La figura femminile è stata al centro del discorso del vescovo Massimo Camisasca pronunciato il 24 novembre 2017, nella Solennità di San Prospero, patrono della città.
La donna e il suo genio
Discorso alla Città nella Solennità del Patrono San Prospero
Carissimi fratelli e sorelle,
quest’anno ricorre il centenario delle apparizioni mariane di Fatima. In occasione di questo evento, ho ritenuto opportuno sottoporre all’attenzione della Diocesi e di tutto il popolo reggiano la figura della Vergine, in particolare nell’atto di Consacrazione della Diocesi al Cuore immacolato di Maria, che ha visto il coinvolgimento di tantissime persone.
Maria è la figura della Chiesa, ma è anche la figura in cui è esaltata la vocazione altissima di ogni donna. Ecco perché, raccogliendo anche i numerosi inviti di papa Francesco[1], quest’anno vorrei parlarvi del genio della donna nella Chiesa e nella società. Certo, mi sono chiesto cosa avrei potuto dirvi io — uomo, sacerdote e vescovo — sulla donna. Ho concluso che in questa mia esposizione parlerò di ciò che Dio ha insegnato e insegna alla mia vita attraverso di voi, donne, illuminato dalla sapienza della Parola di Dio[2].
I – La situazione odierna
Vorrei iniziare questa nostra riflessione da un’analisi sul panorama attuale della condizione femminile. La donna si trova oggi ad affrontare sfide particolarmente rischiose, riconducibili a fattori di diversa natura che si intrecciano tra loro. Tre sono gli ambiti sociali nei quali l’apporto femminile non è sufficientemente valorizzato.
Innanzitutto, il mondo del lavoro. Questo campo non ha avuto e non sembra avere molto rispetto per le donne e la funzione materna[3]. La donna deve confrontarsi con un’impostazione ancora improntata a codici maschili. Nonostante la crisi economica, nonostante la maggiore precarietà lavorativa rispetto agli uomini e la mancanza di una cultura della flessibilità che determina una complessa conciliazione tra i tempi di vita, le donne non sembrano giustamente rinunciare né alla dimensione familiare né a quella lavorativa. La fatica nel tenere insieme tali aspetti è tuttavia evidente. Da qui una contrazione della dimensione procreativa o una rinuncia all’impegno sul fronte lavorativo extradomestico.
Così, l’impegno femminile nel lavoro e nella famiglia può diventare ed è chiamato a diventare un doppio sì. Questo passaggio, complesso e di certo non giunto oggi a completezza, è anche il frutto, non privo di ambivalenze e contraddizioni, della riflessione sollecitata, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, dal movimento femminista, ed approfondita recentemente da alcune teoriche del femminismo più avveduto; tale riflessione interroga tutta la società fino a mettere in questione l’assetto del mercato del lavoro e del welfare.
Insieme alle difficoltà presenti per le donne nel mercato del lavoro retribuito, si deve sottolineare anche il mancato riconoscimento del lavoro domestico e della cura femminile sotto il profilo sociale ed economico.
In secondo luogo, occorre gettare uno sguardo sulla politica. La forza del sistema politico tende a uguagliare uomini e donne in quanto semplici cittadini. Per le istituzioni politiche modernizzanti, il complesso dei diritti-doveri non deve avere distinzioni tra uomo e donna. Il sistema politico, che si è fatto grande alleato delle donne mediante il welfare state, si è rivelato però per certi aspetti una trappola proprio per le donne stesse. Le misure cosiddette di welfare contribuiscono spesso (certo non sempre) a mantenere la donna in una condizione di “assistita”, piuttosto che di protagonista, senza vederne e riconoscerne la cittadinanza societaria.
Un terzo ambito è quello familiare e generativo. In famiglia persiste uno squilibrio rispetto alla divisione dei compiti domestici[4]. All’uomo si deve richiedere uno sforzo maggiore per partecipare alle attività di gestione della famiglia, affinché l’aiuto tra gli sposi diventi davvero reciproco anche nelle faccende più umili e quotidiane. Afferma Papa Francesco nell’Amoris Laetitia: «L’identica dignità tra l’uomo e la donna ci porta a rallegrarci del fatto che si superino vecchie forme di discriminazione, e che in seno alle famiglie si sviluppi uno stile di reciprocità»[5].
Negli ultimi anni si assiste a un incremento del numero di separazioni e divorzi. Si tratta di un fenomeno che vede la corresponsabilità di uomini e donne[6]. Gli effetti pesano sul tenore di vita di entrambi i coniugi e, in particolare, le donne con figli spesso si trovano senza sostegno adeguato nel campo dell’educazione. Occorre comunque ricordare anche la situazione tragica di molti padri separati o divorziati che pagano le conseguenze, non soltanto dal punto di vista economico, di un divorzio subito.
Non possiamo dimenticare, poi, il drammatico fenomeno della violenza domestica[7]. I dati ISTAT hanno messo in luce come la violenza veda spesso come protagonista il partner o l’ex partner[8]. Accanto alla gravità del fenomeno, sono tuttavia emersi anche lievi segnali di miglioramento, forse riconducibili alla maggior consapevolezza acquisita dalle donne, più propense rispetto al passato a parlare della propria vicenda e a denunciarla.
