Omelia IV Domenica di Avvento, don Benedetto Usai

Omelia IV Domenica di Avvento, 22 Dicembre 2019 don Benedetto Usai

È possibile abitare il tempo? No, possiamo solo ascoltarlo, perché il tempo non è nostro.
Lo riempiamo spesso di attività per avere l’illusione di non perderlo, facciamo scelte affrettate per allontanare il timore di non valere o fingiamo che sia eterno usandolo per i nostri scopi; scopi che, una volta raggiunti, ci lasciano pieni di nostalgia.
Il tempo è lo specchio fedele della nostra condizione di uomini sempre alla ricerca, mai appagata, di un fine per vivere se presumiamo che questo sia solo il frutto della nostra ostinata volontà di riuscire in qualcosa che pare importante per noi e per gli altri.

Perché siamo così agitati, tesi, insoddisfatti? Forse perché non ci siamo mai dati il tempo per ascoltare il tempo; lo abbiamo aggredito, abbiamo preteso da lui che ci riconsegnasse quello che avevamo già deciso senza attendere che si facesse vivo per offrirci passi più sicuri e più adatti per vivere in pienezza il significato della nostra vita.
Proviamo a fare questo esperimento: fermiamoci in camera e, in silenzio senza nessuna occupazione, ascoltiamo il tempo che scorre. È probabile che prenda piede una voce insistente, composta da altre mille che ci fanno rimpiangere quello che non stiamo stati e tremare al pensiero di quello che pensavamo di dover essere.

Tutto questo si chiama paura ed è l’eredità più nascosta del peccato dell’uomo: è cattiva perché ci fa uscire dal tempo e ci costringe a piegarci prima sul nostro passato e poi sul nostro futuro lasciandoci smarriti, inermi e disperati; ma la paura può diventare anche molto buona, sorprendente e rasserenante, perché ha la forza umile di riposizionarti nel tempo trovando un posto che non può che essere il tuo: il tempo presente, ora, questo stesso momento.
Intuisci di avere trovato la strada giusta e nell’intimo gioisci a squarciagola; con il passato, infatti,  ci rimane solo da riconciliarci e dal futuro possiamo solo attendere buone nuove.

Ma com’è possibile accogliere il presente come ‘momento favorevole’ visto che nel momento stesso in cui lo riconosciamo come tale è già diventato passato ed ha già messo un piede nel futuro?
Passato, presente e futuro sono la tensione continua che anima il nostro esserci, dove ci dibattiamo scegliendo prima l’uno poi l’altro per riprendere fiato e non rimanere intrappolati: sono stato così, ora sono questo, domani sarò diverso.
‘Ma se ci fosse qualcuno Invochiamo con voce sorda ma piena di speranza che standoci dentro lo trasforma in un oggi che non sfiorisce e nel nostro cuore faccia unità tra quello che cerchiamo e quello che già siamo?’ Un ‘Oggi’ dove trovare finalmente una casa accogliente.

Quante volte nel Vangelo ascoltiamo pronunciata la parola ‘oggi’? ‘Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore’. (Lc 2,10-11); ‘E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. 43Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso’. (Lc 23,42-43). L’oggi di Dio, la Carne stessa di Cristo è la risposta più credibile e vera al tempo che è stato, che è e che sarà; è la sintesi perfetta dove l’uomo che attende e cerca si ritrova nella sua verità di figlio; è uno squarcio nella realtà del Creatore e Padre di tutte le cose che ha scelto di abitare il tempo per ridonarcelo trasfigurato della sua Presenza.

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