32° anniversario Mons Pietro Margini – Omelia don Luca Ferrari

32° anniversario della morte di Mons. Pietro Margini

Sant’ Alberto di Gerusalemme – Reggio Emilia, 8 gennaio 2022

omelia di don Luca Ferrari

Omelia 8 gennaio 2022

Is 40,1-5.9-11

Sal 103

Tt 2,11-14;3,4-7

Lc 3,15-16.21-22

Condotti dentro una folla, o forse al margine di essa per osservarla, la liturgia ci rende parte di un unico cammino: siamo in cerca di qualcuno su cui posare lo sguardo, in cui fissare il nostro appiglio per risalire, per trovare uno sbocco. Siamo un popolo in attesa, gente dispersa, preoccupata dalle notizie spesso inquietanti, che ha in comune la speranza di un compimento: Dio lo ha promesso. Come manterrà oggi la Sua parola?

Ci sono tempi di cambiamento e talvolta ci sono cambiamenti epocali che aprono alla novità vera che la storia umana riserva. Ma quale via sceglierà il Signore per raggiungere finalmente la nostra vita, se tutto cambia? Spesso lo fa attraverso le persone. Un amico ora sacerdote che è stato mio ospite all’epoca del seminario, desiderava con un certo timore incontrare don Pietro Margini di cui aveva sentito tanto parlare. Vedendolo in chiesa si chiedeva: ma è davvero lui? Lo immaginava in tutt’altro modo. È rimasto conquistato dalla sua umiltà.

È avvenuto già 2000 anni fa qualcosa di simile, che segna il corso di ogni cambiamento. Il fiume Giordano, come ogni fiume, scorre a valle e crea un solco nel quale raccogliere gli smarriti, gli umili, i bisognosi, i poveri. Tutti lo siamo, anche se l’appello del nostro cuore fatica ad essere accolto pienamente da noi e dagli altri. I più coraggiosi si radunano alla voce di uno che grida nel deserto e invita alla penitenza di conversione.

Su di lui, su Giovanni, si concentrano le attenzioni della folla e le nostre. È lui che battezza, è lui che parla con voce forte: pare di udire ed ascoltare soltanto la sua. È dunque lui il Cristo? Così si chiedono in cuor loro in tanti.

Ed ecco Gesù che si immerge in questo popolo, poi nell’acqua del fiume per ricevere a sua volta il battesimo. Una volta ricevuto, sta in preghiera. Il cielo si apre! Un corpo, come una colomba, scende su di Lui: è lo Spirito Santo. E una voce: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Ecco la tenda che custodirà la vita di Gesù, come anticipa il salmo che abbiamo appena pregato (“tu che distendi i cieli come una tenda” Sal 103). Sempre ed ovunque è possibile abitare questa casa ospitale.

Giovanni lo aveva annunciato: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Si compie così un nuovo inizio. La vocazione di Giovanni, come quella di Gesù, è nota fin dal concepimento ed è rivelata a suo padre Zaccaria, sommo sacerdote. Per qualcuno le vocazioni si manifestano fin dal grembo materno (Ger 1,5; Is 49,1; la vocazione stessa di don Pietro). In ogni vocazione, tuttavia, è Dio a tracciare la strada, ad indicare i tempi, ad aprire i cuori al suo dono.

Ma il dono espresso a Gesù è immenso: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”. Sapendo di avere un Padre, Lui sta in mezzo a noi, è uno di noi, condivide la nostra umile povertà e mendicanza. Ci battezza in Spirito Santo e fuoco perché siamo in Lui figli amati di Dio!

Come è facile diluire questa certezza fino a perderne il sapore! Non basta sapere una verità, bisogna lasciarci trasformare fino a diventare ciò che essa ci chiede. Ognuno è responsabile della sua vita, perché diventiamo nella libertà ciò a cui siamo chiamati. A questo prepara Giovanni Battista, indicando come ostacolo il peccato nostro e del popolo intero, aprendo la via di una purificazione e soprattutto offrendosi come primo testimone della Grazia di Dio che opera in Gesù.

