“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.” (Gv 13,1)
Giovedì santo 2017
Carissimi amici,
i giorni della passione sono esperienza di quanto costa l’amore. A noi ed anche a Dio.
Passione significa anzitutto slancio di tutta la vita, tensione verso un obiettivo che ci attrae a sé, che fa uscire la nostra vita dal grigiore di un egoismo triste e banale, dalla schiavitù di noi stessi, del bisogno di considerazione o di piacere. Le passioni sono uno strumento privilegiato per educarci a diventare ciò che siamo: donne e uomini, famiglie, vergini, veri figli di Dio. Ci sono momenti in cui le passioni chiedono di essere radicali, di sacrificare qualcosa di noi o persino altre passioni, fino al punto da dedicare a loro tutto di noi.
Qui passione significa letteralmente patire. Infine soltanto la morte rende vero ciò che abbiamo scelto nella nostra vita poiché ci chiede di abbandonare tutto di noi.
L’amore non risparmia la vita dei santi, di Maria e soprattutto quella del Figlio di Dio. La volontà del Padre di riconquistare ogni uomo alla comunione con Sé comporta per Gesù l’accettazione di un calice amaro. Ma la morte è sconfitta proprio nel momento in cui il Figlio di Dio la affronta lasciandosi inghiottire da lei. Il profeta Isaia pone nel cuore di Gesù queste parole: “non mi sono tirato indietro” (Is 50,5). Solo così il demonio, che divide e dispera, perde la sua triste e sinistra signoria.
Donandosi pienamente fino alla fine, Gesù afferma davvero la sua libertà. Non fugge, non rinnega la ragione per cui si è messo in cammino (“discese dal cielo”) verso la nostra terra così com’è, così come è diventata per la nostra infedeltà. Non ritira la sua benevolenza verso i Suoi nel momento dell’abbandono, del tradimento. Non ci sorprende se anche noi siamo tentati qualche volta di scoraggiamento, di infedeltà all’ideale, considerandolo un sogno infantile, bello ma impossibile: ma “l’ideale non può cadere”.
La Pasqua è il trionfo della giustizia di Dio e della misericordia verso i suoi figli a partire dall’Unigenito. Questo annuncio è per noi certezza e sostiene la speranza che tutti ci ritroviamo in Lui. “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti… e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo” (1Cor 15,20-23).
“Voglio passare il mio paradiso” non è un’affermazione velleitaria e supponente. Esprime la fede nella potenza della Risurrezione di Gesù in chi lo segue fino alla fine. Ed è per questo che l’unione al Risorto costituisce per i credenti e per i santi la garanzia di sapere qual è e come si opera il bene. Se siamo anche noi tentati di agitazione, di sconforto, di disorientamento, sappiamo qual è la via, la verità e la vita. La scelta controcorrente di legare la propria vita e la propria vocazione alla comunione con i fratelli, chiede ai giovani di esprimere con coraggio la scelta di appartenenza, agli adulti di perseverare nella fedeltà con umiltà in ogni circostanza mutevole e agli anziani di purificare e perfezionare l’amicizia nella paziente fiducia fino al dono supremo (“fino alla fine”!).
Perciò siamo chiamati a preparare sempre con cura gli incontri con gli amici, a nutrire il nostro spirito di Spirito Santo, a perseverare nella preghiera e nella carità, a perdonare e lasciarci perdonare, a rialzarci prontamente senza chiuderci in sterili e velenosi risentimenti, ad usare una carità squisita e delicata a partire dal nostro prossimo, da chi ci è più vicino. Ognuno ha il suo posto nella storia della Chiesa e dell’umanità. Noi abbiamo il nostro: nel nostro piccolo sappiamo di essere chiamati a vivere il mistero grande che anticipa e promette il compimento. La comunione in Dio.
Ne vale la pena? È proprio la festa di Pasqua a porre il sigillo sulla vita di Gesù e sulla nostra. La fede è premiata, la speranza si è compiuta, resta per sempre la carità.
Tutti desideriamo una vita di comunione. Tutti temiamo di perdere chi amiamo. Anche l’ultimo nemico è stato sconfitto. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35).
Ognuno di noi sa cosa ha significato per la propria vita il dono completo che don Pietro ha fatto della sua. Probabilmente ciò che abbiamo di più prezioso lo dobbiamo in gran parte anche a lui. Ed è perciò che accogliamo volentieri l’invito a fare del bene, sapendo che l’opera alla quale il Signore lo ha chiamato ci coinvolge oggi più che mai.
Siamo chiamati a testimoniare la dignità e santità della famiglia, la gioia della comunione, la fedeltà di una piena appartenenza a Gesù nella comunità dei credenti. Ed è in obbedienza alla Chiesa che siamo chiamati a condividere il nostro dono, non con semplici proclami, ma offrendo la nostra vita in varie parti del mondo. La grande sfida che la Chiesa ci propone è quella di una dilatazione degli orizzonti dell’intelligenza, del cuore, di tutte le nostre forze per amare Dio in tanti fratelli che ci affida. Farlo insieme chiede a ciascuno una conversione ad una più profonda e costruttiva comunione, ad una più generosa missione.
Uniti nella stessa radice, preghiamo perché il Signore continui a suscitare anche fra di noi tante e sante vocazioni alla famiglia, alla verginità e al sacerdozio per onorare la fiducia che ci accorda. Affidiamo a Maria il bene che assieme compiamo per una vera rinascita di umanità in tanti fratelli.
Con amicizia.
don Luca
(in allegato la versione stampabile in pdf)