Omelia XX Domenica del Tempo Ordinario – ANNO C, don Pietro Margini

Omelia XX Domenica del Tempo Ordinario. Accompagnati  dalle parole di don Pietro Margini (1917-1990), per vivere con frutto questo tempo prezioso.

Ger 38, 4-6. 8-10; Eb 12, 1-4; Lc 12, 49-57

“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra?”.

Gesù era stato annunciato come segno di contraddizione: è stata la profezia di Simeone che subito ha avuto il suo compimento. Gesù è stato seguito e amato fino alla follia, Gesù è stato odiato dell’odio più duro e irragionevole. Gesù aveva portato solo parole di pace, aveva fatto solo opere di misericordia: perché questo odio? È Gesù stesso che lo spiega. È Gesù che dice che la menzogna non può accogliere la verità, che l’odio non può accogliere l’amore. E Gesù morirà in croce e la sua condanna è chiesta da una folla di beneficati. Quel giorno del Venerdì Santo la folla gridava: “Sia crocefisso!”. Quella folla aveva ricevuto le parole più meravigliose e grandi, aveva ricevuto i miracoli, aveva ricevuto la manifestazione meravigliosa dell’amore di Dio, eppure gridava: “Sia crocefisso!”. È proprio segno di contraddizione. E poi ha detto: “Non crediate che il discepolo sia migliore del maestro. Se hanno criticato me criticheranno anche voi, se hanno cercato la mia morte cercheranno anche la vostra” (cfr. Mt 10, 24).

Il cristiano è chiamato ad essere un membro di Gesù, fa parte del suo Corpo ed ha perciò la stessa sorte, la stessa situazione, la stessa impostazione di cose. Il cristiano non può essere amato dal mondo: il cristiano porta con sé Cristo e perciò tutta la contraddizione che c’è stata in Gesù.

Ecco perché non ci dobbiamo meravigliare delle persecuzioni che continuamente infieriscono contro la Chiesa. Ecco perché non ci stupiamo che là, dove i missionari hanno effuso la carità, ci siano le distruzioni, ci siano le uccisioni. Ecco perché non ci possiamo stupire della persecuzione accanita, dura, inesorabile che avviene in molti Paesi: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (cfr. Gv 15, 20).

Che cosa spetta allora al cristiano? Aspetta dare testimonianza, aspetta umilmente predicare la carità ed annunciarla con la propria vita: spetta una testimonianza di amore e basta! Il Signore non ci ha promesso l’amore degli altri, ci ha detto invece: “perseguiteranno anche voi”. Ha detto che i cristiani devono essere il sale della terra, non lo zucchero della terra: non siamo chiamati a qualche cosa di dolce, a qualche cosa di piacevole. Siamo chiamati a una testimonianza piena, a una testimonianza che sia un evidente rimprovero, un rimprovero è infatti una vita sana e generosa a tutti quelli che praticano una vita viziosa e cattiva.

La comunità cristiana deve sentire questo suo compito: proclamare la verità, essere fedele alla verità, non deflettere dalla verità! E non è aperta una comunità che viene a patti su ciò che è vero e ciò che è giusto! È piuttosto una comunità vigliacca! Una comunità cristiana deve proclamare il messaggio del Signore, lo deve proclamare a tutti, piaccia o non piaccia; lo deve proclamare con coerenza e con umiltà, lo deve proclamare con molto senso delle cose.

Ecco i nostri compiti, le nostre responsabilità! “Sono venuto e portare il fuoco sulla terra – ha detto – e come vorrei che fosse già acceso!” (cfr. Lc 12, 49). Spetta a noi portare questo fuoco, sentire la nostra incapacità, gestirlo con un senso profondo di rispetto ma non venendo mai a patti: il male è male e va proclamato tale, il bene è bene ed è eterno!

Restiamo così umilmente, riflettendo sulle nostre responsabilità, responsabilità di ognuno di noi. Il cristiano deve rappresentare Cristo umilmente come comunità, per vedere quale genere e quale forza di testimonianza noi siamo chiamati a dare.

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