concludere, come un esodo, come il cammino di un popolo verso la promessa.
Anzitutto è limitata la libertà di abitare il mondo come la propria casa. Nella nostra generazione, la “terra” è divenuta così piccola ed interconnessa da affacciarsi con sempre maggior frequenza ai “viaggi spaziali”. Come ridurre il proprio orizzonte ad alcuni metri quadrati? Come vivere questo tempo senza limitarsi a “sguardi virtuali”?
Ancora: gli amici sono parte importante della nostra vita e della vocazione. Come privarci della loro presenza? Persino gli sconosciuti che incontriamo ogni giorno, a buon diritto, sono opportunità di nuovi sguardi e appartenenze. Negli ultimi decenni le etnie più diverse entrano a far parte delle nostre famiglie e città!
Infine, i luoghi e le azioni liturgico – sacramentali, sono diventate sempre più il pane quotidiano della nostra fede, dell’incontro con Dio e i fratelli. Come è possibile un digiuno così prolungato, che nessuno avrebbe ipotizzato?
Non credo sia utile argomentare, quando la prova appare a qualcuno insostenibile. L’obbedienza umile e fiduciosa a Dio, può farci crescere nell’esperienza di Lui e nel desiderio della promessa.
Questi giorni che non sono sempre uguali a se stessi, tantomeno a quelli precedenti, ci fanno camminare proprio nella misura in cui siamo immobili. Ogni giorno possiamo condividere la vita di tanti nostri fratelli vissuti prima di Gesù: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono” (Lc 10,21-24). Molti, ancor oggi, non possono vivere l’Eucaristia quotidiana, per mancanza di sacerdoti. Penso ai nostri missionari, ma anche ai fratelli colpiti da qualche infermità. Per questo invochiamo il Padre per molte e sante vocazioni e per coloro che vivono nella solitudine la prova più decisiva della vita.
Un ringraziamento sentito va al Signore per gli immensi doni che ci ha fatto. La sua Risurrezione non è mistero da celebrare nella spensierata allegria. È gioia come anticipo del compimento in paradiso, è forza di speranza nella prova. Così possiamo viverla quest’anno, come incalcolabile dono per tutti.
Ogni mattina ringrazio per la comunità dove sto vivendo in questi giorni: la benedizione di questa casa e di questi amici, in collegamento quotidiano con tante altre comunità, con gli studenti e colleghi, è motivo di grande riconoscenza. Da qui, nelle giornate scandite dalla preghiera e dai pasti in comune, posso partecipare delle prove e dei frutti di bene che si moltiplicano a gloria di Dio.
Grazie agli amici che, in prima linea, sono accanto a chi è colpito dal Covid-19. A loro affidiamo tutti i nostri cari che sono nella prova. Desideriamo che sentano la nostra stima e riconoscenza. Grazie alle loro famiglie che accolgono con pazienza questo servizio nella carità.
E ringrazio tutti voi per la testimonianza edificante che offrite al mondo. L’impegno di ciascuno nel conquistare le virtù umane e cristiane, si rivela di grande aiuto per vivere insieme con letizia e semplicità di cuore. L’energia posta nell’educazione aiuta i più giovani ad affrontare ogni difficoltà con intraprendenza e serenità. La consapevolezza dell’unione sacramentale che lega gli sposi, appoggia sulla roccia tutta la famiglia come chiesa domestica in cui Cristo manifesta il suo amore per tutti.
Ringrazio per Prospero e Paola che abbiamo salutato, prima che fosse impedita la celebrazione delle esequie. Entrambi sono stati sposi e genitori esemplari e molto amati. E ringrazio per i familiari che non abbiamo potuto accompagnare da vicino in questi giorni. Sono molto riconoscente a Marta per la fede e l’affetto sempre sollecito con cui ha servito ed amato tanti di noi, come vergine e figlia di don Pietro Margini. La fedeltà al movimento dalle sue origini fino ad oggi, che l’ha sostenuta in diverse stagioni, resta per noi un esempio luminoso. Mi sia consentito un ringraziamento personale a lei per la generosità con cui ha accompagnato il mio ministero con la preghiera e con le opere.
Ringrazio quanti vivono con serena maturità questi giorni: qualcuno, con pudore e delicatezza, afferma nella fede che sono giorni di grazia. Vorremmo che nessuno sprecasse questa occasione. Ringrazio anche quanti sono nella sofferenza e vivono l’umile docilità dell’obbedienza nella volontà del Signore, anche per quanto dipendesse dagli uomini. Grazie a tutti per la laboriosità con cui producono e offrono strumenti nuovi per vivere in una speciale condivisione questi tempi.
Vorrei spendere una parola su questo: sappiamo che la vicinanza fisica non sempre garantisce dialogo e comunione tra le famiglie. La comunità è frutto dello Spirito: va costantemente invocata ed alimentata.
Confidando di non essere frainteso, ricordo che anche i sacramenti sono segno e strumento di una presenza e di un’azione. Attraverso la loro celebrazione è Gesù che cerchiamo e troviamo. In modo analogo, anche gli strumenti di comunicazione possono consentire di entrare in relazione con le persone. Non sono un fine, ma un mezzo. Perciò sono preziosi e ci danno un’idea di come il termine ultimo del nostro desiderio è proprio l’unità con le persone amate. Per questo siamo stati creati e a questo tendiamo.
Ecco perché la competenza che abbiamo rapidamente acquisita in questi giorni, ci potrà essere molto utile anche per il futuro: per essere più vicini, più solidali, più aperti, più generosi. Sarà la garanzia migliore che non mancherà a nessuno l’aiuto, quando nuove necessità busseranno alla porta di tante famiglie. A questo ci prepariamo in spirito di vera conversione, perché “la comunità esiste dove la vita degli altri è diventata una cosa mia, un mio interesse, una mia gioia, una mia propria vitalità. … dove il mio e il tuo sono diventati una unica realtà, dove si attua veramente nella concretezza ultima: «Ama come te stesso»” (don Pietro Margini).
Abbiamo amici impegnati in missioni anche lontane, in particolare in Madagascar, a Roma e a Verona. Ricordiamoci a vicenda, cercandoci e sostenendoci, perché possiamo seminare speranza. Pur con i nostri limiti, fatiche o infedeltà, non dimentichiamo chi è più solo. Stando in casa vediamo ciò che vogliamo vedere, leggiamo ciò che desideriamo leggere, incontriamo chi scegliamo di incontrare. Non abbandoniamo nessuno: è una grande responsabilità di cui ci renderemo meglio conto quando avremo superato il deserto!
Ed è possibile, come molti mi testimoniano, che la partecipazione a distanza all’Eucaristia quotidiana stia aiutando i più piccoli e non poche famiglie, a vivere in una dimensione più profonda il mistero che si celebra. Lo stesso mistero a cui attingono con tanti frutti le nostre preghiere e meditazioni quotidiane.
Certo non è la stessa esperienza. Guai se dimentichiamo Gerusalemme! Anche noi, assieme ai fratelli ebrei, celebriamo questa Pasqua con l’augurio che si ripete ogni anno dalla distruzione del tempio di Salomone:
Hashana haba’a b’Yrushalayim
(השנה הבאה בירושלים), ovvero
L’anno prossimo a Gerusalemme!
Con Maria e gli apostoli.
don Luca