Vedere la gloria – Omelia don Pietro Margini

Omelia II Domenica dopo Natale

Vedere la gloria

Sir 24, 1-4. 8-12; Ef 1, 3-6. 15-18; Gv 1, 1-18

L’invito della Liturgia oggi è proprio qui, è cercare di vedere un po’ di più la sua gloria, gloria di lui, che è “l’unigenito del Padre, che è pieno di grazia e di verità” (cfr. Gv 1, 14). Andiamo verso l’Epifania, la manifestazione. Guardare di più la gloria che cosa vuol dire, se non penetrare di più nel mistero, quel mistero per il quale diciamo: Dio è venuto tra noi, Dio è diventato uno di noi? La chiamiamo, questa gloria, l’Unione Ipostatica, l’Incarnazione. Guardando al mistero diciamo: Dio si è fatto uomo, in Gesù vi è una natura divina e una natura umana unite strettamente nella persona del Verbo. E’ la persona della Santissima Trinità, dunque la persona di Gesù Cristo è proprio Dio.

Vedere la gloria vuol dire vedere l’amore di Dio, perché solo nell’amore, solo per l’amore, solo nella pienezza di questo dono è possibile che noi apprendiamo come Dio ha assunto la nostra miseria. Non è una piccola cosa dire: Dio ha separato la distanza infinita, Dio è diventato un nostro bambino. Non è piccola cosa dire: Dio ha cercato i peccatori, facendosi lui un uomo, rivestendo questa carne nostra, che per noi è carne di peccato. Ecco, Dio ha assunto su di sé tutti i nostri peccati, è l’amore che non si può spiegare che con l’amore, è l’amore infinito di Dio che ci ha posto così in una posizione veramente mirabile.

Perché si è fatto uomo? Perché noi diventiamo Dio. Si è fatto uomo perché noi copiamo da Dio, si è fatto uomo perché noi riproduciamo nella nostra vita i suoi lineamenti. Si è fatto nostro, perché noi possiamo così giorno per giorno avere davanti la strada da percorrere, per andare fino all’eternità della gloria.

Ecco, dobbiamo guardare quanto noi abbiamo accolto quest’amore, quanto intendiamo ancora accoglierlo, quanto vogliamo tradurlo in tutta la nostra esistenza. “Venne”, ecco, che corrisponda questa parola, che corrisponda all’altra parola: “Andarono”, come i pastori. “Venne”, noi andammo, noi siamo andati ad adorarlo, a riconoscerlo, ad amarlo; siamo andati non con le nostre parole, siamo andati con tutta la nostra vita, con tutta la nostra generosità, con tutto il nostro sì.

Guardare Gesù allora, guardare Gesù con lo stupore più grande, con il cuore più aperto, con la generosità più grande. Guardare Gesù, perché lui è tutto, perché lui è la misericordia stessa che è apparsa a noi, è l’amore stesso che è venuto ad abitare in mezzo al nostro odio, per insegnarci come si deve guardare in alto al Padre che è Padre di tutti, come si deve guardare agli uomini, riconoscendo nei singoli uomini l’immagine di lui, di Gesù.

Perciò la nostra vita spirituale deve arricchirsi straordinariamente in queste Liturgie; la nostra anima si deve arricchire comprendendo sempre di più la rivelazione, cercando di unirci sempre di più allo spirito dell’Incarnazione, che è spirito di amore, che è spirito di dono. Del tragico è proprio qui, che “venne, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11). “Venne”, continua a venire, continua a dare, continua a comunicare. “Venne”, è venuto, per la gente di ieri, per la gente di oggi, per noi.

Ecco il mistero, il mistero dell’amore di Dio in contrapposizione all’altro mistero: “i suoi non l’hanno accolto”. Ecco, dobbiamo guardare quanto noi abbiamo accolto quest’amore, quanto intendiamo ancora accoglierlo, quanto vogliamo tradurlo in tutta la nostra esistenza. “Venne”, ecco, che corrisponda questa parola, che corrisponda all’altra parola: “Andarono”, come i pastori. “Venne”, noi andammo, noi siamo andati ad adorarlo, a riconoscerlo, ad amarlo; siamo andati non con le nostre parole, siamo andati con tutta la nostra vita, con tutta la nostra generosità, con tutto il nostro sì. E il nostro sì alla volontà di Dio è il nostro sì a questo amore che supera ogni sentimento. Ecco, ripetiamo il nostro sì di vita cristiana integrale e piena, di vita cristiana grande, il sì a Dio tradotto così nel bene di ogni giorno.

Condividi: