Omelia II Domenica di Natale
Un prodigio che sorpassa tutti i prodigi
Sir 24, 1-4, 8-12; Ef 1, 3-6, 15-18; Gv 1, 1-18.
Una caratteristica del tempo natalizio è lo stupore, è lo stupore per cui si ripetono le parole della rivelazione: “Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi”, stupore perché Dio ha fatto un tale miracolo, un prodigio che sorpassa tutti i prodigi: il prodigio dell’Incarnazione fatto per amore, fatto per starci vicino, per condividere la nostra condizione, per essere così compagno ad ogni uomo, compagno di pellegrinaggio per la dimora eterna del cielo.
E dobbiamo suscitare sempre di più in noi questa ammirazione per sentirci veramente i figli di Dio, che superano tutto quello che è materiale e terreno per gustare ed apprezzare fino in fondo le realtà celesti. Abbiamo bisogno di gusto, abbiamo bisogno di formarci un palato che gusti le cose spirituali. Insistono sempre ì nostri santi: non solo dobbiamo abbandonare il peccato, ma dobbiamo distaccarci dal peccato, quel distacco che dice allora una vera sapienza, la sapienza che ricorda il Siracide nella prima lettura.
La sapienza ci porta a non aver più nostalgia del peccato, a non aver più l’attrattiva del peccato, ad avere invece quel gusto che ci dà lo Spirito Santo, il gusto del bene, il gusto del trovarci con il Signore, di apprezzare i suoi doni, di vivere nella sua grazia, perché quando viviamo senza la grazia di Dio acquistiamo gusti cattivi, acquistiamo l’indifferenza verso le cose così grandi che ci ha portato il Figlio di Dio. Il peccatore gusta le cose schifose e brutte: le pensa, le desidera, le attua; ha istinti che prevalgono e sono istinti orgogliosi e animaleschi.
Come dobbiamo desiderare che lo Spirito Santo crei in noi un cuore nuovo, un gusto nuovo di cose. Come dobbiamo chiedere nella preghiera che il Signore ci doni quello che diciamo spesso nella Liturgia: “l’avere il sapore delle cose giuste e rette”.
Come dobbiamo desiderare che lo Spirito Santo crei in noi un cuore nuovo, un gusto nuovo di cose. Come dobbiamo chiedere nella preghiera che il Signore ci doni quello che diciamo spesso nella Liturgia: “l’avere il sapore delle cose giuste e rette”. Perciò oggi riaffermiamo il nostro proposito di stare vicino al Figlio di Dio e di desiderare e di attuare i suoi sentimenti come lo proclama san Paolo: “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5).
Giovanni Battista non era la Luce, era venuto per essere testimone della Luce. È una eredità che ci ha lasciato: siamo testimoni della Luce, cioè non solo per noi questo gusto, questo impegno, ma anche per gli altri, perché da noi imparino ad apprezzare le cose che valgono, le cose che contano, le cose che immensamente valgono di più delle cose che il peccatore adora e di cui fa un idolo. Apprezzare e proclamare; apprezzare e vivere così nella pienezza della luce del Verbo.