Quaranta passi con Gesù

Meditazioni per la Quaresima 2019 di don Benedetto Usai

Meditazioni quotidiane di don Benedetto Usai ci accompagnano nel cammino della Quaresima 2019 per prepararci alla gioia della Pasqua. Don Benedetto Usai è un sacerdote della diocesi di Reggio Emilia – Guastalla, è membro della associazione clericale “Comunità Sacerdotale Familiaris Consortio”, è vicario parrocchiale dell’ Unità Pastorale Sacra Famiglia (Albinea-Borzano-Montericco)

Omelia di Pasqua, 21-04-2019

Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là e il sudario, che era stato sul suo capo, non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.

‘Sono entrata in cappella, mi sono inginocchiata e immediatamente due lacrime sono scese senza controllo. Signore davanti a te mi sento sicura, mi sento di poter essere me stessa come con nessun altro. Ho bevuto l’acqua e appoggiato la bottiglia sulla panca, ho posato la sciarpa, mi sono seduta comoda. Mi sento a casa: capita, coccolata, accarezzata, prediletta. Avrei voluto gridare a tutti quanto mi sentivo piena di Te, perchè tutti dovrebbero conoscere quella sensazione di gratitudine e di pace immensa’ (Dalla preghiera di una giovane mamma).

San Pietro e san Giovanni arrivano al sepolcro e trovano i teli e il sudario, che avevano avvolto e accolto il Corpo di Gesù dopo il supplizio della croce, piegati e ordinati. Il ladro non è passato, tutti i mobili sono rimasti chiusi, e la casa non è più sporca. La inonda una brezza leggera, si respira  accoglienza, se entri ti senti abbracciato. Dove c’è Gesù c’è ordine, dove Lui prende casa noi siamo a casa, se vive Lui ci si riposa. Ciascuno dovrebbe farne esperienza, in ogni relazione che condividiamo, in ogni famiglia dove stiamo.

‘Scusami, bisogna che vada, ci rivediamo presto’, è un ritornello che spesso interviene nelle nostre relazioni, come se ci mancasse sempre il tempo per il Signore e per i nostri fratelli. Abbiamo bisogno di ritornare con continuità in quel sepolcro vuoto e pieno, di guardare Gesù dal di fuori e dal di dentro, metterci a sbirciare dalla finestra e fermarci a condividere senza fretta un pasto disteso con Lui.

Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: ‘Che cosa cercate?’. Gli risposero: ‘Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?’. Disse loro: “Venite e vedrete”’(Gv 1, 38-39). Questa è la Chiesa, questa è la comunità cristiana, questo siamo noi con Lui. Vieni e vedi, fermati sulla soglia e guarda, poi entra e vedi la meraviglie che compie il Signore. ‘Abbiamo veduto, o Dio, le tue opere, le meraviglie che hai fatto per noi’. (Lodi mattutine, Sal 106). Chi ci incontra incontri Lui, chi ci ascolta ascolti Lui, chi ci accoglie accolga Lui. Questo è il dono che portiamo, è la responsabilità che ci è stata affidata… ‘Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi’. (Gv 17,11)

Vieni Gesù, colma di Te la nostra morte, e donaci di vivere una vita nuova. Vivi Tu

Vivi Tu le nostre relazioni, quelle ferite e quelle morte, che tanto ci affliggono.
Vivi Tu le nostre preoccupazioni, le nostre ansie e i nostri dubbi che tanto ci agitano.
Vivi Tu le nostre invidie e le nostre gelosie che ci danno una parvenza di vita e ci lasciano vuoti e stanchi.

Vivi Tu la nostra tristezza e la nostra angoscia, macigni per la nostra serenità, che tanto ci disorientano.
Vivi Tu la nostra rabbia e il nostro risentimento, che ci sfigurano il volto e il cuore e creano vuoto attorno.
Vivi Tu la nostra impotenza e la nostra ribellione, non crediamo più che Tu sei più forte e ci abbandoniamo alla disperazione.

Vivi Tu la nostra fedeltà, la Tua Fedeltà sia la nostra misura, perché non crediamo di riuscire da soli.
Vivi Tu il nostro desiderio di pace, perchè la Tua Pace sia la nostra fortezza e non pensiamo di amare nessuno senza.
Vivi Tu la nostra gioia, la tua Paternità ci confermi che siamo tuoi figli, chiamati alla gioia più intima.

Vivi Tu la nostra vocazione.
Vivi Tu la nostra comunione.
Vivi Tu la nostra missione.

Signore Gesù, Vivi Tu.

Nel silenzio che avvolge la terra, ancora esausti e tramortiti per il dolore patito da Gesù, rivolgiamo lo sguardo del cuore alla Madonna. Con Lei siamo presenti ad ogni istante della vita del Figlio, ad ogni attimo che ha riempito il nostro tempo, ad ogni passo che con cura e premura ha solcato la terra. Accogliamo con viva e sentita compassione il pianto, la sofferenza e la speranza di una Madre, che ha sentito le viscere agitarsi davanti a tanto tormento, trafitta dalle piaghe inflitte a quel Corpo da Lei partorito. ‘Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore’ (Lc 2, 18-19). Lo hai adorato nella culla e sopra quella croce, lo hai coccolato bambino e lo hai riavuto inerme tra le braccia, gioisci della sua nascita e non smetti di piangere per la sua morte. Ma tu sapevi! In questo giorno dove tutto tace, il Padre prende la parola, perche’ tutti siano da Te consolati. ‘Tuo Figlio vive’. Lo hai sempre saputo, non ti sei mai disperata, la sofferenza patita non ti ha vinto. Madre Santa, insegnaci ad essere deboli per essere forti, ed intercedi per noi la tua fede.

Ecco l’Uomo: chi urlava ‘crocifiggilo’, non sapeva che stava emettendo la propria condanna di morte, perché su quella Croce ci sarebbe andato anche lui, inchiodato al legno con i propri peccati. Ogni colpo di flagello, ogni pugno dato con violenza, ogni spina pressata sulla testa, siamo noi e sono io, tutte le volte che proviamo a vivere una vita diversa dalla sua. Non c’è altra Vita, non esiste speranza più certa, nessuno infatti ha ricevuto Vita dopo una morte cosi.
Chi sei Gesù? Sei l’uomo ferito, quello maltrattato, sei l’uomo che sanguina. Ti sei lasciato flagellare, perché ogni volta che siamo colpiti sulla schiena, ci aggrappiamo alla Fedeltà del Padre; ti sei lasciato maltrattare, perché ogni volta che siamo sballottati dalle onde della vita, ci ancoriamo alla Pace del Padre; ti sei lasciato coprire la testa di spine, perché ogni volta che le nostre tristezze diventano profonde, ci abbandoniamo alla Letizia del Padre. Quell’Uomo sei Tu Gesù e siamo anche noi, io sono quell’uomo in attesa di diventare Uomo.
‘Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati’. Tienici stretti a Te sulla tua croce, perché collaboriamo con Te alla salvezza del mondo.

In questo giorno santo, rendiamo grazie al Padre per il dono di Gesù, via certa per il Cielo.
Se dovessimo trovare una parola che in estrema sintesi dicesse Gesù, sceglieremmo questa: la Vita Eterna. Tutta la sua vita, dalla nascita alla morte, la sua predicazione, il suo ministero vissuto tra la gente, sopratutto la comunione intima e confidente realizzata con i suoi apostoli, ripetono questo: la Vita Eterna. Non ha desiderio più profondo, niente di più importante da dire e da far toccare, niente di più decisivo per cui valga la pena vivere e morire. ‘Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi’. Non è soltanto la sua ultima consegna, a ricordo della sua vita, che ci aiuti a non perdere la memoria di Lui, è la sua Vita, che continua a nascere e morire, a predicare, a vivere in mezzo a noi; soprattutto è la Comunione intima e confidente con la sua Chiesa, che lo riabbraccia sempre vivo, offrendo a ciascuno la gioia di incontrarlo ancora. Qualche giorno fa, parlando con un gruppo di bimbi che si stanno preparando alla prima comunione dicevamo: ‘Gesù ci regala la sua Vita perché desidera che noi siamo Lui, chi incontra noi incontra Lui’. Comunione e Vita Eterna, due parole in Gesù diventano una, una Unità inscindibile e divina. ‘Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. (Gv 17,20-21). La comunione in Cristo, con Cristo e per Cristo, è la contemporaneità del Cielo, perché dove c’è Lui ci sono il Padre e lo Spirito. Cingersi la veste, lavare i piedi, chinarsi sugli altri, sono i suoi gesti, lasciamo che continui a ripeterli in noi, con noi e per noi. Non sostituiamoli con delle copie sbiadite, per avere una parvenza di ciò che lontanamente è, ma permettiamo a Lui di ripeterli come quella sera. In Cristo, con Cristo, per Cristo, uno in Lui nello Spirito, uno con Lui e il Padre. Il Tuo Corpo e il Tuo Sangue ci facciano Uno per Te.

Come è’ possibile cambiare la propria amicizia in bieco opportunismo, essere così accecati, fino a svendere la propria vita per ‘trenta denari’? Così come c’è bisogno di un cammino, alle volte anche tortuoso, per trovare la gioia, c’è altresì bisogno di un cammino opposto per diventare tristi. La gioia non si improvvisa così come la tristezza non è la deriva di un momento, a monte c’è sempre una scelta che si alimenta di una coscienza: per chi vivo? A chi ho consegnato la mia vita? Per chi muoio?. Giuda ha scelto di non dare continuità alla fiducia accordatagli da Gesù, che lo aveva scelto e chiamato personalmente, e ha lasciato che il suo cuore si inebriasse del gusto velenoso del dubbio: se rimango con Lui non sono più libero, sono stanco di rimanere sempre nelle retrovie, i farisei non hanno poi così torto quando pensano che sia un presuntuoso. L’opera del tentatore si insinua allo stesso modo in ciascuno, quando non ci specchiamo più in Lui e distogliamo lo sguardo dalla Croce di Cristo. ‘Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé’ (Dai discorsi di Sant’Andrea di Creta vescovo). La Croce è uno schiaffo dolce al nostro orgoglio, alla nostra autosufficienza, al nostro egoismo. Se non c’è Dio ci sono io, se ci manca la familiarità con Gesù diventiamo facilmente compiacenti con il nostro peccato, se non è lo Spirito la sorgente di ogni dono ci rimane solo da riempire il vuoto della nostra umanità ferita…e dopo sono dolori. Perché io non sono Dio, non sono la Vita che si è fatta visibile (1Gv1,2), non posso più amare di un amore eterno. La Tua Croce vinca la nostra morte.

L’assenza di Gesù ci lascia al buio. È come quando, pur conoscendo la via che ci sta davanti, non accenniamo a fare nessun passo: non vediamo più, non ci fidiamo dove mettiamo i piedi, aspettiamo che torni la luce. San Giovanni, all’inizio del suo Vangelo, lo ha presentato così: ‘Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo’. (Gv 1, 9). Gesù stesso dirà di Se’: ‘Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va’ (Gv 12,35). Dove stiamo andando? ‘Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi’. Stiamo camminando a tentoni verso una metà indefinita, o stiamo procedendo sicuri verso di Lui?. C’è ancora qualcosa che ci preoccupa più di questo? Non sono considerato abbastanza, devo fare qualcosa perché gli altri si accorgono di me, e diano un po’ di respiro al mio esserci: stai con Lui; se non raggiungo quel risultato non sono niente, è meglio che mi chiuda in casa e non apra più la porta, chissà poi gli altri cosa penseranno di me, vai da Lui; non ho bisogno di nessuno, tanto meno di ricevere consigli, me la cavo bene anche da solo, cerca Lui. Non c’è niente e nessuno che valga più di Gesù, nessun pensiero, nessuna ambizione, tanto meno nessuna superbia. La sua Persona e la sua Vita mettono ordine e ci permettono di vedere chiaramente: chi sono, dove vado, come vivo. ‘Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: ‘Voi stessi dite che io lo sono’ (Lc 22,70). Giuda ha voluto tradirlo, a strappare quel laccio che lo teneva attaccato alla vita, ed è sprofondato nella morte: san Pietro non aveva compreso ancora cosa significava amarLo, ha pianto amaramente la sua colpa, ha riabbracciato la vita grazie a quello sguardo… ‘Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro.’ (Lc 22,61). Fidiamoci di Gesù, della sua amicizia e della sua compassione, fidiamoci della sua Vita. Non ci toglie niente, ci da’ tutto, il Tutto che desideriamo. Sii sempre Tu il nostro tutto.

Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.

Come si fa ad arrivare a tanto, e quasi ci scherniamo mentre lo domandiamo, a non leggere in quello che Maria compie un gesto di fede sincero e profondo? Possiamo arrivare al medesimo approdo, se siamo disobbedienti a Dio, nel non assolvere alle responsabilità spesso nascoste della Sua Volontà per noi e per gli altri: ci fidiamo ancora troppo di noi stessi, fatichiamo nel dare a Lui un credito di fiducia, crediamo ancora troppo poco che la fedeltà alla nostra vocazione e’ fedeltà a Dio. Vale quello che sento, ciò che mi piace, quello che credo mi possa fare stare bene. Quando perdo di vista Gesù, la sua Persona e la sua Vita, quando non è Lui il criterio delle mie scelte, non vedo più, perché perdo lo sguardo della fede, che è la vera conoscenza che Dio dona all’uomo credente. La Madonna ci è maestra, Lei infatti prima ha creduto poi ha capito, si è affidata alla Volontà del Padre che la chiamava, e poi ha compreso tutto quello che le ha donato di vivere. ‘L’evangelista Luca ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa su questi eventi straordinari nei quali Dio l’aveva coinvolta. Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo. “Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Il verbo greco usato “sumbállousa” letteralmente significa “mettere insieme” e fa pensare a un mistero grande da scoprire poco a poco…nel suo cuore Maria continuò a conservare, a “mettere insieme” gli eventi successivi di cui sarà testimone e protagonista, sino alla morte in croce e alla risurrezione del suo Figlio Gesù’ (Benedetto XVI, Omelia Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio, 01-01-2008). La Settimana Santa che abbiamo iniziato, così come è nel Vangelo di ogni giorno, ci permette di rileggere secondo Dio tutta la nostra vita, e di convertirla a Gesù. Tutto quello che Gesù ha vissuto, attraversato, sperimentato ci è familiare, perché non c’è niente della sua Vita che non ci riguardi e non tocchi da vicino anche la nostra quotidianità. Ci doni il Signore di essere fedeli alla nostra vocazione, per essere formati al suo sguardo di fede, e cercare sempre Lui e la Sua Volontà. Liberaci o Signore dalla presunzione di volere essere noi il centro e donaci la gioia di scegliere Te come l’unico centro della nostra vita.

“Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò” (Lc 23, 42-43)

“Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11, 42-43)

In quali situazioni noi gridiamo?
In genere emettiamo grida a causa di una ferita che ci provoca un dolore lancinante, improvviso, oppure per fatti e accadimenti che ci procurano sofferenza, ma anche semplicemente per rimarcare con insistenza una paternità.
Gridiamo per farci ascoltare o per non ascoltare, gridiamo per dominare, gridiamo per delimitare il nostro spazio vitale.
Anche Gesù grida ma non è il grido disperato di chi si sente solo e perso: Il grido di Gesù è sempre un grido pieno di vita.
È il grido del Figlio rivolto al Padre in ascolto, un grido di fede, di amore e di speranza.
È un grido di consolazione “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”; è un grido di chi ritorna a casa dopo una lunga assenza, un grido di pace; è un grido di vittoria, un’esultanza libera da ogni formalità, un grido catartico che diventa pianto: è il grido della fede, la Sua Fede, che diventa anche la nostra.

“Lazzaro, vieni fuori”. Ecco che il grido di Gesù rompe il muro della morte, lo oltrepassa, come Mosè di fronte al Mar Rosso; il suo grido squarcia le acque e apre la strada affinchè il popolo passi indenne e raggiunga in fretta l’altra riva.

Gesù si rivolge all’amico e si commuove per lui, gli ridona vita, così come desidera realizzare con ciascuno. “Uomo, vieni fuori” che significa: “Uomo arrenditi, lasciati amare, e lascia che ti abbracci…uomo, scegli la Vita, vivi, non morire, niente e nessuno può darti vita se non chi è La Vita…uomo, fidati, sono più forte del vento”: “Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia”. (Mc 4,39)

“Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” (Mc 10,47-48).

Il grido di Gesù è contagioso e, in senso cronologico, lo è ancora prima della sua Passione e della sua Morte.
Bartimeo grida tutta la sua fede ed insiste nel farlo anche quando viene zittito; gridare la fede non è una pazzia malsana, ma la sua verità più autentica, incarnata a pieno solo chi ama davvero la vita.
Gesù ci educa a questo; amare la vita non significa scacciare la morte ma attraversarla per poi vincerla.
Lui lo ha fatto, nessun altro ci è riuscito, perché “era morto ed è tornato in vita” (Lc 15,24). Abbiamo bisogno di fede, non di altro, per comprendere il Grido di Gesù e fare da cassa di risonanza ad ogni uomo sulla terra.

Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile e la vita ha trionfato; il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza. (Benedetto 16, Udienza Generale, 14-09-2019).

In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, ossia la risurrezione di Làzzaro, credettero in lui.

Credo in Gesù oppure no? Credo che Lui possa dare vita anche nella morte, o meglio, possa dare Vita alla morte? Il miracolo della risurrezione di Làzzaro, ci fa entrare più da vicino nel cuore ammalato dei suoi interlocutori, la cui unica preoccupazione era diventata quella di perdere il controllo del popolo. Come a dire: se la gente comincia a credere in Lui, noi non saremo più considerati, ne’ da loro e neppure dalle autorità; perderemmo il nostro potere, che e’ in definitiva la deriva consequenziale di chi si mette al posto di Dio, autoaffermandosi tale al suo posto. ‘Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione’.
Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate. (Gv 11,14-15)
Così afferma Benedetto 16, negli appunti da lui scritti, e pubblicati qualche giorno fa: ‘Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Infatti, da dove proviene tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo ci sarebbe e basta, e sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene allora l’unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste. Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, solo se sono volute e pensate – solo se c’è un Dio creatore che è buono e vuole il bene – anche la vita dell’uomo può avere un senso’.
Credere in Gesù, da’ forma all’uomo creato da Dio a Sua immagine e somiglianza, educandolo a vivere da figlio come il Figlio. È ciò a cui aspiriamo, la nostra vera chiamata, il desiderio più profondo scolpito nel cuore di ogni uomo. Gesù da’ significato a chi siamo, esalta a pieno la nostra umanità, rendendola bella non nonostante Dio ma grazie a Lui. Ritorniamo a Gesù con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza, sia Lui la Vita della nostra vita, il potere non ci deve interessare.
Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?” (Gv 11,25-26). Credo Signore, ma Tu aumenta la mia fede.

Gesù torna dove è iniziato il suo ministero pubblico, non certo per un dovere di nostalgia, ma per fare memoria di come il Padre, negli anni del annuncio, lo aveva guidato nello Spirito. Aveva appena detto ai giudei, che ormai erano inferociti: ‘Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre’. La disputa era stata accesa, i toni infuocati, l’epilogo si presentava scontato. Gesù era di sicuro anche stanco: stanco di provare a convincere chi aveva già deciso in cuor suo di essere nel giusto, stanco nel vedere i miti soccombere di fronte alla arroganza dei potenti, stanco di ascoltare i suoi accusatori mentre lo classificavano come indemoniato. Aveva avuto una giornata pesante, una tra le tante, proprio come succede anche a noi. Cosa fa Gesù? Torna nei luoghi di casa, dove aveva ricevuto lo Spirito durante il Battesimo di Giovanni, ed accolto la voce del Padre che lo presentava al mondo e alla storia: ‘In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.  E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto’. (Mc 1,9-11). Scegliamo Gesù come l’esempio da imitare e affrontiamo la vita con il cuore pieno di Dio. Teniamo viva la memoria della nostra storia con Lui: dove siamo nati, chi siamo diventati, che dono siamo chiamati ad essere. Non lasciamo che la nostra quotidianità, ci annebbi la vista e il cuore, lasciandoci senza forze e mezzi morti sulla strada. Spesso ci raccontiamo che non abbiamo tempo, ne’ per noi, tanto meno per il Signore. Ne perdiamo tanto inutilmente, perché quando non sappiamo chi siamo, non capiamo neppure come spenderlo. Per entrare con fede e umiltà nella Settimana Santa, decidiamo prima di dedicarGli un tempo preciso, per essere di nuovo confermati nella vocazione che abbiamo ricevuto. Confermaci Gesù nella tua vocazione all’amore.

In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». Poiché dicevano: ‘È posseduto da uno spirito immondo’. (Mc 3,28-30)

Il peccato contro lo Spirito è la negazione assoluta di Dio, della sua presenza, della sua potenza, della sua forza. Chi accusa Gesù di essere indemoniato, non crede che il Padre è la vita del Figlio, che il Figlio ha il potere in terra di rimettere i peccati (Mc 2,10-11), che lo Spirito è la nuova vita di chi crede. Qual’e il portale di accesso alla Verità che Gesù proclama con tanta trasparenza, e che ci difende dal pensare e dal credere che quello che dice sia tutto falso? Il dono fede, che è sempre da chiedere con insistenza, come chi bussa alla porta senza stancarsi. ‘Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe’ (Lc 17,6). Vivere di fede significa arrendersi all’evidenza della verità, che non si impone con violenza ma si propone con speranza. Vorremo avere una certezza matematica, che si appoggia a dei teoremi che non lasciano spazio al dubbio, dandoci la ‘sicurezza’ del credere. Gesù non è venuto per offrici una dimostrazione di Dio ma per darci Dio, per farcelo vedere, toccare, respirare. Non ha usato parole altisonanti per parlarci di Lui, ci ha fatto dono della sua Vita, che riceve Gloria dal Padre. Dice infatti: ‘Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio’. Siamo mai stati costretti a credere in Gesù? Se crediamo è solo perché l’Amore si è fatto evidente a noi, ci ha cambiato la vita perché’ ci insegna vivere, e alimenta di speranza le nostre giornate. Quale speranza? Non moriremo più. Colma di Te ogni nostro sguardo e ogni nostro respiro.

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre.

Ritorna alla mente la parabola del Padre Misericordioso, che Gesù aveva annunciato, per aprire gli occhi del cuore e della mente all’intelligenza della Fede: il Padre ci aspetta e fa festa per il nostro ritorno, assieme a tutta la casa; il figlio, si perde quando sceglie di non dipendere più dalla cura del Padre, e si ritrova nel momento in cui fa memoria della sua casa. ‘Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te’ (Lc 15, 17-18). La vera libertà è stare con il Padre, li’ è la nostra casa, l’annuncio sempre nuovo della verità. Gesù dice quello che dice e fa quello che fa, perché il Padre gli ha suggerito di parlare così e di agire così, offrendo a noi la possibilità di fare altrettanto. Vuoi diventare libero? Ama Dio Padre e fallo amare. Sii figlio, accogli il Padre con gioia, non dubitare mai della tua casa. Sii figlio, rimani nella sua Parola per comprendere la verità, e gridala sui tetti…‘Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze (Mt 10,27); sii figlio, lo sei già per lo Spirito che ti è stato dato, diventalo perché tanti che cercano ne siano attratti. Guardiamo ai bimbi: temono di piangere o di gridare anche quando non sarebbe opportuno? No, però sono figli, e cercano sempre il Padre. Donaci o Padre di stare sempre con Te.

