Comunità in dialogo. Diaconia è dire sì come Maria all’Annunciazione

Diaconia e famiglia è il tema della testimonianza di Lia Adani, moglie di Lorenzo, diacono della diocesi di Reggio Emilia – Guastalla.

Parlare di una famiglia che è nata quasi 60 anni fa non è semplice, anche se si guarda solo l’aspetto del servizio, perché il dono di sé agli altri coinvolge tutta la vita. Il battesimo è l’inizio di tutta la nostra esistenza spirituale, ci fa entrare nella Chiesa che è il popolo di Dio in cammino, illuminato dall’amore di Cristo. Tutti i battezzati sono dunque chiamati al servizio.

Certamente l’ordinazione diaconale di Lorenzo è stata un dono grande, una luce che ha illuminato tutta la nostra famiglia, una grazia davvero inattesa. Questo avvenimento ha cambiato la nostra vita, non nel senso del fare, ma dell’essere. Quando mi chiedono cosa è cambiato, io rispondo: “Niente e tutto!”.

Niente, perché abbiamo continuato la vita del servizio come prima: scuola, catechismo, delegata del bellissimo gruppo “Gioia di Dio” e poi di quello “Madre d’Amore”; Lorenzo ha continuato il suo servizio in chiesa e la sua costante disponibilità a don Pietro in tutti gli spostamenti (esercizi al Casone, campeggi in Valle D’Aosta, pellegrinaggi… e tanto altro). In effetti, come erano soliti ripetere don Margini e don Altana, tutti gli aspiranti Diaconi erano già diaconi di fatto.

Tutto, perché don Pietro nel primo ritiro in preparazione al diaconato, nel 1973, ci indicava con forza la strada di un rinnovato amore allo Spirito Santo, di una nuova docilità, di una preghiera più intima, più raccolta, più prolungata, ci parlava dell’Eucarestia vissuta come un incontro d’amore, un rapporto di dono. “Cristo – ci diceva ancora don Pietro – è stato servo perché si è donato; solo così si diventa servi della Chiesa: nel dono totale di sé al Signore”.

Dopo quei primi anni di preparazione intensa che coinvolgeva anche noi spose, io fui presa dalla paura, paura di non essere all’altezza, di non riuscire ad armonizzare, a capire la comunione dei due sacramenti, la nuova spiritualità da vivere, i doveri da non sovrapporre. Occorreva tanta grazia e tanto impegno per essere due sposi sempre più innamorati e, insieme, più innamorati di Dio. Paura dei miei difetti, di non sapere corrispondere a una chiamata non prevista all’inizio della nostra storia.

Per fortuna don Pietro già da tempo ci aveva proposto, e poi consegnato come piccola comunità, il mistero dell’Annunciazione, dove Maria aveva saputo dire un «sì» ben più grande, senza capire bene: “Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola”. E poi… c’era lui, padre vigile e guida illuminata, che sapeva fugare tutte le paure e ci additava le gioie che potevano derivare da questo nuovo sacramento. La gioia di vivere in comunione con un ministro dell’Eucarestia, la gioia di una luce speciale dallo Spirito Santo per fare meglio i miei doveri di mamma, di sposa, di insegnante, di “delegata” (termine ora un po’ obsoleto, ma che continua a piacermi, perché dice: incaricata dal parroco).

Un solo episodio per spiegare: nel 1977, ero catechista di una delle due classi di bambine di quinta che si preparavano alla Cresima. Dopo il Sacramento, don Pietro Margini mi chiese se ero disponibile a continuare a fare la delegata per gli anni a venire; io, stupita, risposi che non mi ritenevo capace: il gruppo era numerosissimo (62!); io, già molto impegnata coi figli piccoli, la scuola, l’esame di abilitazione. Dopo un po’ di tempo, don Pietro torna sull’ argomento, ma io non avevo cambiato idea. Fu allora che mi propose e offrì un aiuto: mi disse di affidare una ad una le bimbe alla Madonna, di chiedere di aiutarmi nella custodia e crescita di queste anime e di promettere che in occasione del loro diciottesimo compleanno, le avrei portate a Lourdes come ringraziamento! Nel 1984, partendo da Morge con pulmini e macchine ci recammo a Lourdes per festeggiare e ringraziare…

Siamo stati educati fin da ragazzi al servizio. Essere chiamati al servizio come gruppo o come singoli era ritenuto un privilegio, un onore. Riprendendo il pensiero di sant’Ireneo, don Pietro ci insegnava che servire è regnare: la Madonna si dichiarò serva e la Chiesa la onora come Regina.