Ecco il dono del sacerdote: ci ricorda con la sua parola che il Signore è vicino, lo rende presente attraverso la sua vita per molti. In Lui agisce la Grazia di Dio per la salvezza del mondo.

Qualcuno non sa di averne bisogno, altri credono di non averne più necessità, altri ancora pensano di non essere ancora nelle condizioni di mendicanti. L’attenzione che la cultura pone sull’uomo rende più facile comprendere: la voce che ci conquista deve risuonare dentro di noi, ma va continuamente ascoltata. Nessuno è confermato in Grazia se non nell’accoglienza continua del mistero che opera in noi, come è avvenuto in Gesù.

Se un pastore perde il contatto con Dio e con la sua gente, quanto è facile che le donne e gli uomini si perdano! Che i bimbi non sappiano di essere Figli di Dio, che i giovani non abbiano una parola che li renda felici, che le famiglie non vivano nella sicurezza della Sua presenza fedele, che i malati e gli anziani non riconoscano il tempo che sta per compiersi, come gioia dell’eterna comunione!

La vocazione, ogni vocazione, è il baricentro della vita presente fondato nella vita eterna. Vissuta in pienezza dell’ideale è la santità. È amicizia con Dio, è fiducia in Lui, è speranza ben radicata sulla Sua parola.

Chi ha paura della santità? Coloro che non l’hanno conosciuta, che non hanno conosciuto Dio. La santità non è protagonismo, narcisismo, è trasparenza di Dio. Pensiamo ad esempio: Gesù ci invita ad essere scaltri. Ma la sola scaltrezza può diventare insidiosa se non è segno vivo della carità. Ci porta ad usare gli altri e noi stessi per una manipolazione, infine una rovina. “Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tt 2,14).

Credere al Vangelo senza seguire le mode, può sul momento riservarci incomprensione: il mondo (piccolo o grande, quello di un singolo o di un gruppo di persone) prende facilmente qualche verità per farne un idolo, un assoluto, uno strumento di potere e di sopraffazione. Seguire Gesù espone anche al rifiuto, all’irrisione e può comportare un vero martirio.

Ma oggi viviamo un tempo favorevole: sono tanti i giovani e meno giovani che desiderano incontrare un testimone vero che condivida le sue profonde attese e con la sua vita parli di Dio. Chi si fida di Lui e persino quanti guardano ai cristiani con onestà diventano, presto o tardi, motivo di ammirazione e di speranza. Perché il cielo e la terra passeranno, ma le Sue parole non passeranno (cfr. Mt 24,35). Il Vangelo tutto intero è la nostra forza!

La vita è per ciascuno aperta ad una vocazione particolare. Per prepararsi bene ad ogni vocazione occorre accogliere la Grazia di Dio che chiama, che purifica, che sostiene nella prova, che dona la gioia della purezza e della fedeltà. Ogni concetto riduttivo di santità rischia di esaurirsi in una sfiducia nell’uomo che non potrà mai avvicinarsi a Dio (perché Lui solo è santo), o in una semplice verbosità intellettuale (basta il pensiero giusto e non la vita). Nessuno è escluso, in nessuna condizione, ma seguire Gesù è trovare la via, la verità, la vita. Chi segue Lui non sarà mai abbandonato da Dio (“Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite” Gv 8,29), sarà affidabile e onesto in ogni sua opera e risplenderà così una scintilla di vita che Dio stesso vuole offrire a tutti attraverso di lui.

Perché oggi molti non scelgono di donarsi in una famiglia, nella verginità come offerta indivisa a Dio e ai fratelli, nel sacerdozio come esercizio di una grande paternità? Perché molte coppie non vogliono figli o li abbandonano con tanta facilità? (cfr. Francesco, Udienza generale del 5 gennaio 2022) Lo spirito del mondo chiede di diventare consumatori, spinge all’individualismo e alla solitudine. Ma non basta la considerazione della tristezza e della miseria a cui questa conduce: raramente la paura delle conseguenze apre alla vita piena. Frutto della Grazia è lasciarsi formare e trasformare per vivere la gioia dell’unità della nostra persona e con i fratelli.

