Avvento 2024 con don Pietro Margini

Accompagnati giorno per giorno nel cammino verso il Natale dalle parole di don Pietro Margini.

Ger 33, 14-16; 1Ts 3, 12 – 4, 2; Lc 21, 25-28. 34-36

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,25-28.34-36
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Parola del Signore.

“Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulla nube con potenza e gloria grande” (Lc 21, 27).

E’ Dio, è nella maestà della sua grandezza, è in tutto il fulgore della sua gloria, quando quel giorno Lo vedremo, quando quel giorno ci incontreremo con Lui.

L’Avvento è la preparazione alla sua venuta terrena, ma è ancora la preparazione alla sua venuta finale.

Noi ci prepariamo a contemplarlo bambino, povero, fragile, in una capanna. Che non ci dimentichiamo che Lui è il Signore dei signori, è il Re dei re! Che non ce ne dimentichiamo, per non sottovalutare la grazia! Perché è vero, che noi siamo facilmente dimentichi di tutto quello che in qualche maniera ci costringe ad essere suoi, a vivere di Lui, a rispettare le sue leggi.

Noi tendiamo a fuggire. Il nostro egoismo ha tutte le sue strade, per cui facilmente ci rifugiamo nel comodo, nell’approssimativo, nel compromesso. Ci rifugiamo.

Ecco che l’Avvento ci dice: – I tuoi rifugi sono dei pretesti, sono delle viltà: datti a Dio! Datti a Lui, perché Lui ora ti è vicino, ora si lascia abbracciare da te, come si lascia abbracciare un bimbo, ma sarà il Re dell’universo e verrà con potenza e gloria grande.

Dobbiamo allora stanare tutte le nostre cattive stasi, tutte le nostre perverse negazioni e dobbiamo darci al Signore con un’intensità, con una forza come mai noi abbiamo fatto.

L’Avvento è Avvento di amore, è Avvento di grazia, è Avvento che ci riempie il cuore di gioia, ma bisogna essere autentici, essere veri cristiani, essere disponibili a tutta la sua azione. Un cristiano vero è il cristiano che comincia tutti i giorni, che tutti i giorni ripete: – Signore, non ho fatto nulla per te: ora comincio. Cominciare con umiltà, cominciare con fiducia, cominciare una donazione santa e piena. Perchè lo sappiamo: se sentiamo nel cuore la voglia del bene, è Lui stesso che ce la mette, è Lui che ci vuole, è Lui che ci aiuta, è Lui che ha la sua misericordia che si rinnova di tempo in tempo, che si rinnova di giorno in giorno, sempre così ampia, sempre così forte, sempre così amabile.

Diamoci a Dio, rinnoviamo la nostra preghiera, sottolineiamo il nostro raccoglimento, impegniamoci con un esercizio più forte e più vero di virtù, con delle opere buone. Non stanchiamoci di operare il bene, perché è il nostro tempo e il tempo è tempo di Dio, è tempo di amore, è tempo di grazia.

don Pietro Margini, Omelia 28/11/1982

Is 2, 1-5; Mt 8, 5-11

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,5-11
 
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

Parola del Signore.

“Gesù ne fu ammirato”.

Pensiamo: suscitare l’ammirazione di Gesù è una cosa assolutamente grandissima.

Questo pagano, che suscita l’ammirazione di Gesù, ci è proposto come modello. Abbiamo bisogno di fede e di confidenza; abbiamo bisogno di mettere nella nostra vita questa meravigliosa cosa, che è il nostro abbandono alla Provvidenza e all’amore di Dio, questo abbandono di figli che, proclamati così dal Battesimo, sentono che il Padre non può mai mancare a tutte le necessità dei suoi figli. Sentiamo la paternità di Dio come un tesoro meraviglioso, un motivo di piena sicurezza.

Dio, che in Gesù ci ha fatto suoi figli, ha amore e tenerezza per ognuno di noi. Nessuno di noi può dire: lui mi è estraneo, lui è lontano da me, lui non pensa a me. No, ognuno di noi deve dire : so alla persona, che credo, quanto abbandono devo dare; quanta sicurezza devo porre nella sua mirabile condotta.

Oh, dobbiamo suscitare così la nostra fede, perché anche per noi si applicano le parole dell’Angelo dette alla Madonna: “ Il Signore è con te”.