Per quanto riguarda la maternità e la relazione con i figli, bisogna mettere in luce che essa appare oggi particolarmente problematica sotto diversi punti di vista. È noto il fenomeno della denatalità che ha coinvolto il nostro Paese sino a farne uno di quelli con il tasso di natalità più basso al mondo. Nel 2016, il numero medio di figli per donna era di 1,34, ben al di sotto della soglia di sostituzione (pari a 2,1 figli per donna)[9]. Inoltre il tasso di fecondità delle donne italiane è sceso da 1,34 nel 2008 a 1,27 nel 2015[10]. Si tratta di una condizione che, oltre ai motivi economici e materiali ricordati poc’anzi, è una scelta anche di carattere culturale che mette in luce la difficoltà a instaurare una relazione con gli altri. Ammonisce papa Francesco: «Occorre raccogliere la sfida posta dalla intimidazione esercitata nei confronti della generazione della vita umana, quasi fosse una mortificazione della donna e una minaccia per il benessere collettivo. L’alleanza generativa dell’uomo e della donna è un presidio per l’umanesimo planetario degli uomini e delle donne, non un handicap. La nostra storia non sarà rinnovata se rifiutiamo questa verità»[11].
Non si può poi dimenticare il drammatico fenomeno dell’aborto. Esso è espressione in molti casi della solitudine della donna, ma assieme rivela la piega narcisistica del desiderio tipica della nostra società: tutti i figli desiderati devono nascere e solo quelli desiderati devono nascere. L’ingiusta pratica dell’aborto è utilizzata spesso in situazioni in cui prevale un disagio soprattutto nella sfera affettivo-relazionale. Ancora più difficile è comprendere la scelta dell’aborto nel caso in cui la situazione familiare non risulti problematica.
Il ricorso all’aborto dà vita a una sorta di famiglia “interrotta”, in cui il mandato a proseguire la storia familiare perde temporaneamente o definitivamente la sua forza e la relazione di coppia appare estremamente debole o problematica. Occorre ricordare, inoltre, che la diminuzione del ricorso all’aborto è soltanto apparente. È infatti necessario considerare l’utilizzo delle cosiddette “pillole di emergenza” (del giorno dopo, dei 2 o dei 5 giorni dopo) che costituiscono un aborto farmacologico, pur non comportando il ricovero in una struttura ospedaliera. L’aborto è ridotto alla dimensione privata, mentre, come mettono in luce molti psicologi, le sue conseguenze lo rendono sempre più un problema sociale con ricadute non soltanto sulla donna che abortisce, ma su tutto il nucleo familiare[12].
Non posso tacere le numerose morti dovute alle tecniche di fecondazione extracorporea delle quali troppo spesso non si parla, per sottolineare il numero, sebbene inferiore, dei bambini nati. Una delle conseguenze di queste tecniche è il nuovo fenomeno dell’utero in affitto. Questo tipo di schiavitù del corpo della donna mi sembra più violenta di quella subita dalle donne stesse nella cosiddetta società patriarcale. Tanto più che tali violenze sono spesso presentate come espressione di libertà ed emancipazione. L’utero in affitto o maternità surrogata (eufemisticamente denominata “gestazione per altri”) coinvolge un numero non indifferente di donne povere, schiavizzate da un enorme business commerciale che ruota attorno alla “fabbricazione di bambini” – poi strappati alla madre “gestazionale” – nei Fertiliy Center. Tali processi sono “commissionati” sia da individui che da coppie, omosessuali ed eterosessuali. In questo contesto, la donna è fatta letteralmente a pezzi, divisa tra donna donatrice di ovulo e donna che porta avanti la gravidanza di un bambino che non è geneticamente suo. Le acquisizioni scientifiche relative agli scambi madre-bambino durante la gestazione, come ad esempio la percezione della voce della madre e la reazione alle sue emozioni, che danno forma ai primi stadi del legame tra madre e figlio, vengono silenziate e mai tenute in considerazione nel dibattito su questo tema. Si tratta, senza mezzi termini, di una nuova forma di barbarie[13]. Il generare è divenuto un fatto commerciale e freddamente tecnologico. Il tema del dono è equivocamente utilizzato per giustificare le pratiche della tecnologia riproduttiva. Nella fecondazione eterologa si parla infatti di donatore di seme e di donatore di ovulo, mascherando una realtà relazionale che si basa invece su un contratto e del denaro. Diverse voci, anche dal mondo femminista, si sono levate contro l’utero in affitto[14].
Legato a tutto ciò, non posso non citare l’aumento dilagante della pornografia. Questo fenomeno è un pericolo per l’identità femminile perché il corpo è mercificato e violentato. Inoltre la pornografia è fonte di nuove forme di dipendenza per coloro che ne fanno uso.
In una semplificazione che non mi sembra inappropriata, oggi nella società e, in parte, nella Chiesa, si possono individuare principalmente due strade che cercano di rispondere alle difficoltà appena esposte[15].
Una prima posizione reagisce al fatto che alla donna sia stato assegnato un ruolo passivo, subordinato e dipendente, in parte a causa di una lettura ideologica ed erronea della Sacra Scrittura. Questa corrente reclama l’uguaglianza e propone una ribellione contestatrice, la rivendicazione di una pari dignità che la storia ha invece disatteso, la ricerca di un potere femminile per combattere gli abusi dell’uomo. Nella Chiesa, questa posizione richiede che la valorizzazione della donna passi necessariamente per una sua “elevazione” allo stato maschile. Deve pertanto avvenire una clericalizzazione della donna e le deve essere concesso il ministero del diaconato o del presbiterato.