‘Mosè disse a Dio: “Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. E aggiunse: “Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi’ (Es 3,13-14).

Io Sono.
San Giovanni Battista, in risposta alla stessa domanda, aveva risposto: ‘Egli confessò e non negò, e confessò: ‘Io non sono il Cristo’ (Gv 1,20), non accaparrandosi indebitamente una identità fasulla, che avrebbe portato alla perdizione lui e tanti che lo avevano già eletto come il Messia. Gesù dice Dio, non solo perché ne parla, ma perché lo e’. Come si declina questo nel suo ministero? Ricordiamo alcune sue affermazioni: Io sono la Via, la Verità, e la Vita (Gv 14,6); Io sono la Luce del mondo (Gv 8,12); Io sono la Porta della pecore (Gv 10,7). Io sono tutto quello che l’uomo ha bisogno per vivere: sono la strada da percorrere, illuminata a giorno, la porta stretta da oltrepassare. Diamo credito alle parole di Gesù, verifichiamole dentro alla nostra vita e alle nostre relazioni, e nominiamo i frutti generati dalla fede in Lui.
Mi sono forse perso, quando ho scelto di camminare dietro a Lui, ripercorrendo i passi che aveva già fatto? Ci sono stati momenti di buio, che inizialmente mi hanno smarrito, e che poi si sono trasformati in luoghi di Pace? Sono mai rimasto deluso, quando ho provato ad oltrepassare ‘quella porta’, trascinato solo dalla fiducia che Lui nutriva per me? ‘Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato’. La Croce, il peccato, la Fede. Gesù sulla Croce, inchioda tutti i nostri peccati e dona vita alla nostra impotenza. Io Sono, perché non c’è più morte che trionfi sulla vita; Io sono perché non c’è più peccato che non possa essere sconfitto; Io sono, perché nella fede gridiamo al mondo: il Padre è con me. Donaci di adorare con umiltà e riconoscenza la Tua Croce.

Diventiamo cristiani solo se impariamo ad essere umili. L’umiltà spesso fluttua tra la superbia e l’orgoglio. Ci capita di pensare: posso fare tutto oppure non sono capace di niente, passando dall’onnipotenza all’incapacità estrema. Entrambe le conclusioni sono farcite di presunzione, che escludono a priori che il Signore può tutto e respingono la possibilità di un suo intervento salvifico. Chi è l’umile? Chi conosce la sua Origine, si rifà continuamente ad essa per vivere la sua vita di tutti i giorni, e accoglie con riconoscenza il posto che il Padre gli ha dato per la sua gloria e il bene di tanti. Gesù è l’Umile, perché sa’ da Chi e a che cosa è stato chiamato, infatti conosce da dove viene e dove va: è cosciente del suo posto nel mondo, lo abbraccia fino al sacrificio di Se’, forte della testimonianza del Padre Suo. ‘…non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato’. Qual’e’ il mio posto nel mondo? A chi e a che cosa il Signore mi ha destinato? Per chi mi chiama a dare la vita fino al sacrificio di me?. Ha scritto una giovane sposa e mamma: ‘Ti ho aspettato così tanto che pensavo di essere sola al mondo Ora so che ci sei e ti aspetterò per sempre. È con la nostra diversità che ci siamo toccati il cuore e abbiamo sentito ogni vibrazione della nostra anima e del nostro corpo. Bagni la pioggia questa armonia fresca e leggera come la libertà che capiremo soltanto noi perché chi non si concede di soffrire ed amare la Vita è sordo davanti alla vera bellezza’. Gesù è la vera Bellezza, la vocazione a cui il Signore chiama ciascuno, un vero inno quotidiano all’umiltà.

‘Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù’.

Tutta la liturgia di oggi, è come una mano amica che con delicatezza e forza, ci tocca sulle spalle per dirci: ‘Non voltarti, continua a guardare avanti, la tua meta ti sta davanti’. Un giovane, impegnato a raccontare la sua vita, si è reso conto proprio mentre parlava, che ogni volta che guardava al suo passato si demoralizzava: cominciava a giustificare le scelte fatte di cui non era del tutto soddisfatto, cercava risposte che a posteriore potessero tranquillizzarlo, ma non trovandole si intristiva molto. Ci dicevamo: ‘Che senso ha guardare al proprio passato se questo ci blocca per l’avvenire? Scegliamo di guardare indietro solo per guardare avanti, ed essere più motivati, ripieni di speranza, più liberi’.

‘Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’. Il profeta Isaia si rivolge così al popolo di Israele, lo stesso lo fa Gesù con ciascuno di noi. Come farai mai ad accogliere il germoglio che sta’ fiorendo sotto i tuoi occhi, se continui a rimanere ancorato al tuo passato? Alle tue sicurezze irremovibili, ai tuoi ‘ho sempre fatto così, non vedo perché devo cambiare adesso’, a ciò che hai già pensato per i tuoi figli e ‘guai se non si realizza come ho sempre desiderato’. Gesù ci batte sulla spalla e ci dice: ‘Sveglia, ormai è giorno, hai già dormito abbastanza’… ‘è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce’. (Rm 13,11b-12).

‘Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto’. Da dove possiamo ripartire per imparare a guardare avanti con speranza? Da Dio Padre, che ci ama da sempre e continuerà a guardarci con Misericordia.
Un giovane, qualche giorno fa, ha condiviso con stupore una sua esperienza di fede, dicendo: ‘Non mi sono mai dato il tempo per trovare dei motivi che fossero a me credibili per la fede che professo, poi un amico ateo durante una escursione in montagna mi ha chiesto: ‘Tu, perché credi’… e mi sono detto… ‘E se fosse il Signore, che ha pensato di scegliere lui, per parlare a me?’ La Misericordia di Dio, che in Gesù si fa Carne, non si ‘esaurisce’ nel suo perdono ma è molto di più: è la Vita Nuova di Gesù, il suo Abbraccio che asciuga le tue lacrime, la sua Intimità che sceglie te come suo interlocutore privilegiato, è la sua Fortezza che manda te ad ‘evangelizzare ogni creatura’.

La donna del Vangelo, sapeva di avere commesso un peccato grave, la cui punizione secondo la legge era la morte per lapidazione. Nel momento in cui Gesù la guarda, Lui solo, e le dice: ‘Neanch’io ti condanno, va e d’ora in poi non peccare piu’, questa donna è diventata figlia. Una vita nuova le si apriva davanti, non doveva più temere il suo passato, era già stato sciolto nell’abisso della Misericordia.

‘Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato».Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai’. (Is 49, 14-15)

Mentre rendiamo continuamente grazie al Padre per la sua Misericordia, imploriamo da Lui il suo Sguardo, capace di sanare il cuore e la vita di tutti quelli che incontriamo.

Nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro20. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza. (Benedetto 16, ‘Porta Fidei’, Motu Proprio per l’indizione dell’Anno della Fede 2011).
Niente di quello che dice Gesù, e che la Chiesa accoglie e professa nel suo Magistero, è contro l’uomo. Tutto è per l’uomo, perché scopra la verità della sua chiamata ad essere tale, e viva perché questa si realizzi a pieno. L’uomo è fatto per Dio, la comunione con Lui da’ significato al suo esserci, al suo presente e al suo futuro. Gesù è l’Uomo, la pienezza del cuore, Colui che fa’ esplodere con gratitudine i sentimenti più nobili e alti. La sua Vita attrae, perché non esiste altra Casa più calda e accogliente, la sue Parole e i suoi Gesti continuano a ripetersi ogni giorno nella vita di ogni comunità: in ogni famiglia, in ogni singolo gruppo, in ogni uomo.
La Chiesa, costituta dal Padre nello Spirito, ha ricevuto da Cristo il mandato a fare di tutta la terra la sua Famiglia. Cristo è il Capo e noi siamo le sue membra, ferite, impotenti, inferme, però sempre le sue membra. C’è dissenso attorno a Gesù, ora in particolare, è infatti evidente che la sua Chiesa è sotto attacco. A noi cosa è chiesto?O meglio, Gesù cosa ci chiede? Cosa dobbiamo fare per imparare a leggere Lui e lasciarGli il passo anche dentro a tanta povertà? ‘Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti’ (Mt 7,12)… ‘Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio’(Lc 6,36-38). Abbiamo bisogno di quella misura, della sua Misura, che non ha misura. Il Signore ci doni di amare solo Lui e la sua Chiesa, la nostra Chiesa.

‘Di chi ha parlato Gesù nella sua predicazione?’. Con questa domanda, ci rivolgiamo spesso ai bimbi, per parlare loro della Vocazione di Gesù. Gesù parla del Padre, lo mostra, lo rende evidente, lo fa toccare. Gesù parla di noi, di ciascuno di noi, e della nostra chiamata ad essere e a vivere da figli. Che cos’è che ancora oggi è di ostacolo ai più nel riconoscerlo presente? Il parlare di Lui. Si parla di Gesù, come se fosse una notizia che buca i rotocalchi giornalistici, e non Lo si vive. Gli ‘abitanti di Gerusalemme’, che erano saliti alla festa, si dilettavano in questo: ‘Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia’. E’ lecito e anche consigliato, porsi delle domande sulla Persona di Gesù, con l’attenzione che le stesse non diventino l’occasione per tenerlo a distanza. C’e’ una domanda, che nella sua essenzialità, risulta essere la più vera: chi è Gesù per me?. Ancora prima, è opportuno domandarsi: ‘Quanto conosco questa persona? Quanto tempo gli ho dedicato per realizzare questo? Quanto spazio gli lascio?. A conferma di questo, ci viene in aiuto il Vangelo di qualche domenica fa, nel quale il Signore ci invitava a verificare quali sono i pensieri che sovrabbondano dal nostro cuore. ‘L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda’. (Lc 6,45). Che cosa sovrabbonda dal nostro cuore? Pensieri buoni o pensieri cattivi, pensieri di vita o pensieri di morte, pensieri di comunione o pensieri di divisione? La risposta a questa domanda, rivela il ‘termometro della nostra fede’, e ci dice se di Cristo parlo o di Cristo vivo: se Cristo è vivo in me, sovrabbonda la vita, solo la Vita.
Signore, aumenta la nostra fede inferma.

Bussa al cuore e risuona alla mente, il prologo di san Giovanni, all’inizio del suo Vangelo: ‘In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta’ (Gv 1,4-5); e ancora: ‘Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto’ (Gv 1,9-10).
Vita e Luce, sono le stesse parole che Gesù attribuisce a Se’ quando offre la sua testimonianza: ‘Io sono la Risurrezione e la Vita’ (Gv 11, 25) e ‘Io Sono la Luce del mondo’ (Gv 8,12).
Che cosa da’ credibilità e forza a questa Paola? Le opere che il Padre gli ha dato da compiere testimoniano per Lui. Mettiamoci con umiltà di fronte alla Persona di Gesù, e verifichiamo se quello che Lui dice di Se’, è lo stesso che possiamo dire anche di noi.
Gesù da’ testimonianza di un Altro, il Padre, che da’ testimonianza a Lui di Se’: è così anche per noi? Siamo testimoni del Padre o di noi stessi? Parliamo di Lui o di noi?; san Giovanni Battista …‘era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni’: la vita nella fede che abbiamo scelto di abbracciare, ci permette di offrire una testimonianza superiore a quella di Giovanni? Amiamo Cristo o san Giovanni? Siamo tramite a Gesù, come il Precursore, o siamo fermi al suo profeta?; ‘E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?’: la nostra gloria è il Padre e ciò che a Lui piace, o sono le presunte ‘conferme’ che riceviamo dagli altri, anche quando ci allontanano dai nostri fratelli? Gesù, donaci il Tuo Cuore, e rendici araldi luminosi del tuo Vangelo.