Anche noi sentiamo che è viva e forte questa realtà. Siamo amati da Dio, siamo amati come fossimo solo noi in tutto l’universo, siamo amati da Dio. Dio non fa le cose a caso; nella sua mirabile infinita sapienza, nella sua infinita onnipotenza ha un piano su ognuno di noi e niente succede a caso, niente succede così come per fatalità. Il Signore, quello che vuole, che permette, lo fa in un progetto di amore, perché vuole che ognuno di noi raggiunga la sua perfezione e la sua santità di battezzato. Vuole che ognuno di noi, dopo i travagli di questa vita, possa per sempre essere nella sua casa di gloria. Ecco, rinnoviamo tutto il nostro amore, ravviviamo tutta la nostra confidenza e preghiamo la Madonna di darci quella sicurezza, di cui lei ci ha dato tanto l’esempio, la sicurezza della Parola di Dio: “ Sia fatto di me secondo la tua parola “.

Ripetiamo al Signore anche noi. “ Signore io credo al tuo amore per me; credo che mi guidi; credo che poni le cose, anche apparentemente difficili, le poni proprio in quest’ordine di carità, di sapienza, di amore e di provvidenza mirabile.

don Pietro Margini, Omelia 02/12/1985

Is 11,1-10; Lc 10,21-24.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,21-24
 
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Parola del Signore.

Gesù ci ha fatto conoscere la sua preghiera perché anche noi possiamo entrare in essa, dare lode al Padre Signore del cielo e della terra. Bisogna che capiamo bene la parola «riconciliazione». È una parola che ci indica tutto il nostro cammino verso il Padre fino a questa comunione con Gesù nella lode, nell’adorazione e nell’amore.

È con Gesù che dobbiamo sentire come tutta la nostra vita deve essere un gloria al Padre. Tutta la nostra vita deve esprimere, nell’impegno ma anche nel sacrificio ma anche nella gioia, in ogni momento, lode e benedizione. La Madonna ci ha insegnato come anche la vita nostra quotidiana e la sua ripetizione e la sua forma povera e faticosa può essere una vera lode. La Madonna è stata colei che ci ha preceduto nella riconciliazione perché ha saputo valorizzare in maniera meravigliosa tutta la sua esistenza apparentemente umile, vissuta in una povera casa di un povero villaggio. Eppure le sue azioni avevano un valore grandissimo, erano una lode meravigliosa a Dio. La Madonna ci ha insegnato che le azioni vanno valutate non alla maniera dell’uomo, non alla maniera esteriore e mondana, ma come offerta a Dio, come lode e benedizione a Dio. Tutte le nostra azioni devono essere nell’ordine di una cammino verso Dio, in un riconoscere come i diritti di Dio sono assoluti e come noi possiamo fare i nostri doveri così con tanto profitto nostro e degli altri. Anche la vita più umile, fatta nell’amore e nella lode a Dio, ha un beneficio grandissimo per tutto il Corpo Mistico.

Abbiamo l’esempio di Maria, abbiamo l’esempio dei santi, di tanti santi vissuti nell’umiltà di ogni giornata ma che sono stati eccelsi davanti a Dio.

Cerchiamo allora di migliorare la nostra intenzione di fare tutte le cose per amore di Dio, per un grande amore di Dio; più mettiamo amore, più le cose valgono; più cerchiamo Dio anche nelle cose più mediocri, più noi diamo una vera lode all’Altissimo. Impegniamoci allora con molta forza a imitare la Madonna e a compiere la riconciliazione che vuol dire così: fare le cose non per noi, fare le cose non per gli altri uomini, fare le cose per Iddio e in Dio amare tutti e in Dio compiere tutto e in Dio accettare pienamente quella che è la disposizione della provvidenza.

don Pietro Margini, Omelia 02/12/1986

Is 25,6-10; Mt 15,29-37

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 15,29-37

In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi.
Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.

Parola del Signore.

“Portarono via sette sporte piene” (Mt 15, 37). E’ sempre così quando ci si incontra con Lui. Le nostre malattie vengono guarite e vi è l’abbondanza di ogni grazia.

Bene a ragione la Scrittura dice: “Ma voi siete diventati ricchi?” (*1 Cor 4, 8). Avete Cristo! Quando si ha Lui, si ha tutto. E la donna, che soffriva di perdita di sangue, si limitò a toccare il lembo del suo vestito: “E’ sufficiente”, diceva.

