di Gabriele Guatteri
Viaggio missionario in Madagascar
Non è semplice sintetizzare un viaggio “Missionario”, un’esperienza di 16 giorni che coinvolge totalmente corpo e spirito. Dal 2 al 18 gennaio abbiamo visitato diverse realtà che prestano servizio in Madagascar e ammirato alcuni luoghi naturalistici. Il primo viaggio organizzato dal Movimento Familiaris Consortio in collaborazione col Centro Missionario Diocesano è nato da una idea di don Luca Fornaciari e don Simone Franceschini: portare sul posto le persone per vedere, visitare, toccare con mano la realtà dell’impegno missionario, reggiano e non, in quella terra. Andare di persona è molto coinvolgente e fa comprendere in modo totalmente diverso ciò che testimonianze, foto o video fanno solo intuire: esserci è sentire la realtà sulla propria pelle.
L’impatto emotivo è stato forte, ma col passare dei giorni la riconoscenza per le opere che la chiesa reggiana ha creato e mantiene con grandi sacrifici di mezzi e persone è stata il sentimento prevalente, riconoscenza e stima per i sacerdoti ed i volontari che dedicano mesi e anni della loro vita al popolo malgascio, testimoniando che un grande amore per Gesù Cristo rende possibili grandi opere.
La casa della carità, i mezzi di trasposto tipici del posto, l’orfanatrofio
Guidati da don Luca Fornaciari, che si è speso molto per far sì che tutto fosse ben coordinato, in 18 provenienti da Reggio, Sassuolo, Carpi, S. Ilario siamo partiti: Reggio, Bologna, Parigi, finalmente Antananarivo. Incontriamo, nella prima casa della carità fondata a Tongarivo più di 50 anni fa, don Pietro Ganapini, una presenza spirituale e carismatica che abbiamo ascoltato e con cui abbiamo pregato. Ad Antsirabe facciamo conoscenza dei famosi pousse-pousse, carrelli a due ruote simili a risciò, mezzo di trasporto urbano a trazione umana. Terza tappa è Fianarantsoa (il nome significa =là dove si apprende il bene), che è stato il più importante centro di diffusone della religione cattolica. Qui l’orfanotrofio delle suore Nazarene ci ha letteralmente rapito il cuore e la mente: il tempo passato con quei bambini è volato e nella messa con loro abbiamo pregato che ognuno trovasse una bella famiglia.
La foresta tropicale, l’arrivo a Manakara, l’Ospedale “Don Mario Prandi”
Percorriamo a bordo del nostro autobus rosso la famosa Route Nationale 7 piena di buche, che ci porta al Sud. Ai bordi della strada la gente vende galline, oche, verdure, carne, gli uomini aggiustano motori, ragazzini minuti ma muscolosi spingono carretti pesantissimi, sui prati vestiti coloratissimi sono stesi ad asciugare, gli zebù trascinano carri colmi di merci improbabili, le risaie dalle mille sfumature di verde si stendono a perdita d’occhio, in mezzo alla terra rossa, fino a giungere alla foresta tropicale di Ranomafana.
Finalmente arriviamo a Manakara, la città che ospita i nostri sacerdoti nella parrocchia di Ambalapahasoavana affidata alla comunità sacerdotale Familiaris Consortio. Qui nella messa abbiamo ricordato don Pietro Margini, nel trentesimo anniversario della morte. Piu tardi Mademoiselle Blandine, nella comunità per ragazzi disabili di Tsararano dei Servi della Chiesa, ci offre il pranzo: noi seduti a tavola, loro per terra su un telo.