Una seconda tendenza, collegata alla prima, si prefigge di cancellare in radice la differenza tra uomo e donna. La persona deve emanciparsi dai condizionamenti biologici e scegliere, a suo gradimento e a seconda dell’ispirazione del momento, come modellare e costruire se stessa.
Ritengo che i movimenti nati per cercare di portare alla luce la condizione femminile abbiano prodotto frutti di sensibilizzazione notevoli e importanti. Credo tuttavia che la strada da intraprendere non stia nell’esasperazione né di un’uguaglianza senza differenza, né di una differenza senza uguaglianza, ma sia da ricercare in una prospettiva che sappia tenere assieme questi due poli irriducibili.
II – Il dono della donna
Da dove partire, dunque, per comprendere il valore della donna e la sua vocazione peculiare? La specificità del femminile può emergere solo da un discorso che definisca la comune umanità della quale partecipano uomini e donne. Solo così potremo vedere il posto della donna in modo ampio, né subordinato né in competizione con quello dell’uomo.
Per questo, senza la pretesa di esaurire un tema così vasto, desidero iniziare da un’analisi dei primi capitoli della Genesi. «Il racconto biblico della Creazione va riletto sempre di nuovo, per apprezzare tutta l’ampiezza e la profondità del gesto dell’amore di Dio che affida all’alleanza dell’uomo e della donna il creato e la storia»[16]. Questi racconti infatti ci collocano «nel contesto di quel principio biblico, in cui la verità rivelata sull’uomo come immagine e somiglianza di Dio costituisce l’immutabile base di tutta l’antropologia cristiana»[17].
Il principio
Nel primo racconto della creazione, l’uomo è introdotto con queste parole: Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò (Gen 1, 27). Dio creò l’uomo a sua immagine. Il termine uomo qui utilizzato identifica l’uomo genericamente, cioè il genere umano[18]. L’espressione pertanto potrebbe essere tradotta Dio creò l’essere umanoa sua immagine. Poi il racconto aggiunge: maschio e femmina li creò. Sia maschio che femmina sono dunque immagini di Dio. «L’umanità è qui descritta come articolata, fin dalla sua prima origine, nella relazione del maschile e del femminile. È questa umanità sessuata che è dichiarata esplicitamente immagine di Dio»[19]. Innanzitutto, quindi, c’è una sostanziale uguaglianza di tutti gli esseri umani e anche una loro differenziazione, maschio e femmina. Davanti a Dio dunque c’è un’unica appartenenza al genere umano che definisce l’uguale dignità e valore di ogni uomo.
Nel secondo capitolo della Genesi, abbiamo un altro racconto della creazione dell’uomo e della donna (cfr. Gen 2,4-25). Dio crea l’uomo e poi lo colloca nel giardino dell’Eden perché lo coltivi e lo custodisca (cfr. Gen 2,15). Eppure il Signore vede che Adamo è solo: Non è bene che l’uomo sia solo — dice il Signore — gli voglio fare un aiuto che gli sia simile (Gen 2,18). Cos’è la solitudine di Adamo? Giovanni Paolo II chiama questo sentimento solitudine originaria[20]. Essa sta a indicare il fatto che Adamo non trova niente nella creazione che lo soddisfi totalmente. Nel suo essere a immagine di Dio è inscritta una vocazione di infinita dignità che aspira a un legame particolare con il Signore[21]. La sua solitudine è la percezione che solo lui, tra tutti gli altri esseri, è chiamato a trascendere l’universo creato e a stringere un’alleanza di amore con il Creatore. Dio fa scorrere davanti all’uomo tutte le creature, per vedere se possono rispondere alla sua solitudine. Tuttavia l’uomo non trova un aiuto che gli sia simile, non trova un aiuto alla sete di compagnia inscritta nella sua natura, creata a immagine del Dio Trinità (cfr. Gen 2,20).
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò… Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” (Gen 2, 21-23). Eva esce da Adamo, ma lui dorme. È Dio che crea la donna. La solitudine dell’uomo non può trovare una risposta adeguata in qualcosa che egli crea a partire da sé. Solo Colui che li crea maschio e femmina (cfr. Gen 1,27) può colmare la solitudine originaria. La donna pertanto è realmente un aiuto adeguato perché è la creatura più alta di tutto quanto già esista. È dotata della stessa libertà di Adamo, della sua stessa volontà, della sua stessa intelligenza. Per questo egli è pieno di stupore al vederla[22]. Eva soddisfa la solitudine originaria di Adamo perché, come lui, la avverte e i due possono finalmente formare quella unità che realizza pienamente la somiglianza a Dio. Dio è infatti comunione di Padre, Figlio e Spirito Santo. Così il Signore benedice l’alleanza dell’uomo e della donna: Siate fecondi… dominate su ogni essere vivente (Gen 1,28).
Da quanto detto, capiamo che vi è nell’uomo e nella donna qualcosa di molto essenziale, che li costituisce identici l’uno all’altro, e, al contempo, qualcosa che li differenzia. Ciò che li differenzia è ciò che li rende attraenti a vicenda. Il testo biblico infatti continua: Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne (Gen 2, 24).
