Omelia XXVI Domenica Tempo Ordinario.
Am 6, 1.4-7; Sal 145; 1 Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31
Il Signore ci dona le cose perché noi le adoperiamo per il bene, per il bene di tutti!
Siamo invitati dalla Liturgia a usare bene le cose, ad usarle intelligentemente, perché un cristiano ha un suo modo di guardare il mondo e di prendere le cose del mondo. Un cristiano ha un suo modo e lo ha appreso dalla Fede. E deve essere delle cose di questo mondo un amministratore e un amministratore attivo: attivo dunque secondo i principi della sua Fede, secondo la grazia dello Spirito Santo in vista della vita eterna.
È tanto facile invece lasciarci prendere dalle cose e non essere più padroni e disponitori delle cose ma essere piuttosto trascinati dal flusso delle cose, degli affari, delle nostre preoccupazioni. È tanto facile e l’esperienza di ogni giorno lo dice: noi molte volte ci troviamo proprio nella situazione che il Signore sottolinea, di questo doppio servizio, un doppio servizio che si traduce in una evidente ipocrisia, un doppio servizio perché dimentichiamo che il cuore non si può dividere, che l’anima non può essere solo un po’ del Signore.
E l’unificazione è unicamente lì: nel vedere le cose come un dono di Dio, nel vedere le cose non in un ordine di proprietà (“Faccio ciò che mi pare!”) ma in un ordine preciso di amministrazione per un altro. Il Signore ci dona le cose perché noi le adoperiamo per il bene, per il bene di tutti, per il bene non solo mio, non solo tuo, di tutti, perché è nella prospettiva del Regno.
Il cristiano deve allora impegnarsi così con la sua attività, con la sua generosità, giorno per giorno!
Abbiamo l’esempio di Gesù ed è fortemente sottolineato da S. Paolo: “Gesù Cristo da ricco che era si fece povero” (2 Cor 8, 9). Cioè, Gesù ci ha insegnato come l’uso delle cose, come il nostro impegno nel mondo deve essere per il Regno di Dio e solo per il Regno di Dio! E il Regno di Dio si adempie nella giustizia e il Regno di Dio si adempie nella carità.
E noi dobbiamo essere a servizio della giustizia e noi dobbiamo essere al servizio della carità. E la povertà che il Signore ci chiede è il distacco ed è l’attività per la giustizia e per la carità. Perché, dice l’apostolo: “Egli ci ha arricchiti con la sua povertà” (1 Cor 1, 5), se non perché ci ha dato l’esempio di come trattare le cose, se non perché nella sua povertà ci ha acquistato questa visione meravigliosa delle cose e ci ha dato la grazia e la forza per raggiungerle.
Il cristiano deve allora impegnarsi così con la sua attività, con la sua generosità, giorno per giorno! Distaccato dalle cose di questo mondo deve saperle adoperare per il bene e il bene nel suo significato pieno, assoluto. Il bene! Il bene dei nostri fratelli, il bene della nostra società, il bene di quella che è la nostra famiglia posta così ad essere un segno di come si fanno le cose, un segno di come le cose debbano essere indirizzate.
Le nostre famiglie, che tante volte si dibattono in un mondo di preoccupazioni! Le nostre famiglie che possono apprendere dal Signore come si deve porre il proprio lavoro e nello stesso tempo essere a disposizione per gli altri.
È necessario quindi che ognuno di noi veda nell’intimo della propria coscienza: il distacco dalle cose è veramente una realtà che noi abbiamo acquistato nella Fede, la Fede, cioè la visione del Regno di Dio e delle esigenze del Regno di Dio. È sempre in primo piano, è su questo primo piano che dobbiamo discutere perché, e sempre torna la Parola del Signore, non ci si può dividere: primo piano le esigenze del Regno, dopo le altre cose.
E questo riusciremo vincendo il nostro egoismo, e questo riusciremo a compiere guardando l’esempio del Cristo, e questo riusciremo a compiere nutrendo la nostra vita della Parola del Signore e della preghiera. E sarà il nostro proposito.