Dopo un’ora di strada sterrata, che assomiglia più ad un greto di un fiume, visitiamo l’Ospedale “Don Mario Prandi” di Ampasimanjeva, l’opera più impegnativa di questa zona con centinaia di persone in attesa di una visita o una cura e medici ed infermieri insieme ai volontari che sono al servizio degli ultimi con una serenità ed uno spirito di abnegazione veramente toccanti. Alcuni volontari stanno per rientrare in Italia, ed immaginando quanto siano preziosi per l’ospedale, preghiamo che il Signore susciti nuove vocazioni. Quello che può fare una sola persona, un medico, un infermiere, in questo contesto è veramente importantissimo. Dopo aver ascoltato e salutato il dr. Martin, Chiara, Giulia (volontarie reggiane), ripartiamo per Manakara, dove visitiamo anche l’Ospedale Psichiatrico: qui una volontaria reggiana, Enrica, da molti anni coordina il funzionamento dell’ospedale e fa tutto il possibile per questi pazienti. Rimaniamo senza parole, c’è bisogno di tutto…
Il beato martire Lucien Botovasoa, l’incontro con il vescovo, la messa in parrocchia
Corriamo a Vohipeno per conoscere il beato martire Lucien Botovasoa, una luce di fede cristiana che illumina la terra malgascia. Celebriamo la Messa sul luogo del suo martirio tra la curiosità dei passanti che si fermano a vedere i “vahini” (ospiti) in quel luogo sacro. Nel santuario abbiamo visto la compostezza con cui più di 1300 giovani delle scuole hanno partecipato alla messa cantando tutti insieme.
Nella Ferme (azienda agricola) St François d’Assise vicino a Manakara, una fattoria animata da Luciano Lanzoni, dei Servi della chiesa, che aiuta molte persone insegnando ad allevare animali o coltivare la terra, partecipiamo alla prima giornata dei giovani incontrando il Vescovo di Farafangana mons Gaetano Di Pierro. Domenica partecipiamo alla messa in parrocchia a Manakara, una messa vissuta con più di 800 parrocchiani pieni di entusiasmo e di fede, un’assemblea partecipe e attenta, una vera festa con canti e al termine anche balli.
Le bellezze naturali e il contatto con la realtà locale
Terminata la serie di visite ai luoghi missionari, è iniziata la discesa verso il sud del paese per ammirare le bellezze naturali, passando tra le realtà rurali dei villaggi: le condizioni di vita sono estreme, senza acqua, senza luce, senza fogne, capanne con il focolare all’ingresso… Cominciamo a far sedimentare l’intreccio di emozioni, sensazioni, immagini per lasciare spazio pian piano all’ascolto più profondo dell’esperienza: mora-mora, piano piano, è un modo di dire malgascio, e che la vita qui scorra più lenta è un dato di fatto!
Con il cuore e la mente sottosopra partiamo per una fase più leggera ma sempre a contatto con la realtà locale che comunque ci avvolge completamente: pescatori, venditori, bambini di strada, gente che va gente e che viene a piedi, ovunque ci accompagnano questi personaggi anche attirati degli stranieri sperando di vendere qualcosa o di ricevere qualcosa, sempre con educazione e compostezza. Fatichiamo a gestire le numerose richieste vorremmo dare qualcosa a ciascuno soprattutto ai bambini, ma non è possibile. Colpisce il sorriso delle persone, sdentato ma caloroso, sorridono veramente, con tutto il viso, con tutto il corpo, nonostante la povertà, l’insicurezza del futuro, sorridono, ed accolgono, e salutano, grandi e piccoli.
Il trekking nel parco dell’Isalo ed la barriera corallina di Tulear sul canale del Mozambico ci portano a rendere grazie per questo mondo meraviglioso, a cui apparteniamo, tutti. Se dovessimo riportare tutti i dettagli e gli incontri del viaggio dovremmo scrivere un libro a 18 mani. L’essere insieme in gruppo è stato molto positivo perché ci si aiuta a capire, a sdrammatizzare, a scherzare e le varie visioni e sensibilità arricchiscono tutti.
Cosa ne resta?
Cosa ci è rimasto? Cosa abbiamo portato a casa? È molto personale la risposta ma mi pare di poter riportare ciò che ci siamo detti anche tra noi:
i pensieri si affollano, gioia, timori, domande aperte, desideri…Aperture e chiusure del cuore si incrociano ma una cosa è certa non siamo più gli stessi che si trovarono alla partenza; siamo cambiati in meglio speriamo, abbiamo visto una parte del mondo che non conoscevamo e che ci ha costretto a fare spazio nel nostro cuore, senza timore sotto la luce di Dio abbiamo accolto questa realtà: c’è anche questo mondo, c’è anche questo dolore nel mondo e ci riguarda, ci interroga, ci chiede aiuto, richiede molta fede ma io cosa posso fare? Insieme cosa possiamo fare?
Ognuno in cuor suo risponderà.
Reggio Emilia, 28 Gennaio 2020
Questo articolo è disponibile anche sul settimanale cattolico reggiano “La Libertà”