L’umanità dunque esiste al maschile e al femminile. Ognuna delle due forme ha la sua specificità. C’è, innanzitutto, una differenza fisiologica nella configurazione dei corpi. Ma c’è anche una differenza psicologica, nella percezione della realtà e del proprio compito in essa. Scrive Edith Stein: «Non soltanto il corpo ha una struttura diversa, non soltanto sono diverse le singole funzioni fisiologiche, ma tutta la vita fisica è diversa, è diverso il rapporto tra anima e corpo, e nell’ambito dell’anima è diverso il rapporto tra spirito e sensibilità; come pure il rapporto reciproco delle forze spirituali»[23]. Questa loro differenza, come ho detto, ci parla non solo del bisogno che l’uomo e la donna hanno di realizzarsi l’uno nell’altro — che trova nella famiglia la forma codificata e voluta dallo stesso Creatore —, ma rivela anche un’apertura dell’uomo e della donna a un compimento ulteriore che si può realizzare solo nell’abbraccio stesso di Dio. «Tale differenza è cruciale, poiché li rende consci del fatto che hanno bisogno l’uno dell’altra e ricorda che non hanno in loro stessi ciò che serve per essere felici»[24].
Pertanto abbiamo visto che nel rapporto tra uomo e donna esistono due caratteristiche imprescindibili: l’uguaglianza e la differenza. Qualunque atteggiamento che tenti di assolutizzare uno solo di questi due poli non può essere un approccio adeguato a una tematica tanto affascinante e delicata.
Così l’ideale verso cui tendere non è l’antica figura dell’androgino — che rivive in molte rappresentazioni storiche e ha oggi una nuova versione nella fluidità di genere —, quanto piuttosto che ognuno porti a compimento la sua specificità. La strada per un recupero della ricchezza del maschile e del femminile non è l’autosufficienza o l’antagonismo, ma l’apertura e la ricerca della relazione con l’altro, a me simile e differente[25]. L’altro è per me quella ricchezza inaccessibile che posso accogliere. È pertanto conveniente desiderare la sua realizzazione, la sua pienezza, il maturare di tutte quelle potenzialità che io non possiedo ma che mi possono essere da lui donate[26].
Se dunque la differenza tra uomo e donna è la condizione per uno scambio di doni reciproco e per camminare verso la pienezza dell’umanità, perché sotto i nostri occhi vediamo invece una complessità nelle relazioni umane? Stiamo forse descrivendo un panorama illusorio e utopico?
La cornice antropologica finora introdotta non sarebbe completa se non facesse cenno alla comparsa del primo peccato (cfr. Gen 3,6-7). Disobbedendo, Adamo ed Eva rifiutano l’amicizia intima che Dio ha proposto loro. Il peccato deteriora e sfigura il rapporto con il Creatore che è la sorgente della gratuità, della bellezza, dell’armonia.
Alla donna disse: Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà (Gen 3,16b). Dopo il peccato, il rapporto tra l’uomo e la donna non è più caratterizzato dal dono sincero dell’uno per l’altra, ma dalla sopraffazione, dalla rivalità, dalla minaccia, dalla rivendicazione, dal dominio[27]. Tale perdita di uguaglianza risulta più grave per la donna. L’unità pertanto non è più occasione per lo scambio delle ricchezze reciproche, ma diventa fonte di sopruso e sopraffazione. Così l’amore tra i due si snatura da dono a ricerca egoistica di sé, a possesso da consumare o a minaccia da temere come ostacolo alla propria realizzazione personale[28]. Anche la fecondità, che era il primo invito della benedizione di Dio: Siate fecondi e moltiplicatevi (Gen 1,28), è oscurata dal peso del dolore: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli (Gen 3,16a). Questo disordine non si limita al rapporto tra i due, ma si estende a tutta la creazione[29].
Il genio della donna
Dopo avere dato uno sguardo alla ricchezza che Dio ha desiderato per l’uomo e la donna, è possibile approfondire quale sia il dono specifico della donna. Per indicare l’apporto che ha dato e può continuare a dare al mondo, Giovanni Paolo II ha coniato l’espressione genio della donna[30]. Il genio femminile allude all’«insostituibile apporto, non sempre riconosciuto ma anzi spesso contrastato nel corso dei secoli, dato dalle donne in molti campi della vita umana, dalla vita nascente di cui viene riconosciuta la sua “parte speciale e impegnativa” fino all’impegno pubblico, politico, culturale, artistico»[31].
La prima benedizione che Dio elargisce sull’uomo e la donna è: Siate fecondi e moltiplicatevi… dominate su ogni essere vivente (Gen 1,28). Queste espressioni indicano un compito generativo che si sviluppa in due direzioni: familiare – siate fecondi – e sociale – dominate su ogni essere vivente. La fecondità e la generatività, dunque, nelle quali la donna ha una parte centrale, non riguardano esclusivamente l’ambito familiare, ma investono tutto il campo sociale. Alla donna è affidato il portare a compimento responsabilmente il mondo e la storia. La generatività pertanto non è solo una dimensione legata al matrimonio e alla procreazione[32], ma si estende a tutta la società come contributo insostituibile alla crescita delle relazioni e dell’umanizzazione del mondo e del lavoro.
Anche fisicamente la donna è strutturata secondo la modalità dell’accoglienza e del dono. Mentre l’uomo deposita un seme e se ne va, la donna sa cogliere in ciò che è ancora impercettibile il tesoro di una vita che si svilupperà. Ciò che accade in lei lascia una traccia. Ella ha una tenerezza naturale in grado di valorizzare anche ciò che è piccolo. Sa fare spazio in se stessa a ciò che è invisibile. È capace pertanto di prendersi cura di ciò che è indifeso e debole con gratuità. Dialoga silenziosamente per nove mesi con una presenza nascosta in lei, affinando una conoscenza intuitiva e penetrante della vita, in grado di presagire da pochi segni la crescita e le sensazioni dell’essere umano[33]. Sa amare di un amore totale, consapevole che il dono di sé all’altro richiede la pazienza, il sacrificio della gestazione e il dolore del parto, il lasciarlo andare perché si realizzi liberamente.