E fu sufficiente. Quando c’è la fede… La fede è mirabile, perché ci mette in contatto con Lui, perché la forza che è in Lui, attraverso la fede, arriva fino a noi. Possiamo essere ben miseri, ben poveri, possiamo essere tanto peccatori ma, se entriamo con la fede in contatto con la sua divinità, torniamo risanati e ricchi.

Dobbiamo meditare molto su questa nostra fede. Dobbiamo meditare perché mai noi, che riceviamo così spesso l’Eucaristia, non riceviamo abbastanza e i nostri difetti e le nostre manchevolezze persistono. La nostra fortezza viene meno perché ci manca la fede, la nostra fortezza langue, non perché il Signore ha mancato, perché ha dato pochi mezzi, perché difficilmente si può toccare: è la nostra fede che è troppo piccola! E crescere la fede è dono di Dio, ma è un dono che arriva infallibilmente, quando noi poniamo a disposizione il nostro cuore, quando noi usiamo bene della nostra libertà. Troppo spesso, preoccupati e frastornati da tante cose materiali, noi facciamo conto su di noi, facciamo conto sui nostri propositi, sulla nostra buona volontà, sulle nostre disposizioni. Lo sappiamo bene che tutto è inutile: bisogna che noi ci apriamo a Lui.

La Madonna Santissima ha avuto questo nella salita sua alla santità, ha avuto questa apertura totale alla grazia di Dio; per questo la Scrittura, l’Apocalisse, la celebra come la donna vittoriosa, vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi. Ha ricevuto. Tutto quello che è in Maria è dono di Gesù. Ha ricevuto molto, ma ha corrisposto adeguatamente; noi riceviamo molto, anche noi, ma non corrispondiamo.

E’ sulla corrispondenza che ci dobbiamo interrogare, per diventare forti nella fede, generosi nei nostri doveri, pronti a ogni gesto di carità.

don Pietro Margini, Omelia 1/12/1982

Is 26,1-6; Mt 7,21. 24-27.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7,21.24-27
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

Parola del Signore.

La roccia su cui costruire la nostra casa è Cristo Signore. Come dice l’apostolo è “la pietra di angolo” (cfr Ef 2,20); la pietra che sostiene è Lui. E solo in Lui possiamo avere la solidità e la speranza. Solo in Cristo, perché Lui ci ha salvato, perché Lui continuamente ci salva, continuamente ci dona il tesoro della sua grazia, quella grazia per la quale siamo figli di Dio, quella grazia per la quale l’anima nostra è come divinizzata. Una meraviglia è il capolavoro di Dio: delle povere creature, delle creature che pure conoscono il peccato, possono dire a Dio infinito: “Tu, Signore, sei mio Padre e io ti amo e confido in te”.

Questa è l’opera che ha fatto Gesù e dobbiamo essergli sempre continuamente riconoscenti. La Chiesa ci insegna a ripetere in ogni Messa il nostro dovere di ringraziamento: “Rendiamo grazie al Signore nostro Dio”. Un prodigio il regalo della grazia. Gesù è venuto per opera di Maria, ecco perché la chiamiamo la «Madre della Grazia divina», perché ci ha dato Gesù e Gesù ci ha dato copiosi i frutti del suo sacrificio. Ecco perché con grande confidenza dobbiamo ricorrere alla Madonna, dobbiamo chiamarla, dobbiamo invocarla, dobbiamo onorarla, dobbiamo diventare dei veri suoi figli, docili ai suoi insegnamenti, sensibili alle sollecitudini materne che ci vengono da lei.

Dobbiamo vivere uniti al Cuore Immacolato di Maria. Imparare con quale tenerezza dobbiamo invocare il Padre, con quale slancio dobbiamo testimoniare la sostanza della nostra vita cristiana che è proprio la fede e la grazia. Impariamo dalla Madonna a vincere ogni tentazione e invochiamo lei così premurosa, così pronta. Invochiamola che fissi su di noi i suoi occhi misericordiosi e ci dia quel coraggio, quella logicità nelle nostre azioni che testimoniano quanto grandemente apprezziamo il frutto della Croce, della Resurrezione di Gesù: la grazia divina.

don Pietro Margini, Omelia 04/12/1986

Is 29, 17-24; Mt 9, 27-31

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,27-31
 
In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.