Gesù è la Vita, non una tra le tante, un’opzione possibile. No, Lui è la Vita, l’unica vita possibile. Gesù è venuto solo per questo, non ha altre preoccupazioni, altri desideri più impellenti. Fermiamoci e ‘studiamo’ la Persona di Cristo, così come i Vangeli ci consegnano e la Chiesa professa da 2000 anni. Gesù pensa così, Gesù parla così, Gesù guarda così: c’è una donna, sorpresa in adulterio, che per legge ‘merita’ la lapidazione: Gesù la accoglie, la rialza con il suo sguardo e il suo perdono, e le rida’ vita (Gv 8,10-11); c’è un uomo, che, per il suo mestiere, è un peccatore pubblico: Gesù lo cerca, si ferma a casa sua, e gli rida’ vita (Lc 19,1-10); c’è un centurione, che proprio di fronte a Lui, partecipa alla sua Passione: Gesù dalla croce, senza dire una parola, gli rida’ vita: ‘Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!’ (Mc 15, 39). Uomo, vuoi imparare a vivere? Guarda a Gesù, contempla come vive le sue giornate, senza cercare di imitarlo con le tue sole forze. Piuttosto, lascia che sia Lui a vivere lo stesso in te, che la sua Vita doni vita anche alla tua, i suoi pensieri, le sue parole, i suoi sguardi siano i suoi e non più i tuoi. Invochiamo con insistenza il dono dello Spirito, che è la sua Vita, il suo Respiro, il suo Cuore, e permettiamo a Lui di cambiare la nostra vita: non sia una lontana copia della Sua, sia la Sua.

Vuoi guarire? Alzati! Alzati dalla tua pigrizia, alzati dalla tua mediocrità, alzati dalla tua sete di consenso. Alzati e non peccare più, sei sempre degno dell’Abbraccio del Padre, sopratutto quando ti senti in colpa per aver caricato la tua barella in giorno di sabato. Gesù ama la tua barella prima del sabato, il sabato infatti è per l’uomo e non viceversa. Signore donaci di credere in Te e nella potenza della tua Misericordia che lava i peccati del mondo.

Vuoi guarire? Chi avrebbe opposto resistenza, visto che era infermo da trentotto anni? Nessuno. Gesù desidera offrire la sua guarigione a ciascuno, i miracoli che compie lo sottoscrivono con chiarezza, dandone una prova concreta. Ma, pur nella loro straordinarietà, sono solo una piccola parte della guarigione: Gesù vuole sanare il cuore, renderlo di nuovo adatto all’incontro con il Padre, Vita piena della vita di ogni suo figlio. ‘Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio’. Cosa c’è di peggio di una vita passata su una barella per tanti anni? La lontananza da Dio, l’esclusione scelta della sua assenza, la presunzione demoniaca di ribellarsi alla sua Bontà. Gesù è morto per questo, cioè si è caricato di tutta la lontananza da Dio provocata dal nostro peccato, ed è diventato Lui stesso peccato in nostro favore: per la nostra salvezza, per la nostra pace, per la nostra gioia. ‘Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio’. (2 Cor 5,21).
Vuoi guarire? Alzati! Alzati dalla tua pigrizia, alzati dalla tua mediocrità, alzati dalla tua sete di consenso. Alzati e non peccare più, sei sempre degno dell’Abbraccio del Padre, sopratutto quando ti senti in colpa per aver caricato la tua barella in giorno di sabato. Gesù ama la tua barella prima del sabato, il sabato infatti è per l’uomo e non viceversa. Signore donaci di credere in Te e nella potenza della tua Misericordia che lava i peccati del mondo.

Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino…, e credette lui con tutta la sua famiglia.

Tuo figlio vive: e’ l’annuncio della fede e il grido della Pasqua, Gesu Cristo è vivo! Dovrebbe diventare il nostro nuovo modo di salutarci, non un semplice ma non scontato ‘ciao, come stai?’ ma ‘Cristo vive, vivi anche tu’… E’ un saluto che è un augurio, una benedizione, una preghiera rivolta al Padre. Alle volte Gesù, prima di compiere un miracolo, viene ritratto mentre si rivolge al Padre ‘Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro’ (Mc 6,41); ‘Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato’ (Gv 11,42-42); altre volte no, siamo certi però che lo abbia fatto, perché la sua Vita è una preghiera continua e incessante. Il mondo, le persone che incontriamo, quelle che conosciamo da racconti di altri, quelle che incrociamo sul giornale o in televisione, cosa chiede a chi crede? Mostrare Gesù vivo, mentre parla, mentre ascolta, mentre piange, farLo vedere vivo. Gesù non è un fantasma, una invenzione del passato, un toccasana alla sfortuna, Gesù è vivo in me, in te, in tutta la Chiesa. Ci credo? Vivo di Lui? Gli permetto di amare in me? Mio marito, mia moglie, mio fratello, mia sorella, il mio amico, il mio collega…La conversione, quella a cui dall’inizio della Quaresima ci spronava con forza san Giovanni Battista, è la vita nuova del Risorto. ChiediamoLa al Padre con insistenza, in ogni preghiera e ad ogni incontro, perché sia il nostro nuovo annuncio: ‘Cristo vive, smetti di vivacchiare, vivi di Lui anche tu’.

“Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo’.

Il peccato, dal primo che è stato commesso dai nostri progenitori fino all’ultimo prima della fine dei tempi, sarà sempre un attacco frontale alla nostra vocazione di figli. Durante l’incontro con una coppia, che sta’ facendo un cammino di preparazione al fidanzamento, e a Dio piacendo, verso il matrimonio, parlando della comunione che entrambi vivono e delle fatiche che alle volte rallentano il loro cammino, ci siamo soffermati a considerare la realtà del peccato. È una realtà presente nella vita di ciascuno, tutti siamo feriti dal peccato di origine, che ci fa dimenticare chi siamo e il motivo per cui siamo stati creati e redenti. Ogni volta infatti che scegliamo di commettere un peccato, mettiamo Dio alla porta, perché si insinua in noi il pensiero, che può diventare anche una convinzione, che possiamo vivere bene anche senza di Lui, che non abbiamo bisogno che Qualcuno ci dica cosa è bene e cosa è male, perche decidiamo noi come è più giusto vivere.

‘Perché Gesù è così attraente?’-ci siamo chiesti-‘Perché la sua Persona ci affascina, così come la sua Vita, e anche la sua Morte? Perché Gesù è Colui che realizza a pieno la nostra chiamata ad essere figli, ovvero in Lui si realizza la verità del nostro essere, cioè del nostro cuore, pensato e creato ad Immagine e Somiglianza di Dio. Siamo attirati da Lui per questo, in Lui ci ritroviamo in pienezza, solo in Lui ci possiamo specchiare con fedeltà. Desideriamo vivere come Lui, stare con gli altri come ha fatto Lui, essere misericordiosi come Lui. Tutto della sua vita ci parla di Dio Padre e ci rivela a noi stessi nella verità di quello che siamo, e per il futuro che ci attende.

‘Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove’.
È nuovo, cioè è evidente perché vero, il mio modo di guardare, ben lontano da ogni possessione, che si appoggia a quelle scorie di egoismo che feriscono la nostra carità reciproca; è nuovo il mio modo di parlare, ben lontano da ogni volgarità espressa o nascosta, che non rispetta ma svilisce il miracolo dell’amore che cresce; è nuovo il mio modo di agire, che diventa capace di accogliere l’altro come un dono del Cielo e non come un parcheggio attrezzato per le mie voglie. La comunione cresce, se l’amore si alimenta alla Fonte, e l’acqua che fuoriesce è limpida, fresca, dissetante.

‘Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre’

L’indignazione del fratello maggiore di fronte alla Misericordia del Padre non ci è forse così sconosciuta, perché può essere capitato anche a noi di lamentarci allo stesso modo: quando ad esempio ci ergiamo a giudici, condannando anzi tempo ‘all’inferno’ chi si è macchiato di crimini aberranti, dimenticandoci, spesso per rabbia o per indignazione, di affidare il colpevole alla Misericordia del Padre. Oppure, e ci è più vicino, quando diamo per morta una persona che ci ha fatto dei torti. Cosa ci chiede il Signore? Di amplificare la sua Voce, esortando a nome Suo, a ‘lasciarci riconciliare con Lui’: noi per primi, accogliendo da Gesù l’invito ad essere ambasciatori di Misericordia, forti della vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte. ‘Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio’.

“Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro…Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: Non posso fare delle mie cose quello che voglio?’ (Mt 10, 8-9.12-14).

Siamo vivi, solo se moriamo al nostro peccato, e non permettiamo ad esso di riempire la nostra agenda.

Ogni volta che leggiamo e preghiamo su questo Vangelo, ci viene, quasi spontaneo, da schernire il pubblicano e da esaltare il misero. Abbiamo già scelto la nostra parte, quella che spetta ai giusti, e non ai peccatori. Gesù, morente sulla croce, prega il Padre con queste parole: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). San Gregorio Magno, nel commento al libro di Giobbe, aggiunge: ‘Egli solo fra tutti levò pura la sua preghiera a Dio, perché anche nello stesso strazio della passione pregò per i persecutori’.
Fino a quando non saremo capaci di pregare per i nostri persecutori, ammettiamo a noi stessi con onestà, che la parte del giusto non ci spetta ancora. Questa è la conferma della nostra giustizia davanti a Dio, ben lontano da essere tale, se rimane un ‘sacrificio di parole’. ‘Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce…poiché voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocàusti’ (Os 6, 4.6.). Saremo mai capaci di arrivare a tanto? No, a meno che il Signore Gesù non ami in noi. Continua Il profeta Osea: ‘Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra’ (Os 6,3). Presumiamo di essere giusti quando siamo certi di conoscere il Signore. Ripartiamo da questa coscienza: conosco ancora troppo poco il Signore, ho bisogno che sia Lui a rivelarsi a me, e non io che lo studio e lo imparo. Ormai a ridosso della Settimana Santa, diamo a Lui il tempo per parlarci di Se’, nell’Eucarestia, nella Meditazione della Parola, nel Rosario: perché parli a noi nella vita che viviamo, nelle persone che incontriamo, nelle fatiche che affrontiamo.

Il primo è: ‘Ascolta, Israele!’.
Ascolta, mettiti da parte, fai spazio; ascolta, parla un altro, tu taci; ascolta, rimani in silenzio, e guarda. Ciò che spesso le nostre relazioni soffrono, è la mancanza, addirittura l’assenza, della riconoscenza. Lo dice la parola stessa: riconosco qualcosa, di cui non mi ero accorto subito, perché ho ascoltato. Si ascolta con le orecchie, più di frequente, lo si fa con gli occhi. Chi ama, impara ad ascoltare, cioè a guardare oltre: oltre alle apparenze, oltre agli stereotipi, oltre al presente. Oltre verso l’altro, oltre verso Dio, oltre verso il Cielo. ‘Il Signore nostro Dio è l’unico Signore’. Ripartire ogni volta da questa coscienza, cambia lo sguardo sulla vita, perché cambia il cuore con cui vivo. Mi dice: io non sono Dio. Sembra una formalità, come a dire, è già chiaro. Perché allora, quando penso alla mia vita futura, il mio studio o il mio lavoro, la questione ‘Dio’, sembra cosi poco rilevante? Prego? A volte sfruttando le briciole di una giornata senza respiro, che ho organizzato come mi faceva più comodo, se mai quei pochi minuti prima di andare a letto…a volte. La Messa? Non ci vado più, è sempre uguale, e poi quel sacerdote!?! Gli amici, con loro non parliamo di Dio, perché è una questione privata. La domanda dello scriba, è la domanda che spesso la nostra vita ci ripropone, e che spesso noi eludiamo. È la tentazione dell’origine, volere essere Dio, ed è anche la vittoria piu’ grande di Cristo. Stiamo vicino a Lui, per imparare ad accogliere e vivere in verità la nostra umanità, che ha un unico Signore: Dio Padre.