Il mondo ha trovato e potrà trovare immenso giovamento da una valorizzazione sempre maggiore dell’intelligenza, della sensibilità e dell’estro femminile in ogni ambito, dalla politica all’economia e alla società. In particolare, ritengo che la peculiarità femminile sia proprio la valorizzazione delle relazioni, la capacità di prendersene cura, di fare crescere e maturare il genere umano in tutte le sue dimensioni[34]. Questa vocazione non si deve contrapporre alla realizzazione di sé. Ogni essere umano, infatti, non trova compimento in sé, ma solo nel dono di se stesso all’altro. In questo la donna è modello esemplare. Essa è chiamata a generare l’umanità vera, a custodirla, a educarla e ad accompagnarla fino al compimento. La qualità fondamentale del genio femminile è il prendersi cura in tutte le sue espressioni: della vita, dei poveri, della verità, della preghiera, della contemplazione, dell’amore, dell’educazione, della famiglia, della pace, degli anziani, dei giovani. A questo proposito, Edith Stein ha scritto che «al centro dell’anima femminile sta l’affettività»[35].
Prendersi cura non significa subordinazione, ma reale protagonismo, insostituibile apporto allo sviluppo e al progresso della cultura e del mondo. La generatività infatti trova la sua prima espressione nella maternità biologica, ma in realtà si dilata e abbraccia tutto l’agire femminile. Nello spendersi nei rapporti umani, soprattutto a favore dei più deboli e indifesi, le donne realizzano «una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società»[36]. La Chiesa, sin dalle sue origini, ha proposto la verginità come strada valorizzatrice della donna, perché non limita la pienezza della maternità alla sola espressione biologica[37].
Nel suo libro Il disagio della modernità[38], Charles Taylor afferma che l’epoca attuale è segnata innanzitutto dall’individualismo. Esso è l’opposizione a ogni forma di relazione, in particolare della relazione con il fine ultimo della vita. L’individualismo è pertanto il frutto e la causa della perdita di senso, del restringimento di orizzonti. L’individualismo e il pensiero tecnico rischiano di fare scomparire la sensibilità per ciò che è umano[39].
La donna ha dunque un rilevante compito profetico. Richiamerà l’importanza della relazionalità, sia familiare che sociale[40]. «Contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la civiltà dell’amore»[41]. Concepire il lavoro come legame sociale ci aiuta a uscire da un’idea di lavoro legata prevalentemente al profitto privato e non al bene comune[42]. I nostri giorni, dunque, attendono la manifestazione del genio della donna che assicuri la sensibilità per l’essere umano in ogni circostanza[43].
III – Maria e la vocazione battesimale
Nella Mulieris Dignitatem, Giovanni Paolo II afferma che Maria è la donna così come fu voluta nella creazione, nell’eterno pensiero di Dio[44]. Questa è la ragione per cui nella mia riflessione sulla donna, ora vorrei parlare della Vergine, perché «la Chiesa vede in Maria la massima espressione del genio femminile»[45].
Maria è colei che subito dopo il peccato era stata annunciata come la nemica del serpente: Io porrò inimicizia tra te e la donna (Gen 3,15). Nel ventre di Maria, Dio prende carne. Al rifiuto di Eva, risponde il “sì” di Maria. Dal suo seno, come da una nuova terra vergine, viene tratto il secondo Adamo, Gesù Cristo[46]. In lui è decretata irrevocabilmente quell’unità tra Dio e l’uomo che Adamo aveva scisso. In lui tutta la creazione è riportata allo splendore dell’Eden.
Per sancire nuovamente l’alleanza con l’uomo, dunque, Dio si è affidato a Maria, cioè a una donna. Questa scelta ricolloca la donna a una dignità superiore a quella della prima creazione. Infatti, se nell’economia della prima alleanza la donna deriva dall’uomo, nell’economia della Redenzione è in un certo senso l’uomo, perfino quell’uomo che è Dio e che dell’uomo è Creatore, a derivare dalla donna. In Maria, avvengono le nozze definitive fra Dio e l’umanità[47]. San Bernardo, il cantore delle lodi della Vergine, la definisce «il centro della terra»[48], indicando il femminile come originario rispetto all’umano.
All’inizio della storia dell’uomo, dunque, è annunziata una donna che avrebbe schiacciato la testa al serpente (cfr. Gen 3,15). Questa figura attraversa tutta la Scrittura per comparire, come un’inclusione, nell’ultimo libro, l’Apocalisse (cfr. Ap 12,1-4). Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi… Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato (Ap 12, 1-4).
Questa donna è Maria, è la Chiesa, è ogni donna. Il suo parto prolungato significa che ella sta per partorire, continuamente, suo Figlio. Maria continuamente è madre e continuamente è insidiata dal demonio, che non vuole la nascita del Figlio di Dio nel cuore degli uomini. Adesso sappiamo che questa storia ha un esito positivo, anche se non interamente realizzato. Nella sua morte e resurrezione, Cristo ha vinto definitivamente questa guerra. Attraverso il “sì” di Maria, il Figlio ha deciso il dramma della storia. La donna è diventata per sempre, per gli uomini, il segno della speranza.