Parola del Signore.

I due ciechi ci sono di esempio. Esempio del nostro saper gridare al Signore, perchè troppe volte la nostra preghiera è un bisbiglio distratto, è un’evasione da quella che deve essere la vera comunione di amore con Dio.

Non abbiamo a sufficienza la fede che salva perché oscilliamo sempre tra le cose umane, nella speranza delle cose umane.

L’ammonimento è chiaro: noi dobbiamo guardare a Gesù, noi dobbiamo pregare Gesù che ci salvi, noi dobbiamo invocare Gesù perchè ci dia la vera convinzione dei valori soprannaturali. Dobbiamo conoscere Lui; dobbiamo ammirare Lui; dobbiamo seguire Lui.

La Vergine Immacolata, dicevamo, è stata discepola di Gesù: da Gesù ha appreso delle mirabili lezioni divine. La Madonna si è conformata a Gesù con tutto il suo amore, con tutte le sue energie.

La Madonna ci è un modello di come vedere Gesù, di come invocare Gesù, di come porci come modello Gesù in tutto quello che è la nostra vita. Nella nostra vita sono tante le circostanze diverse, ma il canone è sempre segnato così: bisogna fare come ha fatto Gesù, bisogna valorizzare quello che ha valorizzato Gesù, bisogna buttar via quello che ha buttato via Gesù.

Il nostro tragitto verso il Natale è proprio in questo ordine: dobbiamo imparare ad andare a Gesù, a partecipare ai suoi misteri. I misteri suoi devono essere i misteri nostri; nei misteri suoi ha meritato per tutti noi e ci ha meritato una grazia. Ogni mistero ha la sua grazia; ogni mistero possiamo riviverlo: è memoriale la festa; è memoriale la partecipazione, cioè è partecipazione di vita, è partecipazione di missione, è partecipazione dell’amore per cui il Figlio di Dio si è fatto nostro fratello ed è vissuto nelle condizioni di vita di tutti gli uomini.

Si è fatto uomo perchè noi fossimo divini, fossimo divinizzati. Ogni uomo deve essere come Cristo, deve rispecchiare Cristo, deve tradurre Cristo.

Ecco la grazia che in questo primo venerdì del mese noi chiediamo alla Beata Vergine: la grazia di guardare al Cuore di Gesù e di renderlo modello del nostro amore e della nostra sequela. Guardare al Cuore di Gesù, fornace ardente dell’amore divino, perchè anche nel nostro cuore sbocci un vero e forte amore.

don Pietro Margini, Omelia 02/12/1988

Is 30,19-21. 23-26; Mt 9, 35. 10,1. 6-8

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,35-38 – 10,1.6-8

In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Parola del Signore.

Gli operai, nella vigna del Signore, devono essere operai dell’amore, operai che dimenticano se stessi per gli interessi e per il progredire della parola di Dio, perché non devono portare se stessi, devono portare Gesù.

Il missionario porta con infinito rispetto, con un grande sentimento di devozione quello che il Signore gli ha affidato perchè gli ha affidato la sua misericordia di salvezza.

Nella Vergine Santissima c’è proprio quanto più immaginiamo di dimenticanza di sé, di umiltà, di progresso, di fervore. Nella Vergine Santa c’è stato il dono completo, un dono per cui ha dimenticato se stessa per seguire totalmente Gesù, per seguire la sua mirabile volontà.

Formarsi apostoli vuol dire non solo abbandonare i peccati, ma abbandonare i propri gusti umani, le proprie aspirazioni umane, i propri – anche! – diritti umani per dare al Signore tutto quello che siamo, tutto quello che possiamo.

Ogni cristiano deve essere missionario; ogni cristiano deve portare Gesù. Perciò in ogni cristiano c’è la purificazione del cuore, c’è il progresso insistente nell’amore. In ogni cristiano c’è il segreto che il Signore vuole che si adoperi per portare la sua grazia: il segreto cioè di questa vita interiore, di questa donazione interiore, di questa umiltà radicale e piena.

Purificarsi per ascoltare la sua voce; purificarsi per custodire la sua voce; purificarsi per portare la sua voce.

don Pietro Margini, Omelia 03/12/1988

Gn 3,9-15.20; Ef 1, 3-6.11-12; Lc 1,26-38.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore.