Gesù è spesso ritratto nel Vangelo mentre scaccia i demoni. La reazione di chi assiste è triplice: c’è chi rimane stupito, ci sono altri che pensano che Gesù agisca in nome del diavolo. ‘È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni’; ce ne sono altri, che come satana durante le tentazioni di Gesu nel deserto, chiedono un segno ‘per metterlo alla prova’.
Qual’è l’opera del demonio? La divisione, che è lo stesso significato del nome, ‘diavolo’ infatti deriva da diábolos, che vuol dire ‘colui che divide’, ‘calunniatore’, ‘accusatore’. Dove c’è divisione, lui è presente, e lavora perché questa si realizzi: divisone nelle famiglie, tra gli amici, in chi è gravato da malattie o sofferenze.
Chi ci confonde nella fede, al punto che stentiamo a credere che abbiamo bisogno di Gesù per imparare a vivere e per essere veramente felici, se non lui con i suoi angeli?… ma il Signore è più forte, l’ha già sconfitto, e sulla Croce gli ha chiuso la bocca. Il dito di Dio infatti è la Croce di Gesù, che ha richiuso il diavolo e i suoi angeli all’inferno, privandoli per sempre della loro ‘forza’ di morte. Non ha più potere su di noi, a meno che scegliamo di assecondarlo nelle tentazioni che il Padre permette per la nostra santificazione e per la salvezza del mondo, lasciandoci avvolgere dalla loro spire di morte. Non abbassiamo la guardia, soprattutto, non mettiamoci a dialogare con esse. Se viviamo delle incomprensioni, se sperimentiamo la fredda distanza da chi abbiamo sempre amato, se ci viene facile la critica, il giudizio spietato, la maldicenza, fermiamoci: rivolgiamoci a Gesù, solo Lui può guarire e sanare le nostre ferite, anche quelle che sono diventate mortali. Consegnamole a Gesù, con umiltà e coraggio, perché Lui ‘era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’ (Lc 15,24). Abbiamo già vinto, perché il Signore ha vinto, e lo ha fatto per sempre. Il Signore ci unisca a Se, e ci doni di sperimentare sulla pelle la potenza della sua Vita, che sa guardare la morte con Misericordia.

La legge e i profeti sono Gesù Cristo, infatti ‘le leggi e le norme che Mose ha insegnato come Dio gli ha ordinato’, hanno Lui come Fine e come Compimento. ‘Non sono venuto ad abolire ma a dare pieno complimento’, cioè a darne la lettura più vera, e ad offrire l’approdo più sicuro. Tutto quello che è stato scritto nella Legge e nei Profeti, avverra’, si realizzerà, si compirà. E ciò, non solo nel futuro che ci sta davanti, ma nel presente in cui siamo. Dice Mose al popolo ‘Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate’. Chi può dare vita se non chi è la Vita? Chi può dare compimento se non chi è il Compimento? Chi può dare corpo, sostanza, forma al presente in cui siamo, se non chi è il Corpo, la Sostanza, e la Forma?

‘Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede’. (Gal 5,23-24)

Gesù è la Legge del Padre, la sua Vita nel mondo, o meglio, è la Vita nel mondo. Se la Legge e i Profeti, rimangono fredde disposizioni per la nostra tranquillità di coscienza, senza che queste ci portino a conoscere e amare Cristo, viviamo ancora troppo poco dello Spirito di Dio, e la fede che professiamo rimane una credenza vuota, senza che intercetti e cambi la nostra vita. Cristo vive in noi, solo se siamo inondati dal suo Santo Spirito, è permettiamo a Lui di incarnarsi nella nostra quotidianità’. Il Signore, per l’intercessione potente della beata Vergine Maria, ci faccia dono abbondante del Suo Santo Spirito.

‘Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette’.

L’Amore ha una misura? No. La Misericordia ha una misura? No. Il Perdono ha una misura? No. È proprio di chi ama non avere confini… ‘Ti amo fino a qui’… non sarebbe amore. L’amore chiede tutto, questo è il suo confine, solo questo lo rende vero. Dio ama così, Gesù ama così, lo Spirito ama così. Sono innumerevoli gli esempi di santi che parlano al mondo con la stessa misura, l’hanno adottata come stile, che diventa la medesima per i più che li incontrano.
Tutte le volte che Gesù risponde alle domande che gli vengono rivolte, ad esempio al giovane ricco (Mc 10,17-22), che gli si era inginocchiato davanti per sapere cosa doveva fare per avere la vita eterna, non da’ mai risposte a buon mercato, quelle che anche noi subito vorremmo sentirci dire, non fa’ sconti …‘Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!’ (10,20)… Gesù ha sempre un orizzonte di eternità, lo stesso del Padre, l’unico che realizza la nostra vocazione all’amore.

‘Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello’.
Se subiamo torti, da amici o da altri, ci si presentano due opzioni: o ristagnare nella ‘violenza’ che ci ha colpito, favorendo un vizio di sguardo , che allarga la ferita inflitta fino a che diventi mortale, o condividere la nostra passione con quella di Cristo, salendo con Lui su quella Croce di morte, per ritrovare nella Sua Vita la novità di una nuova relazione. Perdonare di cuore, significa imparare ad amare le nostre ferite con il cuore di Cristo, certi che solo Lui le colma della sua Vita. Ogni volta che partecipiamo all’Eucarestia, ripetiamo al Signore con fede: ‘Ti offro la mia croce, uniscila alla tua, e donami la Tua Vita’.

In quel tempo…
Spesso la liturgia introduce così la lettura del Vangelo. In quel tempo, cioè nel tempo in cui sono avvenuti questi eventi, nel Tempo che si è fatto storia. Da una parte giustifica la scelta di Dio di abitare il tempo, dall’altra spiega che il nostro tempo è diventato il Suo Tempo: il tempo della sua Incarnazione, della sua Morte e Risurrezione, dell’Ascensione e della Pentecoste. Maria è il portale di ingresso al tempo di Dio, quello squarcio da cui passa la luce, il suo Si definisce e amplifica il Si del Padre. È Lui infatti, che vuole dare la mano all’uomo che ha creato, e portarLo con Se’ a vivere e respirare la sua Famiglia. Stupisce sempre, ogni volta che si legge e si prega questo Vangelo, il modo con cui Dio sceglie di aprire questo squarcio: ‘L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe’. Non è appariscente, non è invadente, tanto meno ‘violento’. La sobrietà, la discrezione, l’attenzione da parte del Padre alla sua creatura, ci mostra con evidenza, quello che sara’ lo ‘stile’ di quel Figlio; lo stesso di Maria, che nello Spirito, è stata preparata e scelta per la Missione delle missioni. ‘Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà’ (Eb 10,7). Insegnaci tu, o Maria, ad accogliere ed abbracciare la Volontà del Padre: sia sempre la nostra gioia, la nostra speranza, la roccia ferma della nostra fiducia.

Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio

La domanda sulla nostra identità, accompagna la nostra vita di tutti i giorni, e si ripresenta spesso e sotto varie forme alla nostra attenzione: chi sono io? Chi sono io quando mi trovo ad affrontare un lutto? Chi sono io quando raccolgo delle notizie inattese e che mi fanno piangere? Chi sono io quando vengo abbracciato da una sofferenza, che si ripresenta con continuità, mi abbatte e mi toglie il fiato?
San Giovanni Battista, a coloro che gli chiedevano chi fosse, rispondeva: ‘Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo‘ (Gv 1,20). Io non sono quello che voi pensate che io sia, non sono quello che altri mi hanno fatto credere di essere…devi essere forte, niente ti deve abbattere, c’è sempre una soluzione a tutto…Solo Dio dice di Se’: ‘Io sono Colui che Sono’, sono da sempre e per sempre, dono vita a tutto è a tutti, e se permetto la morte è per la vostra vita …‘per condurvi ad un bene più grande’. È possibile che subito e anche dopo non comprendiamo, non vediamo, non riconosciamo, o non accogliamo i segni che il Signore offe con abbondanza a conferma di questo, perché siamo confusi, arrabbiati, molto stanchi.

In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande. (Benedetto 16, Angelus, 7-03-2010)

‘Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!’. E disse: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’.

Il Mistero della Passione e della Morte di Gesù, ci ammaestra sulla verità della nostra sofferenza e della nostra morte: dove queste sono presenti, Gesù è presente, perché su quella Croce ha portato tutto. Lo ha inchiodato su quel Legno, lo ha offerto come sacrifico al Padre, che in cambio gli ha ridato Vita. ‘La morte è stata ingoiata per la vittoria. ‘Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!’ (1 Cor 15, 55-57). Di fronte a chi è in croce con Gesù, togliamoci i sandali, perché quello è un luogo sacro. C’è Lui su quella croce, e ci siamo noi con lui, su quello strumento di morte rifiorisce la vita che è la Sua.

“Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”»

La conversione del cuore, non trova appoggio nella nostra comprensione, che annega nell’abisso dei nostri perché: perché tanta sofferenza?. Il Mistero nascosto nelle nostri morti, fisiche e morali, stenta a manifestarsi. A noi, cosa rimane, a quale speranza ci possiamo appoggiare? La nostra sola speranza, è la pazienza del Padre, che prima di tagliare l’albero aspetta ancora perché dia buoni frutti…che pian piano cominciano a vedersi: la sopportazione che non sprofonda nella disperazione ma si trasforma in un vero conforto dato agli amici senza pronunciare parola; uno sguardo nuovo sulla propria vita ferita come ‘feritoia’ da cui passa una luce calda per tutti; una forza inspiegabile, capace di attraversare il terreno fangoso dove ci siamo ritrovati, senza che questo imprigioni il nostro passo: il Signore ci attende sulla riva asciutta, e mentre la sua Luce è una forza che attrae per il cammino, e’ sempre Lui che sta’ tirando la corda verso un altro approdo.
Il Signore ci doni la grazia di convertirci a Lui, per imparare ad attendere con fede, solo ‘un bene più grande’.

Gesù viene interpellato circa alcuni fatti luttuosi: l’uccisione, all’interno del tempio, di alcuni Galilei per ordine di Ponzio Pilato e il crollo di una torre su alcuni passanti (cfr Lc 13,1-5). Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male, e mettendo in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce, afferma: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,2-3).(Benedetto 16, Angelus, 7-03-2010).

