COMUNITÀ IN DIALOGO. SECONDO INCONTRO: COMUNIONE
TESTIMONIANZA SULLA VITA DI COMUNIONE DI DON BENEDETTO USAI
Allontanate dunque ogni genere di cattiveria e di frode, ipocrisie, gelosie e ogni maldicenza. Come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza, se davvero avete gustato che buono è il Signore. (1Pt 2,1-6)
“E’ evidente a tutti come don Pietro abbia vissuto il suo sacerdozio tra la vita delle persone, condividendo tutto. In fondo forse è il segreto più prezioso che ci ha svelato, il perno su cui tutto è ruotato. Questo ha permesso il nascere di tutto, di avvicinare tanti al Signore, di sviluppare generosità e disponibilità inattese. Anche le comunità sono tutte nate così con don Pietro, e dopo don Pietro grazie ai sacerdoti che si sono fatti prossimi in quel modo, ed hanno creduto e proposto questa via. Così per le stesse vocazioni sacerdotali. E oggi ci chiediamo perché queste dinamiche faticano a rinnovarsi tra le nostre famiglie e comunità. Per condividere la vita delle persone è necessario tempo ed essere nei luoghi dove le persone vivono. “(dalla testimonianza di Umberto Roversi agli esercizi spirituali dell’Associazione Comunità Sacerdotale Familiaris Consortio 2018)
Dove sono nato? Sono nato qui (Comunità dell’Ascensione – foto)
Se posso permettermi, di offrire una piccola testimonianza, riguardo alla comunione che vivo con i miei amici sacerdoti e con le famiglie a me care, è per questa ‘foto’, cioè è per quello che questa foto raccoglie, un istantanea della vita della mia famiglia, insieme a don Pietro Margini e alla comunità di famiglie che mi ha accolto. (Comunità dell’Ascensione). Mi si ripropone ogni volta come l’inizio, mi ricorda chi sono, cioè l’esperienza di fede ‘da cui ho preso il latte’.
Perché sono così importanti? Quali modalità di vita familiare hanno generato la mia vocazione? Cosa ho respirato?
1) Un grande amore alla Chiesa, facevamo parte di un Corpo, e noi eravamo membra importanti. Era naturale, essere presenti alla Messa con tutta la Comunità, alla Domenica alle 8.30 e durante la settimana, accostarsi frequentemente alla Riconciliazione, partecipare alle varie attività che don Pietro aveva proposto da anni: adunanze, feste, servizi vari…
2) La mia famiglia è stata unica, ma non esclusiva, infatti, la fiducia che le famiglie della comunità nutrivano le une per le altre, permetteva a noi figli, di passare da una casa all’altra, come se fossimo sempre a casa nostra. Attenzione all’ospitalità: ho un ricordo molto nitido, della cura e dell’attenzione con cui, mia madre e le altre mamme della comunità, preparavano la casa, ogni volta che don Pietro Margini ci faceva visita.
3) L’affetto e la stima per la persona del sacerdote, per la sua Vocazione e il suo ministero: senza avere bisogno di parlarmene, è maturata in me, la coscienza intima che non c’è vita più bella che quella spesa per il Signore.
Perché è così importante vivere la comunione con miei amici sacerdoti? Cosa mi ha fatto scegliere questa modalità? Di che cosa non riuscirei a fare a meno per vivere la mia vocazione?
1) È importante per amare la Chiesa, riconoscendomi membra di un Corpo, che ha bisogno del nostro piccolo dono.
2) Ho scelto questa modalità di comunione, perché mi permette di vivere la fede in modo familiare, concreto e quotidiano, senza chiudermi in me stesso. Lo sperimento vero, nelle comunità a cui siamo mandati, la ‘nostra casa’ diventa una sorgente di comunione per tutti. Ci diceva il Vescovo Massimo, durante gli esercizi spirituali, che ha predicato a tutta l’Associazione nel 2014 ‘Nella casa il fratello è Sacramento di Cristo, che mi raggiunge in tanti modi, la presenza del fratello, e’ una strada attraverso cui Cristo mi mobilità a Se’ e mi cambia’.
3) Non riuscirei a farne a meno, per amare molto la mia vocazione, condividendola con amici sacerdoti. Credo sia un modo molto credibile e affascinante, per suscitare la vocazione, nel cuore e nella vita di tanti giovani.
Comunione familiare
Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità.(Rm 12,11-13)
Vivere la comunione con le famiglie del Movimento, è una gioia intima, con loro sono sempre a casa mia. In questi primi 15 anni di ministero, nel luoghi in cui il Signore mi ha mandato, ho sempre cercato le famiglie. Non mi sono dovuto convincere a farlo, mi è parso sempre più evidente, che questo è un bisogno vitale inscritto nella mia vocazione. Ho desiderato incontrarle, con alcune mi sono fermato spesso, perché questa è la portata della nostra vocazione per tutta la Chiesa: la chiamata a vivere il ministero sacerdotale nella forma comunitaria, a servizio della Chiesa compresa come “Famiglia di Dio”.
Riguardo la foto della comunità dell’Ascensione: è questa la familiarità che cerco, questo è il luogo dove le nostre vocazioni si incontrano, questo è il modo per far risplendere la santità nel quotidiano. Vivere la comunione è per me, santificare la vita, una vita quotidiana a misura di uomo, imparando con pazienza e impegno, a mettersi a servizio gli uni degli altri, secondo uno scopo ben preciso ‘amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda’ (Rm 12-10-11).San Gregorio Nazianzeno, parlando della sua amicizia con san Basilio, ci offre una traduzione pratica di questo ultimo versetto. ‘Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo’ (dai discorsi di san Gregorio Nazianzeno). Ed io come la vivo in pratica?