Dopo lo spartiacque del sacramento del diaconato la nostra vita di sposi è continuata nel servizio di Dio e della Chiesa: è stata una vita bella anche se a volte complicata e in superficie un po’ burrascosa, fin dagli inizi… Agosto 1960: don Pietro viene nominato parroco a Sant’Ilario; dopo 20 anni se ne va da Correggio: nei nostri cuori costernazione, dolore, smarrimento, ma anche la determinazione decisa a continuare sulla sua linea. Dopo tre anni io e Lorenzo ci sposiamo, siamo felici, ma in mio marito cresce il desiderio di trovare una soluzione lavorativa per trasferirsi a Sant’Ilario: voleva seguire don Pietro, condividere con lui la vita, gli ideali, affidargli i figli. Come sempre, nelle scelte importanti Lorenzo arriva molto prima di me; io, infatti, non volevo spostarmi! Correggio era bella, ricca di cultura e di arte, lì c’erano gli amici, il gruppo delle ragazze che seguivo, le famiglie. Io e la Vittoria Ferrari ci convincevamo e sostenevamo sulla posizione del «no!» e per questo ci recammo un giorno a Sant’Ilario per esporre le nostre ragioni a don Pietro, il quale ci spiazzò riconoscendole tutte giuste. Questo ci confuse ancora di più le idee. Dopo tanti «se» e tanti «ma» partimmo. La vita a Sant’Ilario è stata bella, ricca di sorprese e novità. Lorenzo ha continuato ad alzarsi alle 5 per pregare e preparare la messa delle 6.30 celebrata da don Pietro; io facevo l’insegnante prima nella Scuola per maestre d’asilo, poi alle Magistrali.

Con gli “amici di comunità” abbiamo fatto la casa insieme, che ben presto è diventata una succursale dell’oratorio: quante feste, quante cene nel garage e nei nostri appartamenti! Questi servizi ai gruppi hanno molto unito la nostra comunità: fare del bene insieme rafforza l’unità, la corrobora.

Quanti eventi belli e che commozione raccontarli: i giovani che fioriscono nella fede e nell’amicizia, tanti fidanzamenti, tanti matrimoni, tanti battesimi, i primi seminaristi. Ma anche eventi dolorosi che ci hanno unito come una famiglia: il cielo infatti si è aperto troppo presto per la Bernadette, per Fausto Garimberti, per la Lorenza Casini che per me era come una figlia. Mi piace però ricordare, proprio perché legata a un esemplare spirito di servizio, la nascita di mio figlio Samuele, bimbo bellissimo e perfettamente sano, nonostante le previsioni catastrofiche per me e per lui di alcuni medici. Quanta riconoscenza al Signore, alle preghiere di don Margini e quanto aiuto continuo dai nostri figli, dalla nostra comunità, da tante amiche e dal gruppo delle “Gioie”; tutti sono stati straordinari.

Poi, il 1990, con la morte di don Pietro. Un immenso dolore e sgomento che, tuttavia, non arrestò il nostro desiderio di portare avanti i grandi ideali che lui ci aveva insegnato. Don Luca Ferrari era sacerdote, nostro figlio don Pietro entrava in seminario e altri li avrebbero seguiti su questa strada di totale consacrazione al Signore. Quante cose ci sarebbero da aggiungere!

Nel 2001 don Luca divenne parroco di Ospizio e pochi anni dopo anche di San Maurizio; nel 2006 chiese a Lorenzo se voleva diventare custode della parrocchia di San Maurizio e, col consenso del Vescovo, Lorenzo accettò. Io ero molto contenta di questo, ma quando andammo con don Luca a vedere la canonica, rimasi un po’ perplessa: si trattava di una chiesetta piccola, e vicino al cimitero! Tutto era sottosopra, ovunque calcinacci e pietre, perché stavano ristrutturando. La prima impressione non fu entusiasmante! Don Luca allora mi mostrò la “cantoria” in fondo al corridoio, cioè una piccola finestrella della casa che si spalancava direttamente nella volta della chiesa, sull’altare e sul tabernacolo per farmi capire che lì era l’essenziale, tutto il resto veniva dopo.

A Maurizio siamo stati bene! Ho conosciuto persone molto care, sono stata accolta con molto affetto nel gruppo “Il Volto”, un gruppo Caritas con varie attività ma, allo stesso tempo, cura tanto la relazione interna. Collaboro col gruppo “Goccia di Speranza”, che si occupa di bimbi molto speciali: è un’attività molto bella, che arricchisce molto e ancora ringrazio la Rita, la responsabile, che è riuscita a vincere le mie resistenze iniziali…

Ora siamo nella parrocchia di Ospizio e Lorenzo, fra rubinetti e porte rotte, chiavi che non si trovano, è sempre indaffarato; se però chiedete alle mie splendide nipotine dov’è il nonno, loro senza esitazione vi rispondono: “In Chiesa!”, perché questo è il suo servizio principale e più amato. Io faccio la perpetua, collaboro alle pulizie, sto tanto ai fornelli (cosa incredibile, se penso al passato!). Leggo meno, purtroppo, ma vivo con tanta bella gente e sono felice. Mi sento a casa, come a San Maurizio, e in questi ultimi tempi sto diventando amica con tante persone della parrocchia di Sant’Alberto che forma, con le prime, l’Unità Pastorale “San Giovanni Paolo II”. Ormai per me sono un’unica famiglia.

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