L’incipit della Parabola recita così: ‘In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’. Così come era ai tempi di Gesù, anche adesso ritroviamo lo stesso atteggiamento, neppure troppo lontano da noi ma dentro alle nostre relazioni: c’è chi sceglie di ascoltare, e c’è chi ascolta per mormorare, a volte siamo noi altre volte sono gli altri. Quante volte il padre avrà parlato al figlio, ma niente, dopo aver maturato la scelta di allontanarsi… ‘parti per un paese lontano e la’ spererò tutto il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto’. L’atteggiamento dei farisei e degli scribi è diverso da quello del fratello minore che sceglie di partire? O dal fratello maggiore che si lamenta con il padre? No, è lo stesso, e con la medesima conseguenze: l’allontanamento dal Padre. Il cammino a ritroso del figlio minore, è uno specchio fedele del cammino di conversione di ciascuno, perche’ ripercorre gli stessi passi: dal bisogno di Dio, che si manifesta in tanti modi, l’ansia di dovere fare tutto, la rabbia perché nessuno mi ascolta, la paura che si presenta come risposta al mio senso di inadeguatezza a tutto e a tutti; al riconoscimento di non avere vissuto da figlio, la volontà di espropriarmi di questo ‘peso’, mentre sorge da dentro una nuova coscienza di figlio; alla festa del Padre per il mio ritorno, che non mi sarei certo aspettato ne’ meritato, il Padre però pensa in modo nuovo rispetto a me perché ama da Dio. E al fratello minore che si allontanato come me dico: ritorna, non temere, il Padre ti ama e ti aspetta.
Donaci o Padre, di toccare con mano e nel cuore, la potenza della Tua Misericordia.

Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne». I suoi fratelli gli diedero ascolto. (Gen 37,27)

La scelta dei fratelli di non uccidere Giuseppe, così come ci viene raccontato nella prima lettura, è in netto contrasto con la scelta dei contadini del Vangelo. Giuda, a motivo della scelta, dice: ‘perché è nostra fratello e nostra carne’, i contadini al contrario dicono ‘‘Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!’.
Erede? Molto di più di erede, è capo, padrone della vigna, Padre. La paternità di Dio, si fa Carne nel Figlio, e raggiunge con abbondanza ciascuno di noi. Come? Ci fa suoi figli, sua Carne, per la potenza del dono dello Spirito. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. (Rm 8,16-17).
Cosa significa essere eredi di Dio e coeredi Cristo? Significa diventare Uno con Lui, nella morte e nella Risurrezione, Uno con Lui per la Vita. Cosa si frappone fra noi e la Vita? L’invidia dei fratelli e la gelosia dei contadini. Sono invidioso, quando sono scentrato, ho sempre bisogno di qualcosa che mi rimetta in asse: non ho ancora scelto chi è il mio centro, non posso esserlo io, rischierei di rimanere ‘zoppo’ tutta la vita; sono geloso, quando mi dico le bugie, non è vero che sono quello che penso di essere o che gli altri dicono di me: sono ‘solo’ figlio, non ho bisogno di essere altro, solo di lasciarmi amare dal Padre. Il Signore ci doni di amare la nostra condizione e la nostra vocazione di figlio.

C’era un uomo ricco e c’era Lazzaro. Il primo, a differenza del secondo, non ha un nome. Chi ci da’ il nome? Chi ama il nostro futuro. Questo Vangelo genera in noi un doppio sentire: quando parla del ricco siamo come asfisiati, senza fiato, e speriamo che la lettura finisca presto; quando parla di Lazzaro, pur comprendendo la sua condizione di povero, siamo come liberati, respiriamo a pieni polmoni, e paradossalmente desideriamo essere al suo posto anche noi. La vita del ricco, descritta in pochi passaggi, ci si presenta fredda, quella di Lazzaro, al contrario, molto calda. E non per la compassione che proviamo, sopratutto, per il futuro a cui approda. ‘Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere’ (Ger 17,5-6). Ogni volta che ci allontaniamo da Dio Padre, la nostra origine e la nostra vita, ci diamo a ‘lauti banchetti’, presumendo di trovare in questi, una risposta credibile e soddisfacente, a ciò che cerchiamo e che desideriamo: la vita. Il peccato non è una ‘mancanza’, molto di più, è un tradimento, una ferita, un aborto: pensiamo di potere vivere senza quel soffio vitale che ci ha creati, e in Gesù, ci ha ricreati. È una follia, non illudiamoci di poter vivere bene senza Dio, perché alla fine ci rimangono solo ‘i lauti banchetti’. ‘Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti’ (Ger 17, 7-8). Ogni volta che abbracciamo Dio Padre, la nostra origine e la nostra vita, troviamo solo Vita. Lui mi da un nome, mi dice chi sono e perché sono al mondo, mi porta nel suo Futuro. Qual’e’, o meglio, chi e’: Gesù Cristo, il Figlio amato dal Padre, la Vita che si fa Uomo. Desideri vivere ora e per sempre? Accogli Gesù nella tua vita, dagli una camera, trasformerà la tua casa. Il Signore ci doni l’audacia di scegliere Lui per imparare a scegliere per noi e per chi ci sta vicino.

La vita di Gesù, è un libro aperto per la nostra gioia, perché ci insegna a vivere. Ogni volta che ci fermiamo a contemplarla, rimaniamo stupiti, non tanto per la straordinarietà degli eventi compiuti, quanto per l’ordinarietà degli stessi così ricca di significato. Gesù non vive una vita altra rispetto alla nostra, poteva essere auspicabile ai più, visto che era il Figlio di Dio. Al contrario, sceglie di condividere a pieno la stessa vita degli apostoli così come quella di ciascuno di noi, per farci vedere Dio in essa. ‘Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro’. Quante volte, durante i tre anni del suo ministero, Gesù ha vissuto la stessa scena? Lo stesso è per noi, se pensiamo alla normalità della nostra giornata, che il più delle volte si ripresenta simile a quella precedente. Cosa cambia in quella di Gesù? La progressione educativa con la quale cerca di educare il cuore dei suoi discepoli, ad entrare nel mistero della sua Morte in Croce. Dentro alla loro vita annuncia la Vita, anche se ancora non sono in grado di comprenderla…‘Non sono venuto per essere servito ma per servire e dare la mia vita in riscatto per molti’ e continuerà a farlo anche dopo la Risurrezione. Si serve di parole e gesti quotidiani, che nel loro significato, esprimono tutta la Pedagogia del Padre. Come annuncia a loro l’imminente Passione? Prendendoli in disparte, quasi stringendoli a Se’, come in un abbraccio caloroso e fraterno. Il Signore ci doni il Suo sguardo di fede, ci renda capaci di vedere Lui mentre ci serve, nella normalità della nostra vita di tutti i giorni.

Le parole dell’angelo a san Giuseppe, alla pari della Vergine Maria, ci portano dentro una relazione, quella con il Padre, che non ha avuto il suo inizio in questa apparizione, ma molto prima. Lo si percepisce rileggendo con attenzione le medesime parole… ‘Non temere di prendere con te Maria tua sposa. Infatti il bambino che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo’. È come il ‘secondo tempo’ di un dialogo che era già iniziato prima e di cui noi abbiamo ‘ora’ la grazia di partecipare, non come gli spettatori paganti di uno show tra i tanti ma come i figli scelti con nome e cognome che sono presenti alla ‘prima’ dell’opera del Padre. San Giuseppe, come la Sua Sposa, aveva un dialogo aperto con la Provvidenza, tanto da essere definito ‘uomo giusto’. È giusto per la sua forza, per il suo nascondimento, per la sua umiltà: qualità che fanno di un uomo un padre, che sa generare alla vita i propri figli, perche’ rimane in ascolto della Paternità che ha generato anche lui: quella del Padre. E’ giusto per il suo amore allo Spirito Santo, che lo prende per mano, e lo accompagna con Maria sui passi nuovi dell’Incarnazione. È giusto perché ha un cuore buono e puro, che non ha l’esclusiva sulla propria gioia, perché desidera che la assaporino e la gustino anche gli altri che verrano: noi.
San Giuseppe intercedi per noi, insieme a Maria Tua Sposa e nostra Madre, il dono vivo di Gesù.

“Dall’esempio di San Giuseppe viene a tutti noi un forte invito a svolgere con fedeltà, semplicità e modestia il compito che la Provvidenza ci ha assegnato. Penso anzitutto ai padri e alle madri di famiglia, e prego perché sappiano sempre apprezzare la bellezza di una vita semplice e laboriosa, coltivando con premura la relazione coniugale e compiendo con entusiasmo la grande e non facile missione educativa”. (Benedetto 16, Angelus, 19-03-2006)

L’amore ha una misura? No. L’amore è perché è senza misura. Proprio ieri sera, parlando con una coppia prossima al matrimonio, ci stupivamo di questa verità e ci siamo chiesti: ‘Quando posso dire di amare un altro/a? ‘Solo’ quando mi rapisce il cuore? ‘Solo’ quando quello che viviamo insieme è solo bello? ‘Solo’ quando stiamo bene?’. Questo ne fa parte, ed è una bella conferma all’amore che cresce, ma non è ancora la misura che colma e trabocca dal cuore. Posso dire di amare un altro/a, nel momento in cui comincio a vedere il mio futuro insieme, e sono proiettato dentro ad esso senza timore. Mi ha rapito il cuore, senza che anch’io me lo aspettassi, perché non rimanga chiuso in me stesso, e cominci a riconoscere che la mia vita diventa piena, realizzata e credibile, solo se ne faccio un regalo. Da quello che viviamo e condividiamo, ci educa accogliere non soltanto ciò che da pace e tranquillità, anche quello che fa cambiare le aspettative su una scelta, addirittura ferisce il cuore di entrambi per un evento non programmato: perché ci mostra che, non scelgo te per la vita che affronteremo, ma scelgo te perché sei te. Insieme stiamo bene, ma anche no, perché siamo così diversi: solo così impariamo ad abbracciare la nostra vita e la vita dell’altro, e a trovare campo fertile perché l’amore cresca, alimentando i doni di ciascuno e sanando con pazienza anche i difetti. Qual’e’ la misura di Gesù? Dio Padre. Qual’e’ la misura dell’amore? Dio Padre. Qual’e’ la misura del cuore di ogni uomo? Dio Padre. Per questo Gesù non teme di dire: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro è Misericordioso’. Sia Lui la misura di ogni nostro dono.

Omelia 2 Domenica di Quaresima 2019

«Quando Mosè scese dal monte Sinai […] non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore» (Es 34,29). Attraverso la conversazione con Dio, la luce di Dio si irradia su di lui e lo rende a sua volta raggiante. Tuttavia, si tratta, per così dire, di un raggio che lo raggiunge dall’esterno, e ora fa risplendere anche lui. Gesù, invece, risplende dall’interno, non riceve solo luce, ma è Egli stesso Luce da Luce. (Benedetto 16, Gesù di Nazareth, ‘Dal Battesimo alla Trasfigurazione’).

Capita anche a noi, dopo ogni esperienza significativa che riconosciamo importante per la nostra vita, ripetere con trasporto di cuore: ‘Mi sono sentito a casa…sono stato davvero bene…spero che questo momento non passi’. Senza scomodare le esperienze cosiddette straordinarie, avvertiamo un senso di pace, che vorremmo che durasse per sempre, che non finisse mai.
Cosa significa sentirsi a casa? Avere coscienza che siamo al nostro posto, che non ci sono altri luoghi dove vorremmo essere, perché proprio lii noi stiamo bene. ‘Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa’.

Una esperienza comune a ciascuno, che può aiutare a dare un nome a quello che si diceva, è l’incontro con una persona luminosa. Luminosa perché bella, e non solo fisicamente, luminosa perché credibile. Una persona così non parla mai di se’, non si mette al centro per piacere a se’ e per far piacere, se parla di se’ e’ solo per parlare di un altro. Gesù è così, la Madonna è così, i santi sono così. Rimandano sempre ad un Altro, e non ad uno qualsiasi, a Dio che è la loro Vita.

È credibile solo chi da’ vita alla mia vita; chi offre con gratuita’ la sua esperienza travagliata e sanata, perché chi ascolta e chi vede tragga beneficio per la sua esistenza. È credibile chi ama la vita, non come un contenitore da riempire fino all’eccesso, ma come un regalo messo a disposizione per il bene di tanti. È credibile chi sa perdonare, senza giustificare o mistificare il male, ma con la fiducia che chi lo riceve può ripartire con speranza nonostante le proprie miserie e infedeltà.