Siamo già stati salvati, ma come possiamo diventare santi? Come può la Grazia di Dio renderci ciò che siamo? (FC 17)

Don Pietro ha compreso così il suo ministero: non ha semplicemente amministrato i sacramenti, ma ci ha resi partecipi della gioia di tutti. Un Battesimo, un Matrimonio o l’Ordine Sacro, ogni Eucaristia e Riconciliazione, e persino le tappe di avvicinamento e di anniversario diventavano così un motivo per renderci coscienti del dono immenso di Dio per noi, di Dio con noi!

Anche quando i sacramenti ogni anno erano diventati tanti, perché tanti erano gli amici che desideravano condividerne la celebrazione, la preparazione o la memoria, ognuno di essi era l’occasione per far brillare una sfumatura o un accento particolare. Tutto ci riportava perciò alla sorgente a cui sempre più rimanere innestati.

Abbiamo questo compito in eredità: essere consapevoli che Dio abita in noi e agisce fino a costituire la trama intima e condivisa di ogni nostra giornata, di ogni relazione. Ecco, dunque, la chiamata che il Signore ci rivolto attraverso don Pietro: “Amici in Cristo Gesù”.

Oggi l’amicizia è ancora attrattiva? Non c’è tristezza più grande della solitudine. La mancanza di amici significa un fallimento. È difficile ammetterlo anche a se stessi, ma non possiamo sfuggire alla verifica della gioia: senza amici veri non c’è gioia, non c’è progresso autentico, non c’è pace intima.

Se il centro di tutte le preoccupazioni è la soddisfazione dei bisogni superficiali sono forse più utili i complici, i colleghi, i consiglieri, i collaboratori o persino i cooperatori. Ma un amico pone il centro della mia vita al di fuori di me per ritrovarmi pienamente nella gioia. L’amicizia è uno sbilanciamento di me stesso verso un compimento che mi supera. Allarga la mia vita facendone parte con gli altri e ultimamente a Dio. Quando non ci sembra di avere in noi motivo di ringraziamento, significa che non sappiamo accogliere le gioie degli altri come nostre. A questo ci chiama il Signore, perché così fa Lui con noi. Si compiace di ogni nostra piccola e grande vittoria.

La comunità non è pura convivenza o collaborazione: rileggo volentieri gli appunti di don Pietro (quaderno 46) che ci offrono il suo sguardo contemplativo.

L’amore di Gesù realizza per la sua stessa essenza la comunità.

Un amore forte dei cristiani che portano il peso dell’altro, che sono diventati amici, comunità dei santi.

Comunità esiste dove la vita degli altri è diventata cosa «mia», «mio» interesse, «mia» gioia, «mia» propria vita. Realizzazione dove il mio e il tuo sono diventati un’unica realtà. Amalo come te stesso.

L’amicizia costruisce la comunità e l’amicizia è rispetto.

Costa molto trattare bene l’uomo e parlarne bene.

Gesù rispetta nonostante il peccato (adultera e Giuda), il denaro (Zaccheo), la vergogna e la paura (Nicodemo, Apostoli) ecc…

Amicizia significa fiducia. Il Signore ama ed è paziente.

Ecco quando le nostre comunità sono motivo di sicura consolazione e di sostegno ad ogni vocazione. Ci aiutano a superare ogni rigidità e asprezza nei giudizi, a vincere l’egoismo nella misericordia, nella bontà ricevuta ed offerta. Una comunità santa è perseverante nel dono ricevuto, così come ogni donna o uomo che lascia di sé un dono per tutti.

Quanta gioia troviamo nella santità, quanta pace nella conversione, quanta gloria nella vittoria di Dio nella nostra vita! Perciò ringraziamo il Signore per il dono che abbiamo ricevuto attraverso don Pietro, per bussare alla porta di molti cuori, in ogni tempo e in ogni terra nella quale siamo chiamati e mandati.

A Maria, madre della Chiesa, ci affidiamo con umiltà e gratitudine.

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