Omelia XXV Domenica del Tempo Ordinario
Sementi premium
Is 55, 6-9; Fil 1, 20-27; Mt 20, 1-16
È una parabola che ci invita a una riflessione profonda. Dunque la vita è una giornata di lavoro, una giornata che, terminata, ha un premio; una giornata che è giudicata, è giudicata nel suo senso vero, perché il padrone dà la paga non secondo un criterio umano, ma un criterio suo. “Il Padre – dice Gesù – vede all’interno” (Mt 6, 6) e il Padre che vede all’interno ha un criterio talmente diverso, che noi restiamo trasecolati, perché soggiunge in Isaia: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55, 8).
Noi pensiamo allo snodarsi delle nostre giornate, dei nostri anni: che cosa raccogliamo? Raccogliamo ciò che abbiamo seminato. E quand’è che la semente è valida? Quando noi seminiamo nel suo nome. Seminare in un altro nome, seminare con altre intenzioni non conta, è semente buttata via, non serve. “Nel tuo nome – ripete spesso il Salmo – nel tuo nome, Signore” (Sal 144, 1-2. 21; 124, 8). È nel suo nome che vale ciò che noi facciamo, le nostre povere cose, le nostre povere azioni, quello che facciamo di bene è un dono del Signore e Lui premierà i suoi doni.
Da parte nostra c’è la paura di aver seminato invano, di avere così trascurato il lavoro, che anche dopo una lunga giornata la ricompensa debba essere piccola. Oh, sì! Ce ne dobbiamo preoccupare, perché “nel suo nome” vuol dire “secondo il suo volere” (Ef 1, 6), nel suo amore, secondo quello che Lui ha stabilito per noi, perché ogni uomo ha la sua chiamata, chi presto, chi tardi; quello che è necessario è non essere oziosi.
L’impegno, lo sforzo di tutta la giornata non conta. Conta il cuore, conta l’amore, conta la generosità, conta essergli fedele sempre, conta sentire questa distanza fra il nostro lavoro e il suo premio, perché, ce lo ricordiamo, “Io sarò la tua ricompensa grande, tanto grande” (Mt 5, 12), dice la Scrittura. Lui la nostra ricompensa, Lui l’infinita sapienza, l’infinita bontà, l’infinito gaudio! Oh, come dobbiamo lavorare! come ci dobbiamo sentire spronati! Come dobbiamo far bene le nostre cose, i nostri servizi, le nostre preghiere, le nostre carità, le nostre decisioni di ogni giorno! Come lo dobbiamo far bene! “Io sarò la tua ricompensa grande, tanto grande”.
Ma la sua chiamata ci colloca, ma la sua chiamata specifica il tipo di lavoro che dobbiamo fare, ma la sua chiamata è perentoria e non si può tardare. L’invito allora è triplice: rispondere di sì, con prontezza, lavorare secondo la sua volontà, ma lavorare sodo e benedirlo per il posto dove ci ha messo, per la chiamata che ci ha dato, per la missione che ha assegnato ad ognuno di noi. E poi resta perenne il nostro atto di contrizione, non la nostra pretesa: è una cosa assurda, resta il nostro atto di contrizione: “Quando avete fatto tutto quello che dovevate fare, dite: Siamo servi inutili” (Lc 17, 10).
Queste sue parole le dobbiamo portare sempre con noi. Non è Lui debitore a noi, siamo noi a dover chiedere sempre la sua misericordia, la sua comprensione, il suo aiuto. Vogliamo, in questa domenica, sentirci spronati a questa vocazione del lavoro nella nostra anima, la vigna eletta nella santa Chiesa di Dio, chiamati a lavorare, chiamati a dare il meglio di noi stessi, perché è solo così che può essere la nostra speranza viva, è solo così che può essere la nostra gioia serena.
L’impegno, lo sforzo di tutta la giornata non conta. Conta il cuore, conta l’amore, conta la generosità, conta essergli fedele sempre, conta sentire questa distanza fra il nostro lavoro e il suo premio, perché, ce lo ricordiamo, “Io sarò la tua ricompensa grande, tanto grande” (Mt 5, 12), dice la Scrittura. Lui la nostra ricompensa, Lui l’infinita sapienza, l’infinita bontà, l’infinito gaudio! Oh, come dobbiamo lavorare! come ci dobbiamo sentire spronati! Come dobbiamo far bene le nostre cose, i nostri servizi, le nostre preghiere, le nostre carità, le nostre decisioni di ogni giorno! Come lo dobbiamo far bene! “Io sarò la tua ricompensa grande, tanto grande”.
Pensiamo a quell’infinito oceano di amore e di gioia verso il quale va la nostra vita. Che vada, vada forte, vada con profonda letizia: “Perché – soggiunge Paolo nella seconda Lettura – Cristo sarà glorificato nel mio corpo, per me il vivere è Cristo, il morire è un guadagno” (Fil 1, 20). Ecco la ricompensa è lì. Lavorare con frutto, lavorare per Lui, lavorare per essere suoi per l’eternità e partecipare all’eterno convito.