Gesù si trasfigura di fronte agli apostoli sul Monte Tabor, mentre loro erano ‘oppressi dal sonno’ e dormivano, rischiando di perdersi un incontro che sarà decisivo per la loro scelta futura. Si trasfigura, per dare coraggio a loro che dovranno affrontare la Passione e la Morte del loro Maestro, e per dare coraggio anche a noi, che stiamo affrontando ancora la sua Passione e la sua Morte. Cosa ‘suggerisce’ Gesù perché in loro e in noi cresca e maturi questo coraggio? ‘In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare’ La preghiera. Pregare è il coraggio della fede, e non è riservato solo ‘ai più bravi’, ma è destinato ai più bisognosi. Chi prega vive, perché Gesù vive, e da’ la Vita. Vita per accogliere la vita, per affrontare la morte, la delusione, la freddezza, la disperazione, Vita per risorgere ad una nuova speranza di vita.

Diceva una maestra, raccogliendo la confidenza di un bimbo, rientrato in classe dopo essersi confessato. ‘Era molto felice e mi ha detto: maestra mi sembrava di essere a casa davanti al camino e l’ha ripetuto più volte!’.

Chiediamo a Gesù che faccia breccia nel nostro cuore, e ci convinca che senza di Lui non possiamo vivere, perché Lui è la Vita.

16-03-2019
Come ama Gesù?
Il Card Van Thuan, durante gli esercizi spirituali predicati a san Giovanni Paolo 2 e a tutta la curia romana nell’anno del Giubileo del 2000, ha parlato dell’ arte dell’amare dicendo: ‘Gesù ama senza interesse, senza aspettare nulla in cambio, non ama solo perché e’ amato. ‘Non aspettare di essere amato dall’altro, ma tu fatti avanti e incomincia’ (san Giovanni Crisostomo); ama tutti, senza escludere nessuno, perché tutti sono destinatari di questo amore; ama i nemici, perché se non lo faccio non sono più degno di chiamarmi cristiano, perché solo con questo atteggiamento si può fare la pace sulla terra e nei cuori; dona te stesso, come Gesù, che ha dato la sua vita sulla Croce e continua a darla nell’Eucarestia. Questa è la nostra misura: nel quotidiano, in tanti piccoli gesti, nel porci al servizio degli altri, anche verso coloro che, per qualche motivo, possono apparire ‘inferiori’ a noi. Servire significa diventare Eucarestia per gli altri, condividere le loro gioie e i loro dolori. Imparare a pensare con la loro testa, a sentire con il loro cuore, a vivere in loro…a camminare nei loro mocassini come dice un proverbio indiano’.
‘Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste’. Gesù ‘esagera’ perché il cuore che ci ha donato è esagerato. È fatto a ‘Sua Immagine e Somiglianza’, non si accontenta di meno che non sia Lui, e può trovare pace e pienezza solo in Colui che è la Pace è la Pienezza. Parlando proprio ieri con un giovane dicevamo: ‘Spesso le aspettative che ci creiamo, prima di un evento che reputiamo ‘straordinario’, vengono deluse da ciò che alla fine raccogliamo’. Non può che essere così, perché possiamo arrivare a sognare, ma con i piedi ben radicati per terra. Amare è anche difficile, non è solo bello, perché l’Amore è la Croce. Possiamo amare come il Padre, purché non ci convinciamo di esserne capaci, ma permettiamo a Lui di amare in noi. Il Signore ci doni il Suo Cuore.

La verità è evidente, si impone con dolcezza a colui che è diventato umile, e lo trasforma in un profumo dolce per tutti. Passa da un cuore riconciliato con se’ e con il Padre, da uno sguardo purificato da quella trave che ristagnava nell’occhio, e da uno spirito rinnovato in purezza e santità di vita. Le parole di Gesù, che nella loro fermezza trasudano di delicatezza e di autentico amore verso ciascuno, ci consegnano una nuova giustizia ‘Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio’. La dignità del mio prossimo, da quello che mi sta accanto a quello di cui sento parlare o che vedo in televisione o sui giornali, è di tale valore, che la sua misura è solo Gesù Cristo. Diceva San Giovanni Crisostomo: ‘Cosa dice la tua coscienza quando pronunci queste parole: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome” e ciò che segue? Per Cristo non c’è alcuna differenza: ha versato il suo sangue anche per coloro che hanno versato il suo. Potresti fare qualcosa di simile? Quando rifiuti di perdonare al tuo nemico, arrechi torto a te, non a lui’. Gesù non si limita ad una parola, ad una pacca sulla spalla o ad una battuta che presume di sdrammatizzare e che spesso è più violenta di un pugno sferrato senza controllo, ma offrendo la sua Vita per amore: rida’ forza alla parola, da’ significato ad ogni gesto riservato al nostro prossimo, soprattutto ci educa ad una grande carità che ha un sinonimo spesso dimenticato: la gratuità. Può amare con gratuita’ solo chi è puro, chi ha messo in cantina l’idolatria, e come dice un mio amico sacerdote… ‘chi ha messo a digiuno le parole cattive’. Il Signore Gesù, ci doni un cuore puro e misericordioso come il Suo.

Dio che sapeva che non siamo riconciliati, che vedeva che abbiamo qualcosa contro di Lui, si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione. Ci è venuto incontro fino alla Croce, per riconciliarci. Questa è gratuità: la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione (Benedetto 16, Auguri natalizi alla Curia, 21-12-2009).

Siamo figli di Dio, sua proprietà nell’amore, ricolmi del dono dello Spirito. Perché preghiamo? Per essere confermati ogni giorno, e in ogni momento della nostra giornata, che Dio è nostro Padre. Più cresciamo in questa consapevolezza, più la nostra preghiera diventa vera, perché non è più la nostra ma quella di Gesù al Padre. Lo Spirito ha questa forza: ci unisce alla preghiera del Figlio, e ci permette di rivolgerci al Padre con le stesse parole del Figlio. Perché la preghiera può tutto? Perché siamo più capaci di altri, abbiamo imparato a concentraci meglio e senza distrazioni, siamo diventati più insistenti nel chiedere? No! Solo perché la preghiera di Gesù è la più potente di tutte, perché non si è conclusa ma continua, ‘senza stancarsi’, nell’offerta perenne della sua Vita al Padre per la nostra santificazione. Il Padre, in risposta alla sua preghiera, gli ha ridato Vita. Questa è la nostra speranza, di più, è ciò che alimenta la fede nella preghiera che gli rivolgiamo, e ci conferma sulla sua potenza. Chi ci ferma più a chiedere, a cercare, a bussare? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono’. La cosa buona è la Vita di Gesù, il Padre non vede l’ora di continuare a donarcela, chiediamogliela con fede. Per noi, i nostri cari, i nostri amici, i bimbi, i giovani, gli anziani, chi è malato, solo, disperato, e per tutte le vocazioni.

Padre Van Thuan, racconta della sua esperienza di preghiera, negli anni della sua prigionia: ‘Ci sono stati lunghi momenti nella mia prigionia, in cui ho sofferto di non riuscire a pregare. Ho sperimentato l’abisso della mia debolezza fisica e mentale. Più volte ho gridato a Dio come Gesù sulla croce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ Ma Dio non mi ha abbandonato’… e aggiunge: ‘Quando sono nell’impossibilità di pregare, uso ricorrere alla Madonna dicendo: ‘Madre, tu vedi che sono all’estremo limite, non riesco a recitare nessuna preghiera. Allora dirò soltanto un Ave Maria con tutto il mio affetto’. (F.X.Nguyen Van Thuan, Testimoni della Speranza, 2000).

Il Signore ci educhi a pregare con la Sua fede.

Recitava così una delle invocazioni delle lodi mattutine, come risposta di preghiera a quello che il Signore ha pronunciato nel Vangelo: ‘Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno’.
Certe notizie quotidiane di cronaca, avvallano l’affermazione di Gesù, che vede la malvagità della nostra generazione. Di fronte ad episodi di una violenza disumana, ci viene spontaneo ergerci a giudici spietati, augurando, con la stessa moneta, le medesime cose contestate.
Gesù fa così? No! Il suo giudizio non è di ‘pancia’, perché è mosso dalla fede. ‘Ben più di Giona c’è qui’. Riconosce la nostra malvagità nella presunzione di far dipendere la nostra fede da segni concreti, tangibili, empirici, e ci offre uno sguardo nuovo sulla realtà che viviamo, il vero sguardo della fede. Il ‘ben più’ rispetto a Salomone, considerato dalla Sacra Scrittura il re più saggio, ha questo significato: lascia e permetti che lo Spirito di Gesù venga ad abitare il tuo cuore, perché sia Lui ad istruirti, e tu possa trovare Luce nel buio della notte. Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense tenebre su tutto il paese d’Egitto, per tre giorni. Non si vedevano più l’un l’altro e per tre giorni nessuno si poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti vi era luce là dove abitavano. (Es 10,23). Gesù ha vinto la morte, perché ha accolto il dono della vita dentro alla sua morte, che è anche la nostra e quella di qualsiasi figlio. Al buio di ogni violenza ha portato la Luce del Padre, illuminando la morte, è trasformandola da luogo di disperazione e sorgente di Conversione e di Grazia. Il Signore ci doni un cuore misericordioso, fedele e giusto come il Suo.

Gesù invita i suoi figli, a pregare, e a farlo ‘senza stancarsi’ (Lc 18,1). Nella preghiera del Padre Nostro, raccolgo e accolgo il doppio movimento che orienta e guida, la nostra vita nella fede. Nella prima parte del Padre Nostro, un movimento verticale, che si ‘spinge’ al Padre per ripartire sempre da Lui; nella seconda parte, un movimento orizzontale, che si rivolge al mondo, la nostra missione, per presentarlo al Padre. Da Dio Padre al mondo, dal mondo a Dio Padre, un doppio battito pulsante che ci fa vivere nella Chiesa, e ci apre ad ogni cristiano e ad ogni uomo. La preghiera infatti, ci introduce in un noi che dialoga con il Padre, e da Lui impara ad abbracciare il mondo intero. In che modo? Grazie alla Misericordia di Gesù. Solo se permettiamo che Lui abbia Misericordia di noi, accogliendo e sanando le nostre infermità, diventiamo per Grazia Misericordia per tutta l’umanità. Questo è il nostro nuovo sguardo sulla vita, sull’uomo, sul mondo, frutto della preghiera del Padre, dalla quale siamo ammaestrati: ‘2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? (Gv 14, 2-3). Il Signore ci sono sempre questo cuore e questo sguardo.

Il dialogo che Dio stabilisce con ciascuno di noi, e noi con Lui, nella preghiera include sempre un «con»; non si può pregare Dio in modo individualista. Nella preghiera liturgica, soprattutto l’Eucaristia, e – formati dalla liturgia – in ogni preghiera, non parliamo solo come singole persone, bensì entriamo nel «noi» della Chiesa che prega. E dobbiamo trasformare il nostro «io» entrando in questo ‘noi’. ( Benedetto 16, Udienza Generale, 3-10-2012)

Quando mai? È la domanda quasi incredula e stupita, di chi si accorge della presenza d’altro, senza che questo, fino ad allora, abbia dato mai una prova sicura di se’, o meglio, senza che lo abbia mai riconosciuto.