La figura di Maria è dunque ordinata alla sua continua maternità, alla nascita continua di Cristo nel mondo. Non è stata madre soltanto in senso biologico, ma continua a essere madre, continua a custodire e a far maturare. Certo, la Chiesa nasce nei cuori degli uomini attraverso il dono che Gesù fa di se stesso nei sacramenti, ma Maria rimane la forma della fede per ogni credente. Maria ancora oggi è «via alla nascita di Cristo e forma di Cristo nell’uomo»[49].
In tal modo, Maria e la sua mediazione gettano una luce profonda sulla figura della donna in generale e, in particolare, nella Chiesa. La donna è colei che sa accogliere e far maturare. Di più, su immagine di Maria, la donna è chiamata a svolgere quel delicato, umile e decisivo compito di fare crescere Cristo nel cuore degli uomini. Questo è il vertice della cura verso l’uomo. Il genio della donna, dunque, è aiutare, sostenere e custodire l’avanzare del regno di Cristo negli uomini, il suo eterno farsi carne, affinché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28). Ecco la dimensione sacerdotale inscritta nella vocazione femminile.
Un’unica vocazione battesimale
Infine, dopo avere concentrato la nostra riflessione sulla peculiarità femminile e sulla possibilità di cooperazione tra uomo e donna, vorrei che ponessimo l’attenzione sulla radice sacramentale che unisce tutti i fedeli in un unico corpo e, quindi, in un’unica missione.
Cristo, nella sua passione, morte e resurrezione, ha ricostituito la creazione. Egli, nuovo Adamo, ha riaperto all’umanità il giardino dell’Eden e ci ha riuniti con Dio. Il Battesimo è il sacramento che ci inserisce in questa opera redentrice di Cristo. Attraverso di esso siamo resi partecipi della salvezza e della missione del Figlio. Il Battesimo accomuna tutti gli uomini e le donne cristiane e li impegna in una partecipazione alla vita della Chiesa in modo pieno. Pertanto, prima di ogni nostro tentativo di valorizzazione, la nobiltà di ogni vocazione e la sua specifica unicità è stabilita da Cristo stesso nel lavacro battesimale.
Scrive Giovanni Paolo II: «Se Cristo — con libera e sovrana scelta, ben testimoniata nel Vangelo e nella costante tradizione ecclesiale — ha affidato soltanto agli uomini il compito di essere icona del suo volto di pastore e di sposo della Chiesa attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale, ciò nulla toglie al ruolo delle donne, come del resto a quello degli altri membri della Chiesa non investiti del sacro ministero, essendo peraltro tutti ugualmente dotati della dignità propria del sacerdozio comune radicato nel Battesimo. Tali distinzioni di ruolo, infatti, non vanno interpretate alla luce dei canoni di funzionalità propri delle società umane, ma con i criteri specifici dell’economia sacramentale, ossia di quella economia di segni liberamente scelti da Dio per rendersi presente in mezzo agli uomini»[50].
Concludendo, desidero ribadire la necessità di una prospettiva che mantenga unite l’uguaglianza e la differenza della vocazione maschile e femminile. All’interno di questa considerazione, ritengo che il genio femminile debba essere maggiormente valorizzato.
Voglio esprimere a nome di tutta la nostra Chiesa un ringraziamento alle donne. Quando visito la nostra Diocesi e le nostre chiese, mi è evidente un fatto: senza di voi non ci saremmo! Non solo per tutti i nobili motivi che ho cercato di esporre fino a qui, ma perché la vostra fedeltà consente alla nostra comunità di continuare a vivere. Penso alla vostra presenza discreta e immancabile alle celebrazioni quotidiane. Penso alla cura e bellezza di certe chiese e di certi altari. Sempre scopro che dietro a tanta attenzione c’è la mano sapiente e vigile di una donna. Quante volte questo servizio è svolto con umiltà e abnegazione quotidiana[51]! Penso al vostro impegno nella catechesi. Quanto è fondamentale per i bambini e per i ragazzi trovare la vostra maternità, la vostra dolcezza, la profondità e l’intelligenza della vostra fede negli oratori e nelle parrocchie! Penso all’attenzione ai malati e ai più deboli, negli ospedali e nelle missioni, nelle case che nessuno visita più. Quanto calore, ascolto e comprensione portate alle persone in difficoltà! Penso al vostro impegno nei ministeri parrocchiali. Quanta riconoscenza per il vostro servizio che fa’ sì che il popolo di Dio possa continuare a ricevere una liturgia degna! Penso alle infinite competenze che mettete a disposizione anche per la gestione e l’amministrazione dei beni e dei servizi parrocchiali. Penso alla cura e all’affetto che dimostrate verso i nostri preti, oltre ogni ritorno e riconoscenza. Il cuore di un vescovo non potrà mai esprimere adeguatamente il ringraziamento per la tenerezza che usate verso i suoi figli sacerdoti.
Faccio mio l’invito di papa Francesco[52] e auspico una sempre maggiore fioritura di una teologia della donna e sulla donna. Moltissime donne, soprattutto grandi mistiche, hanno già dato un apporto teologico alla riflessione sulla Chiesa, su Dio e sull’essere umano. Molto ancora può e deve essere fatto. Inoltre mi auguro un coinvolgimento sempre crescente delle donne negli organi decisionali. Molte figure femminili, in tutta la storia della Chiesa, hanno mostrato grandi doti di governo, oltre che la necessaria franchezza nel richiamare le gerarchie ecclesiali alla fedeltà al Vangelo.
