Lotta di ogni giorno – Omelia don Pietro Margini

Omelia II Domenica di quaresima

Lotta di ogni giorno

Gn 22, 1-2. 9. 10-13. 15-18; Rm 8, 31-34; Mc 9, 1-9

Che cos’è la trasfigurazione? È un momento di gloria, un momento solo. È un momento di gioia, per sostenere il dolore e per arrivare alla gioia senza fine. “Si trasfigurò davanti a loro”. La voce viene dall’alto: “Questo è il mio Figlio prediletto” (Mc 9, 7). La strada: “Ascoltatelo”.

Troppo spesso noi ci pieghiamo sul presente, un presente che è lotta, un presente che è rinuncia e sentiamo la fatica del salire, l’angoscia dei nostri travagli. È mai possibile, diciamo, che per essere cristiani, bisogna sempre lottare? Che per essere cristiani, bisogna sempre mortificarsi? È vero. La vita cristiana è posta in una contraddizione, in contraddizione con la nostra natura ferita dal peccato, che recalcitra e non vuole assoggettarsi. La carne si piega verso la terra. Si sta bene per terra. È vero. Le passioni sono scatenate. È ancora vero che tutto il mondo, che ci circonda, è tutto una congiura.

Ma guardate a che cosa chiama Gesù: chiama ad un monte alto, in un luogo appartato. È la Quaresima, la Quaresima per una meditazione sulla vita e sul significato della vita. O lotteremo con Cristo e trionferemo con lui, o ci abbandoneremo al male e saremo respinti da lui. La nostra vita non può essere certo un idillio. La nostra vita è tempo forte di una lotta, che avrà però il premio meraviglioso dell’eternità. La Quaresima ci deve rafforzare, ci deve convincere che è giusto fare così, che abbandonarci alle nostre passioni è viltà, darci alla stanchezza è una rinuncia colpevole, scendere a compromessi col mondo è rendere il nostro Battesimo solo una terribile responsabilità. Noi dobbiamo vedere proprio questa lotta di ogni giorno, questa lotta di tutte le circostanze come la cosa bella e onorifica, perché è bello lottare per il Signore, è bello superare tutte le difficoltà. È supremamente salutare per noi e per gli altri questo superamento, che noi dobbiamo fare.

La Quaresima ci deve rafforzare, ci deve convincere che è giusto fare così, che abbandonarci alle nostre passioni è viltà, darci alla stanchezza è una rinuncia colpevole, scendere a compromessi col mondo è rendere il nostro Battesimo solo una terribile responsabilità. Noi dobbiamo vedere proprio questa lotta di ogni giorno, questa lotta di tutte le circostanze come la cosa bella e onorifica, perché è bello lottare per il Signore, è bello superare tutte le difficoltà. È supremamente salutare per noi e per gli altri questo superamento, che noi dobbiamo fare. 

Del resto, noi lo vediamo: quelli che si abbandonano alle passioni, ai loro istinti, fanno il danno per sé e per gli altri. E se la nostra società è sconvolta da tanti orrori, è sconvolta proprio perché gli uomini non hanno saputo dominare se stessi e, invece di raggiungere quella felicità che si propongono, raggiungono l’abisso della tragedia per sé, dico, e per gli altri. Perciò non c’è altra strada. La strada, che ci ha indicata il Signore, è la strada che conduce alla gioia.

E perciò questa nostra posizione deve essere una posizione perseverante, generosa, senza cercare di stare a metà. Per noi il pericoloso è rimanere a metà, né cattivi, né buoni, a metà, ma ritorna la parola del Signore: “Non si può servire a due padroni” (cfr. Lc 16, 13). Bisogna che noi ci decidiamo. Il cristiano è un uomo profondamente costruito, è un uomo totalmente costruito. O uno è cristiano, o altrimenti, se scende a compromessi, non si può più definire tale, cioè logico, cioè ricco di amore verso il suo Dio, perché quello che guida il cristiano è l’amore e o si ama, o non si ama. Non si può dire una qualche maniera da evadere. Non si può dire, perché l’evasione è già tradimento.

L’amore esige questo da noi, l’amore a Dio, l’amore a noi stessi, l’amore agli altri. Ecco, è su questa strada che noi dobbiamo camminare davanti al Signore nella terra dei viventi. “Sì, io sono il tuo servo, Signore”. Il servizio di Dio! Come Abramo che non ha esitato, come Abramo chiamato in una sequela di prove sul monte, ad immolare suo figlio. Suo figlio! Il suo unico figlio! (Gn 22, 1-18). Così si serve il Signore, fidandoci di lui, ma chi si fida del Signore “non sarà confuso in eterno” (Inno Te Deum*).

Ascoltiamolo! Ascoltiamolo, come ci ha detto il Padre. Ascoltiamolo con tutta l’intelligenza, con tutta la servitù della nostra vita, con tutto il nostro impegno nell’amore più grande, vedendo negli altri l’immagine del Signore, proponendoci di essere nella Chiesa nel numero di coloro, che sanno sempre trovare il modo di donare e di donare con tutto il cuore.

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