E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”
Io sono nei miei fratelli più piccoli, Io sono in ciò che è fragile, impotente, debole, Io sono in chi è in croce. Credere in Gesù, significa accogliere una logica ribaltata, che arriva pian piano a formare il cuore e lo sguardo: da noi a Lui, dagli altri a noi, da Lui a noi.
Da dove nasce il desiderio di amare gli altri come se stessi? Dalla coscienza, frutto di esperienza, che noi siamo i primi ad essere visitati, accolti e vestiti da Gesu; è Lui infatti che ci visita, accoglie e ci veste, ci permette di ritrovare Lui presente in noi, ed di accogliere gli altri allo stesso modo. Di più: è Lui che si fa a noi vicino negli altri, in chi ci è vicino e in chi ci è lontano, e non solo per ricevere cura da noi ma per offrici la Sua.
Di cosa abbiamo bisogno per maturare questo cuore e questo sguardo pieno di fede? Dell’Eucarestia, il Luogo per eccellenza dove dare corpo a questo Vangelo, e fare esperienza della Sua Visita…Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. (Mc 10, 14). Dio si fa piccolo, per farci grandi della sua piccollezza, che è anche la nostra.

Omelia 1 Domenica di Quaresima 2019

‘Se tu sei Figlio di Dio’. La tentazione di satana a Gesù, è la stessa che offre a ciascuno di noi, ogni volta che ci invita a metterci al posto di Dio. Proprio come nel giardino, quando le parole suadenti per convincere Eva a disobbedire al comando di Dio sono state: ‘ Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male’ (Gen 3,4-5).

Gesù va nel deserto, sospinto dallo Spirito, per essere tentato dal diavolo. Ad una prima lettura, non ci pare possibile, addirittura senza tanto senso, che Gesù scelga di sottoporsi alle tentazione. Avrebbe già avuto una vita travagliata, che anche Lui conosceva dall’inizio, visto il ministero che avrebbe vissuto nei tre anni successivi. Si sarebbe proposto al mondo come il Figlio di Dio, era cosciente che avrebbe incontrato resistenze e violenze, perché agli occhi dei più sarebbe stato un bestemmiatore. Non passo’ infatti molto tempo, per avere conferma a questa certezza interiore, il che si verificò nell’incontro con il paralitico. ‘Gesu vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?’. (Mc 2, 5-7).
Il momento fissato del ritorno del demonio è la Passione di Gesù, sarà con Lui nella preghiera notturna all’Orto del Getsemani, e non lo abbandonerà neppure mentre soffre terribilmente sulla croce. Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!”. (Mt 27,39-40).

Ma è Gesù che sceglie di farsi tentare? In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo.
No, è lo Spirito che lo sospinge, quello stesso Spirito che era disceso sopra di Lui il giorno del Battesimo nel Giordano, lo stesso che Lo colma della Vita del Padre, proprio come avviene e si realizza per ciascuno. Come per Gesù, anche per noi, se il Padre in alcuni momenti della nostra vita, permette la tentazione, non è perché ha piacere di soffrire e vuole vedere noi soccombere. L’unico motivo che lo muove a questo, è per darci di sperimentare e di credere, che senza di Lui non possiamo fare niente. (Gv 15, 5)

La tentazione, come si è presentata a Gesù, si presenta anche a noi con le stesse parole: salva te stesso. Salva te stesso, dimostra di essere quello che dici di te, e trasforma questa pietra in pane; ho pregato tanto, perché tu trasformassi la mia situazione familiare, cosa ti costa intervenire con un miracolo?; salva te stesso, mostra la mondo la tua potenza, ti si prostreranno davanti e ti adoreranno: perché coloro che non credono, mi osteggiano e mi insultano, credevo che Tu fossi più forte; salva te stesso, chiedi al Tuo Dio ti farsi vedere e di dare prova di Se’, buttati giù…che paura hai?: se non guarisci il mio caro, così come ti chiedo da tanti mesi, non sei più credibile ai miei occhi.

‘Cristo non si è gettato dal pinnacolo del tempio. Non è saltato nell’abisso. Non ha messo alla prova Dio. Ma è sceso nell’abisso della morte, nella notte dell’abbandono, nell’essere in balìa che è proprio degli inermi. Ha osato questo salto come atto dell’amore di Dio verso gli uomini. E perciò sapeva che, saltando, alla fine avrebbe potuto soltanto cadere nelle mani benevole del Padre. (Benedetto 16, Gesù di Nazareth, Dal Battesimo alla Trasfigurazione).

La tentazione più insistente e ripetitiva nella vita di tutti i giorni, quella sotto la quale spesso soccombiamo senza immediatamente farcene cruccio, è la mancanza di fede. Non crediamo ancora abbastanza che Gesù è la nostra vita presente e futura: la comunione con Lui ci rivela la nostra vera identità di uomini e il senso della nostra vita di figli; con Lui possiamo affrontare anche le croci più dolorose, senza che queste esauriscono la nostra speranza, perche è Lui che se le carica e a noi lascia solo una parte; grazie a Lui, la nostra persona diventa luminosa, credibile, forte, per noi e per tanti che incontriamo, perché la nostra vita non dice più noi, ma dice Lui.

Elie Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz, racconta l’agonia interminabile di un adolescente ebreo impiccato tra due adulti che erano già morti molto prima di lui. «Dov’è Dio, dove? Dov’è adesso?» chiede qualcuno al suo fianco. E «Una voce in me risponde: Dov’è? È qui… appeso al patibolo». (Cristian de Cherge, L’Altro, l’Atteso, le omelie del martire di Thiberine).

Gesù chiama perché ama, come ogni innamorato, che ama già anche il futuro dell’amato; Gesù chiama, perché non c’è nessuno che il Padre non veda già nel suo futuro di Pace; Gesù chiama, perché se è vero che l’uomo è mosso da una attrazione di vita verso di Lui, allo stesso modo lo sperimenta Lui nei confronti di ciascuno. La sua unica preoccupazione, è quella di rivelarci il Volto del Padre, e non c’è occasione che non sia buona per farlo. Davanti alla folla che lo aveva cercato ‘si commuove perché erano come pecore senza pastore…e si mise a insegnare loro molte cose’ (Mc 6,34).
Levi era un pubblicano, un peccatore pubblico, estorceva soldi in modo disonesto. Gesù lo chiama a seguirlo… ‘Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì’.
L’evangelista, per descrivere la chiamata, non si perde su altri particolari. Ci mostra l’essenziale, e in poche parole, ci dice solo ciò che conta.
Quando Gesù chiama, la verità che quella parola è la Sua, è inequivocabile. Uno dei frutti più veri, a conferma di questo, è la Pace del cuore. Lo si vede dagli occhi, dal modo di parlare, dalla nuova libertà con cui inizi a guardare e a scegliere la tua vita. Levi infatti lascia tutto quello che fino a quel momento, seppure in modo disonesto, gli garantiva un guadagno per vivere. E ripete come San Paolo: ‘Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore’ (Fil 3,7-8).
La verità della chiamata, si rivela inoltre nella vita nuova che questa produce. In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù’ (Benedetto 16, Udienza generale, 30-08-2006).
Chi sceglie Gesù, ricomincia a vivere, sempre.

Il digiuno si può considerare una terapia dell’anima. Praticato infatti come segno di conversione, facilita l’impegno interiore a mettersi in ascolto di Dio. Digiunare è riaffermare a se stessi quanto Gesù replicò a Satana che lo tentava, al termine dei quaranta giorni di digiuno nel deserto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). (San Giovanni Paolo 2, Angelus, 10-03-1996).

Il vero digiuno è scegliere per Gesù. I santi, sono arrivati fino a privarsi di tutto se stessi, per fare spazio al Signore della Vita. Così recitava la prima lettura di ieri, dal libro del Deuteronomio: ‘Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio‘. (Dt 30,18).
Digiuno per lasciare che sia Lui a prendere casa in me, perché anch’io trovi casa, e possa offrire ospitalità a tutti.
Digiuno per mettere ordine alla mia vita spesso disordinata, e non permettere che in questa giornata, mi guidi il sentimento del momento che oggi c’è e domani è come il vento.
Digiuno per vincere la mia presunta onnipotenza di dovere e potere essere capace di tutto, anche se non capisco dove sto andando, con l’ostinazione di un mulo con gli occhi oscurati che scalcia quando si sente braccato.
Digiuno per essere sobrio, e cercare solo ciò di cui ho veramente bisogno, senza mai eccedere in nessuna ‘golosità’ che il mondo mi proporne come assolutamente necessario.
Digiuno per fare spazio agli altri, trovare tempo per stare in loro compagnia, aver cura di ogni relazione che il Signore mi regala.
Digiuno per educarmi a donare senza aspettarmi niente in cambio, se ho coscienza che Dio Padre mi ama e stravede per me, non ho bisogno di altre conferme alla mia compiacenza personale.
Digiuno per amore e per amare, la sua Parola e il Suo Pane danno vita alla mia vita, perché se mi venissero a mancare non sarei neppure in grado di respirare.

Chi vuol soltanto possedere la propria vita, prenderla solo per se stesso, la perderà. Solo chi si dona riceve la sua vita. Con altre parole: solo colui che ama trova la vita. Senza questo più profondo perdere se stesso non c’è vita. Solo l’amore di Dio, che ha perso se stesso per noi consegnandosi a noi, rende possibile anche a noi di diventare liberi, di lasciar perdere e così trovare veramente la vita. (Benedetto 16, Omelia Santa Messa nel Duomo di Vienna, 9-09- 2007)

Il Signore Gesù è un fine educatore, più lo ascoltiamo con attenzione e più impariamo cosa significa educare. Se rileggiamo senza fretta il Vangelo di stamattina, ci appare chiara la progressione nell’amore, dentro alla quale anche noi siamo introdotti. La stessa progressione che è chiesta a ciascuno, come genitori e come sacerdoti, come educatori e come giovani, come amici e come colleghi.
Gesù è cosciente della sua vocazione, annuncia che dovrà soffrire molto, perché sa’ che tanti non accetteranno il suo proclamarsi ‘Figlio di Dio’. Anzi lo osteggeranno, fino ad usargli violenza, e lo faranno soffrire. Noi siamo coscienti che, scegliere Lui e vivere con Lui, comporta anche sofferenza? Non necessariamente fisica, pur sapendo che il secolo scorso è quello nella storia più fecondato dal sangue dei martiri, ma di freddezza, di derisione, di cattiveria?.
Gesù ci prende sul serio, perché ci ama molto, e non vuole nasconderci la verità. Se vuoi stare dietro a me, prendi la tua croce e seguimi passo per passo, metti i tuoi piedi nella mia impronta. Quali sono le nostre croci? Ci sono croci fisiche, e ce ne sono altre più interiori, che danno il passo al nostro cammino di conversione. Non baipassiamole, se il Signore le permette, è solo per la nostra gioia.
Gesù desidera, o meglio, vuole che ciascuno sia felice. Ci mostra la strada, con chiarezza, senza sconti. Vuoi essere felice, così come il Padre desidera per te, e per ciascuno dei suoi figli? Ama. Ama la vita, ama la gioia e la fatica, ama la pace e l’incomprensione, ama la fedeltà e la sofferenza, accogli tutto per incontrare Lui. Lascia perdere te stesso, non voltarti indietro a cercarti, cerca Lui: ti sta aspettando.  Quando Gesù chiama, la verità che quella parola è la Sua, è inequivocabile. Uno dei frutti più veri, a conferma di questo, è la Pace del cuore. Lo si vede dagli occhi, dal modo di parlare, dalla nuova libertà con cui inizi a guardare e a scegliere la tua vita. Levi infatti lascia tutto quello che fino a quel momento, seppure in modo disonesto, gli garantiva un guadagno per vivere. E ripete come San Paolo: ‘Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore’ (Fil 3,7-8).
La verità della chiamata, si rivela inoltre nella vita nuova che questa produce. In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù’ (Benedetto 16, Udienza generale, 30-08-2006).
Chi sceglie Gesù, ricomincia a vivere, sempre.

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