La Madonna della Ghiara benedica e illumini il cammino verso una nuova consapevolezza del carisma della donna per la Chiesa e il mondo.
+ Massimo Camisasca, Vescovo
Reggio Emilia – Basilica di San Prospero
24 novembre 2017
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[1] Cfr. Papa Francesco, Incontro con l’episcopato brasiliano, Rio de Janeiro, 27 luglio 2013: «Le donne hanno un ruolo fondamentale nel trasmettere la fede e costituiscono una forza quotidiana in una società che la porti avanti e la rinnovi. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità»; Intervista a Papa Francesco di Antonio Spadaro, Santa Marta, 19 agosto 2013: «La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».
[2] Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29 giugno 1995, 4: «Occorre proseguire in questo cammino! Sono convinto però che il segreto per percorrere speditamente la strada del pieno rispetto dell’identità femminile non passa solo per la denuncia, pur necessaria, delle discriminazioni e delle ingiustizie, ma anche e soprattutto per un fattivo quanto illuminato progetto di promozione, che riguardi tutti gli ambiti della vita femminile, a partire da una rinnovata e universale presa di coscienza della dignità della donna. Al riconoscimento di quest’ultima, nonostante i molteplici condizionamenti storici, ci porta la ragione stessa, che coglie la legge di Dio inscritta nel cuore di ogni uomo. Ma è soprattutto la Parola di Dio che ci consente di individuare con chiarezza il radicale fondamento antropologico della dignità della donna, additandocelo nel disegno di Dio sull’umanità».
[3] L’analisi dei profili delle donne italiane mette in luce come, lungo l’arco dell’esistenza, la dimensione familiare e lavorativa assuma un peso e un’importanza differente. Le donne nella fascia di età dai 18 ai 24 anni, ancora nella famiglia di origine, si misurano con le difficoltà di ingresso e permanenza nel mercato del lavoro. Le donne nelle altre fasce d’età (25-44; 45-64 anni), anche quelle che si sono formate una famiglia propria, si confrontano duramente con un mondo del lavoro contraddistinto ancora da un codice simbolico prevalentemente maschile che inibisce l’espressione della specificità del genio relazionale della donna e la realizzazione della sua “vocazione” materna. A riguardo, Comitato per il Progetto culturale delle Conferenza Episcopale Italiana, Donne e lavoro: la sfida del “doppio si”, in Per il lavoro, Rapporto-proposta per la situazione italiana, pp. 90-107, Editori Laterza, Bari, 2013.
[4] Cfr. Ivi.
[5] Papa Francesco, Amoris Laetitia, 54.
[6] ISTAT, Matrimoni, separazioni e divorzi, anno di riferimento 2015, pubblicazione 14 novembre 2016.
[7] Cfr. Papa Francesco, Amoris Laetitia, 54: «La vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne, i maltrattamenti familiari e varie forme di schiavitù che non costituiscono una dimostrazione di forza mascolina bensì un codardo degrado. La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale».
[8] Cfr. ISTAT, La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia, Comunicato stampa del 5 giugno 2015; La violenza sulle donne: i dati e gli strumenti per la conoscenza statistica, Convegno scientifico del 28 marzo 2017; La violenza sulle donne, (periodo di riferimento anno 2014) pubblicato il 23 dicembre 2016.
[9] Cfr. ISTAT, Annuario Statistico Italiano 2017.
[10] Cfr. ISTAT, Natalità e fecondità della popolazione residente 2015.
[11] Papa Francesco, Discorso ai membri dell’Accademia per la vita, 5 ottobre 2017.
[12] Cfr. P. K. Coleman, Abortion and mental health:quantitive synthesis and analysis of research published 1995-2009, «The British Journal of Psychiatry», 199 (2011), pp. 180-186; C. V. Bellieni-G. Buonocore, Abortion and subsequent mental health. Review of the literature, «Psychiatry and clinical neuroscience», 2013, luglio 67 (5), pp. 301-310; A. Vanni, Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.
[13] Cfr. Papa Francesco, Amoris Laetitia, 54.
[14] Cfr. L. Muraro, Contro l’utero in affitto, La Scuola, Brescia, 2016.c
[15] Cfr. J. Ratzinger – A. Amato, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 31 maggio 2004.
[16] Papa Francesco, Discorso ai membri dell’Accademia per la vita, 5 ottobre 2017.
[17] Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 6. I testi che personalmente mi hanno più colpito sono A. Scola, Il Mistero Nuziale (con le sue varie versioni divulgative); Piersandro Vanzan, Donna: genio e missione in Vita e Pensiero 1989; un volume che raccoglie gli atti di un Convegno sulla Mulieris Dignitatem. Vanzan parla di arditezze esegetiche del Papa e del suo linguaggio, ricco di analogie e metafore che dicono, e ancor più alludono, lasciando cogliere in trasparenza un senso ulteriore che è particolarmente pertinente per descrivere il “mistero del femminile”. Tutta la creazione è avvolta nel Mistero, ma la donna, in quanto tiene dentro di sé a lungo il figlio non visibile agli occhi, è ancora più misteriosa.
[18] In tante lingue esiste un termine che esprime l’uomo inteso come creatura e una parola differente per descrivere l’essere umano maschio e femmina. In greco abbiamo anèr e ànthropos, in latino abbiamo homo e vir. In italiano non abbiamo questa ricchezza lessicale.
[19] J. Ratzinger – A. Amato, op. cit., 5.