Preghiera e missione:
“Salì poi sul monte, chiamò a se quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni”.(Mc 3,13-15)
Il presente Statuto nasce quale espressione della volontà di alcuni presbiteri di verificare la chiamata a vivere il ministero sacerdotale nella forma comunitaria, a servizio della Chiesa, compresa come “Famiglia di Dio”. In continuità e condivisione con il dono ricevuto attraverso il ministero di mons. Pietro Margini, si pone una speciale attenzione alla famiglia cristiana, come luogo privilegiato per edificare la comunità ecclesiale e come modello di dinamiche comunionali, a immagine della Trinità (Statuto Associazione n1).
Ciò che dovrebbe affascinare della nostra vita comunitaria, è che non c’e niente di ‘straordinario’, tutto infatti è molto familiare. (la preghiera, il pranzo o la cena, il servizio). Ciò che è straordinario, è che la nostra vocazione diventa piena, bella da vivere, e desiderabile da offrire, tanto più viviamo con fedelta=santamente, la nostra responsabilità quotidiana in casa. Sembra banale, ma anche il Signore ha fatto lo stesso, quando ha chiamato i primi discepoli: li ha cercati dentro alla loro vita, li ha scelti mentre erano pescatori, ha dato loro una casa. ‘Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni’ (Mc 3,13-15).
Riguardo la foto della comunità dell’Ascensione: la loro pace, non certo priva di momenti faticosi e dolorosi, ha Dio per Signore.
La Pace che il Signore mi regala stando con Lui, ha bisogno di una Casa, cioè di un luogo dove possa essere custodita, alimentata, provata. Una verifica sicura a questo, è l’interesse per gli altri, per la loro vita, le loro gioie e le loro fatiche, non forzato, non solo per sensibilità, e non imposto per vocazione. Direi spontaneo, perché diventa parte di me, di uno sguardo e un cuore nuovo; frutto di una comunione vitale e continua con Lui, di cui non posso fare a meno, se desidero vivere e far vivere la mia vocazione al dono.
L’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d’essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l’uno all’altro norma e regola per distinguere il bene dal male. (Dai discorsi di san di Gregorio Nazianzeno)
Esempi concreti quotidiani: ho coscienza che il Signore è il cuore pulsante è insostituibile della nostra comunione, se vado a letto tardi e alla mattina non sono alla preghiera, manco nell’affetto fraterno, perché privo me e gli altri, di un incontro vitale, che si ripercuote immediatamente sul nostro modo di stimarci e di stimare gli altri; se preparo il pranzo un tanto al braccio, lo si vede dalla tavola che ho allestito, e chi si siede si può chiedere: ‘Ma sono a casa mia’?, e questo alla breve, ci priva di una familiarità, che alimenta la nostra comunione; se ad ogni disponibilità che mi viene chiesta, al di fuori del mio personale programma quotidiano, mostro insofferenza, obbligo gli altri a dire: ‘Ci penso io che faccio meglio’, perdendo l’occasione di crescere nella fiducia reciproca.
Dall’intervista al giornalino di Albinea, Natale 2017
Cosa significa vivere in comunità con don Gigi e don Giuseppe? Perchè questa scelta?
Vivere in comunità con don Gigi e don Giuseppe, è un dono concreto e quotidiano, per la mia vita e il mio ministero. È per me, la risposta più chiara, al desiderio di vivere, in modo familiare, la mia vocazione sacerdotale al servizio del popolo di Dio. Questa modalità, mi educa a spendere la mia vocazione, proiettato nella ricerca sincera del bene dell’altro; così, vivo la casa e ritrovo il mio posto. Per essere dono a tutti, sperimento la bellezza e la serietà del volere bene ai miei amici sacerdoti, che con me fanno lo stesso. L’annuncio del Vangelo, che desideriamo offrire a tutti, trova nella comunità la sua prima espressione, per cui, quello che portiamo, è forte perché credibile, vero e affascinante, per noi e speriamo per tanti. È una scelta, che ho riconosciuto possibile e bella, nella “Comunità Sacerdotale Familiaris Consortio“, luogo che da’ forma al nostro essere sacerdoti, secondo questa precisa modalità.
Umiltà e Gratitudine:
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. (1Cor 15,9-11)
Vivere la comunione, è per me prima di tutto, un esperienza di grande umiltà. Se sono qua, non è merito mio, è un dono di grazia. Non posso far finta che non sia così, non devo inventare niente di nuovo, ne tanto meno impossessarmi di un dono che mi è stato dato. Posso solo mettermi al servizio di esso, cercando di vivere la fedeltà a ciò che ho ricevuto, perché tanti possano goderne.
Riguardo la foto: umiltà vuol dire obbedienza ad una storia, mi ritrovo in quella comunione, in quei volti, in quei sorrisi, in quella casa. Se penso a Gesù, lo vedo così, questa è la Chiesa che me lo fatto innamorare.
È con lo stesso sguardo, che cerco di accogliere i miei amici sacerdoti, ogni volta che li incontro. Prima di ogni altra cosa, loro sono un dono del Cielo, perchè io incontri Gesù. Lui c’è perché loro ci sono, non posso prescindere da questo sguardo di fede, che motiva e alimenta la mia e la nostra scelta comunitaria. Mi capita spesso di guardarli, di ascoltarli con attenzione (o di registrarli), volentieri di ringraziarli… ‘Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione’ (dai discorsi di san Gregorio Nazianzeno).