La festa dell’Immacolata Concezione è la festa dello stupore. Tutti siamo chiamati a contemplare il capolavoro di Dio. Un capolavoro così prodigioso, così grande che non cesserà di formare l’ammirazione dell’eternità. Guardiamo alla Vergine santa, alla Vergine senza macchie, alla Vergine dotata di tutti i doni di Dio, alla Vergine che ha corrisposto in maniera unica al piano di Dio. È festa perciò di ammirazione ed è festa di grande gioia. Una festa che noi celebriamo con cuore proprio perché una figlia di Eva, una creatura come noi è stata fatta così grande, così buona, così potente.

Ed è proprio questo motivo di gioia che vuole dare il tono al vostro matrimonio. Una festa di gioia perché volete consacrare la vostra vita qui davanti all’altare, e volete corrispondere al piano di Dio su di voi a somiglianza di come ha corrisposto la Beata Vergine.

Volete assumere la gioia ma anche le responsabilità del matrimonio. Volete adempiere alla missione alla quale Dio vi chiama. Voi lo sapete: è Dio che chiama; voi lo sapete che spetta a voi corrispondere con tutta l’anima perché la corrispondenza fa parte dell’amore. È scritto: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze” (cfr Dt 6,5; Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27).

Lo ponete così il vostro matrimonio: volete che sia motivo di una quotidiana salita di bene, di una quotidiana scoperta della grazia che Dio vi dona e vi darà, volete che il vostro matrimonio sia proprio nell’ordine del piano divino di santificazione perché è il Signore che ha detto: “I due saranno una sola cosa” (Mc 10,7). Volete perciò fare la vostra promessa al Signore, la promessa di un amore forte e fedele, di un amore grande e generoso, di un amore che sa donare e sa sacrificarsi, di un amore posto a servizio del regno di Dio. La vostra famiglia deve diventare − e da oggi comincia − deve diventare una pienezza del regno di Dio. Dovete così giorno per giorno fare il vostro cammino che noi vi auguriamo proprio in questo ordine e in questa forza, in questo slancio e in questo entusiasmo!

Noi vi auguriamo proprio di potere dire di «sì» tutti i giorni al Signore. Tutti i giorni dire il «sì»! Perché il Signore chiede ma dà. E se ci domanda l’impegno ci dà l’aiuto mirabile, grande. Più di quello che possiamo immaginarci! Ecco l’augurio che tutti i vostri amici presentano al Signore in comunione di preghiera.

Questi auguri, sì, li desideriamo con pienezza! Desideriamo la vostra vera riuscita, la riuscita che devono avere i cristiani, la riuscita del senso di Dio per tutte le ore. Perché passa il tempo, passano le cose ma resta l’amore quando è posto in Dio. Quando è posto in Dio, l’amore diventa sempre più grande, diventa gigante.

Ed è questo che vi invochiamo ed è questo per cui siamo in grande comunione con voi.

don Pietro Margini, Omelia 08/12/1986

Is 35, 1-10; Lc 5, 17-26

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5,17-26

 
Un giorno Gesù stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.
Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza.
Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se non Dio soltanto?».
Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico -: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio.
Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

Parola del Signore.

“Ti sono rimessi i tuoi peccati”.

La Madonna è stata grande fin dall’inizio perchè è stata senza peccato. Mai macchia alcuna ha sfiorato la sua anima. È stata senza peccato ed è il «Rifugio dei peccatori», cioè ha tanta potenza contro il peccato che anche i più grandi peccatori, mediante la sua intercessione, si pentono e diventano giusti.

Dobbiamo amare la Madonna come la donna meravigliosamente vittoriosa, perchè è proprio la glorificazione di lei che Dio ha realizzato facendola assunta nel cielo e rendendola centro di forza e di amore su questa terra.

La Madonna è stata veramente meravigliosa. È sempre meravigliosa, totalmente meravigliosa! La Madonna ha realizzato i prodigi proprio così: attraverso la pienezza della sua grazia.

E noi, glorificando la Madonna, dobbiamo prendere molto coraggio contro le tentazioni, contro i pericoli, contro le cose difficili che si presentano nella nostra vita.