[20] Cfr. ad esempio Giovanni Paolo II, Udienza generale, 7 novembre 1979, 1; Udienza generale, 12 marzo 1980, 1.
[21] Cfr. C. Caffarra, Schizzo di un’antropologia al femminile: per una società a misura della persona umana, intervento del 6 dicembre 2015.
[22] Cfr. C. Anderson – J. Granados, Chiamati all’amore, Piemme, Milano 2010, p. 58.
[23] E. Stein, Formazione e vocazione della donna, Corsia dei Servi, Milano 1957, p. 65.
[24] C. Anderson – J. Granados, op. cit., p. 65.
[25] Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 7.
[26] Cfr. A. Scola, Uomo-donna. Il “caso serio” dell’amore, Marietti 1820, Genova 2016 XII ristampa, pp. 16-17.
[27] Cfr. Giovanni Paolo II Catechesi sull’amore umano, II Ciclo La redenzione del cuore: La triplice concupiscenza limita il significato sponsale del corpo, Udienza generale, 25 giugno 1980; La concupiscenza del corpo deforma i rapporti uomo-donna, Udienza generale, 23 luglio 1980; Nella volontà del dono reciproco la comunione delle persone, Udienza generale, 30 luglio 1980.
[28] Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 10.
[29]Ivi.
[30] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 9.
[31] E. Scabini, La famiglia, il ruolo della donna, in Giovanni Paolo II – L’uomo, il Papa, il Santo, Utet Grandi Opere – FMR, Torino 2014. Cfr. E. Rosanna, La donna nella Chiesa e nel mondo, La Scuola, Brescia 2016, pp. 62-63.
[32] Cfr. Giovanni Paolo II, Udienza generale, 13 gennaio 1982. «Il matrimonio e la procreazione non determinano definitivamente il significato originario e fondamentale dell’essere corpo né dell’essere, in quanto corpo, maschio e femmina».
[33] Cfr. R. Spreafico, Il ruolo della donna nella famiglia cistercense, http://digilander.libero.it/undicesimaora/MONASTICA/Spreafico.html. «La straordinaria vitalità dell’albero cistercense probabilmente deve molto al “genio femminile”, che io intravedo nella capacità innata della donna di “intuire” la vita nella sua verità, e pertanto di vivere una unità tra dottrina e vita. L’intuito della vita è iscritto nel suo cuore e nel suo corpo, ne plasma l’intelligenza, l’amore e la volontà, la rende capace di accoglierla e trasmetterla facendosene responsabile. Le monache cistercensi sono forse quelle che più profondamente hanno colto la visione autenticamente cristiana e umana insita nella dottrina dei nostri primi padri, particolarmente sviluppata e ordinata da San Bernardo».
[34] Cfr. A. Scisci – M. Vinci, Differenze di genere, famiglia e lavoro, Carocci Editore, Roma, 2001.
[35] E. Stein, La donna, Città Nuova, Roma 1995, ed. or. 1959, p. 51.
[36] Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 9. Da segnalare, a proposito, che la Chiesa, a partire da santa Caterina da Siena e da santa Teresa d’Avila (era l’anno 1970), ha dato il titolo di dottore della Chiesa ad alcune figure femminili, riconoscendone quindi l’apporto culturale. La società moderna tende a valutare le donne più per il loro aspetto fisico che per l’opera della loro intelligenza, la ricchezza della loro sensibilità e in definitiva la dignità del loro essere. La mercificazione del corpo della donna ha avuto un incremento esponenziale negli ultimi decenni. Cfr. C. Gilligan, In a Different Voice. Psychological Theory and Women’s Development, Harvard University Press, Cambridge 1982.
[37] Cfr. J. Ratzinger – A. Amato, op. cit., 13.
[38] C. Taylor, Il disagio della modernità, Laterza 2006.
[39] Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 30.
[40] Cfr. Papa Francesco, Amoris Laetitia, 174: «Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. […] Sono esse a testimoniare la bellezza della vita».
[41] Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 4.
[42] Cfr. D. Bramati – G. Rossi, Donna adulta tra famiglia e lavoro: l’identità femminile, in E. Scabini – P. Donati (a cura di), Identità adulte e relazioni familiari, Studi Interdisciplinari sulla Famiglia n. 10, Vita e Pensiero, Milano 1991, p. 150.
[43] Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 30.
[44] Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 11.
[45] Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 10.
[46] Cfr. Ireneo di Lione, Adversus Haereses, 3,22; 5,19.
[47] Cfr. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 46: «La figura di Maria di Nazareth proietta luce sulla donna in quanto tale per il fatto stesso che Dio, nel sublime evento dell’incarnazione del Figlio, si è affidato al ministero, libero e attivo, di una donna. Si può, pertanto, affermare che la donna, guardando a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità e attuare la sua vera promozione».
[48] San Bernardo di Chiaravalle, Sermone 2 nel giorno di Pentecoste, 4.
[49] J. Ratzinger, Maria chiesa nascente, Edizioni San Paolo, Milano, 1998, p. 48.
[50] Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 11.
[51] Cfr. A. M. Pellettier, Donne con uomini, l’avvenire della Chiesa, in Vita e pensiero 2, 2017.
[52] Cfr. Papa Francesco, Conferenza stampa durante il volo di ritorno, 28 luglio 2013: «Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli! […] Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. […] Bisogna fare una profonda teologia della donna»; Intervista a Papa Francesco di Antonio Spadaro, Santa Marta, 19 agosto 2013: «Bisogna dunque approfondire meglio la figura della donna nella Chiesa. Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa».
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