Omelia XVIII Domenica del tempo ordinario, 4 Agosto 2019.
Commento al Vangelo per la Gazzetta di Reggio di don Benedetto Usai
Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio.
Dal giorno della nostra nascita fino a quello della nostra morte, viviamo, e cerchiamo di farlo il meglio possibile. Più passano gli anni, piu’ matura in noi la coscienza che due sono i modi essenziali per affrontare la vita.
Si può vivere per morire, cioè aspettando di essere raggiunti da questo evento ineludibile, cercando di tenerlo a distanza il più possibile. Ad esempio affrontare le giornate come se non fossero così, facendo di tutto per non pensarci, perché ci terrorizza solo l’idea di passarci di fianco.
Oppure si può vivere per vivere, accogliendo la verità già inscritta nella vita stessa, che siamo chiamati a riconoscere con cuore sapiente e a vivere come l’occasione decisiva per la nostra gioia.
Cosa scegliamo? Tutti abbiamo esperienza di morte, chi nel grande chi nel piccolo: la morte di un proprio caro, la fine di un’amicizia attesa e desiderata che non rispetta le aspettative che avevamo, la grande delusione per un obiettivo non raggiunto. C’è un comune denominatore che lega tutte queste esperienze? Il primo è che non siamo eterni, ce la giochiamo in un arco di tempo definito, e non da noi; il secondo è che non siamo padroni di niente, nè della vita, nè delle relazioni, nemmeno dei progetti che facciamo. Così recita il libro del Qoelet: ‘Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male’.
C’è una parola, spesso dimenticata o disattesa, che qualifica una vita intera e ci permette di rileggere ogni cosa a partire da un’altra prospettiva: dono.
La vita è anche dura, ma se ci arrendessimo a riconoscere che prima di dovere realizzare qualsiasi cosa che ci consoli e ci dia sicurezza, siamo oggetto di una predilezione che ci viene riservata gratuitamente, che possiamo alimentare e fare crescere?
Come? Imparando a contemplare la nostra vita, le nostre relazioni, i nostri progetti, non come una riserva da cassaforte a cui aggrapparci per il futuro, ma come un regalo che ci fa vivere il presente con gli occhi rivolti al Cielo.
L’uomo cerca una sicurezza per tenere i piedi ancorati a terra, cioè per camminare senza inciampo ed affrontare i venti contrari che la vita gli riserva senza cadere. Gesù, nel Vangelo di questa Domenica, non mette in guardia dai beni, ma dalla cupidigia con cui si cercano i beni, fino a volersene appropriare. ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede’.
Possedere beni, volerli a tutti costi, fare la gara ad accumularne sempre di più: è questa la vita? Questo è quello che cerchiamo?Ancora, questo è quello che desideriamo? Riempire i ‘nostri granai fino all’orlo e darci finalmente alla pazza gioia. No. Vogliamo possedere qualcosa? Chiediamoci se siamo disposti a perderlo! Quand’è che una persona ci affascina, ci trascina, ci convince? Quando è povera da se stessa, non parla solo di sè, ma di chi lo ha generato. Gesù affascina perché è povero di beni ma ricco di Dio Padre.