Meravigliosa nella sua misericordia, misericordiosa sempre nel suo trionfo, Maria ci indica la strada della nostra santità. Un cristiano comincia a diventare santo quando vince il peccato, e le sue tappe sono sempre più in ascesa man mano che vince anche i peccati più piccoli, man mano che ottiene il trionfo sui propri difetti e sulle proprie debolezze.

Il cristiano è stato consacrato nel Battesimo per essere un atleta che vince, un soldato di Cristo, un missionario contro il peccato. Una gioia grande è riservata a colui che più prontamente, più sicuramente vince il peccato.

Dobbiamo prepararci al Natale attraverso questo combattimento, ancora più forte e ancora più generoso: vincere il peccato, vincere i nostri peccati, vincere i nostri peccati quotidiani, quei peccati che si ripetono, quei difetti che non vinciamo, quei difetti che invece dovremmo proprio offrire al Signore in un trionfo completo.

Rinnoviamoci davanti a Dio con molta forza; rinnoviamoci, invocando la Beata Vergine ed offrendole la nostra intenzione, la nostra disponibilità per il regno di Dio.

don Pietro Margini, Omelia 05/12/1988

Is 40,1-11; Mt 18, 12-14

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18,12-14
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».

Parola del Signore.

La pagina del Vangelo ci fa sentire forte, veemente la tenerezza di Gesù. Chi è quella pecora smarrita? Chi è quella pecora che attira tutta l’attenzione del pastore, il pastore che si dona e che non guarda ai suoi diritti, ma guarda solo la sua bontà? Oh, lo sappiamo: quella pecorella identifica ognuno di noi, perché sentiamo che con i nostri peccati abbiamo disgustato il Signore e ci siamo allontanati da Lui. Ecco, Lui ci cerca, Lui ci cerca in verità, ci cerca non per castigarci, non per rimproverarci, ma per accarezzarci e per donarci.

Abbiamo bisogno di capire la misericordia di Dio, di capire quanto possiamo confidare in questa misericordia. Sull’altare della croce, nel Calvario, Gesù ha offerto al Padre il Suo sacrificio di amore per ognuno di noi. In ogni Messa il Signore ci dona quello che ci ha ottenuto dal Padre, ce lo dona e ce lo dona con particolarissimo amore.

Dobbiamo scoprire la Messa come il sacrificio dell’amore. Dobbiamo scoprire nella Messa il grande segreto, il Cuore di Gesù immolato al Padre che si apre per ognuno di noi. Quindi, dobbiamo sentire la Messa come il grande momento del nostro recupero, il grande momento della grazia di Dio, il grande momento della misericordia.

Ed è per questo che dobbiamo proporci di partecipare la Messa insieme alla Madonna, alla Madonna che ha assistito Gesù sul Calvario, che con Lui è in ogni Messa, perché tutta la ricchezza che Gesù ha voluto dare alla Chiesa, la fa passare dal Suo cuore al cuore della Madonna. È Lei che dispensa, è Lei che distribuisce i doni di Dio, è Lei con quella materna cura, con quella singolare vigilanza, con quella meravigliosa bontà, che il Signore ha voluto fosse nella più alta espressione in Maria.

Andiamo da Lei per andare al Cuore di Gesù. Andiamo dal Cuore di Gesù per essere risanati, essere così fortificati nel bene, nel cammino del bene, per ogni nostra giornata.

don Pietro Margini, Omelia 06/12/1983

Is 40,25-31; Mt 11, 28-30

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,28-30
 
In quel tempo, Gesù disse:
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Parola del Signore.

Siamo arrivati alla ventisettesima invocazione: “Cuore di Gesù, fonte di ogni consolazione, abbi pietà di noi.” Consolare vuol dire portare uno dal dolore alla gioia, dalla depressione al sollievo. Gesù stesso si è posto come sorgente di consolazione. Voi ricordate: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.” (Mt 11, 28-29).

In che maniera ci consola Gesù? Gesù ci consola unendoci a Lui. Non è che manchino le croci per uno che segue Cristo, anzi, uno che segue Cristo dev’essere disposto ad abbracciare la sua croce, è una regola. Ma proprio sta qui: proprio perché è una regola unirci a Lui, comunicare con Lui, formare un’unica cosa con Lui, è qui che viene la più forte di tutte le consolazioni. Noi lo stiamo meditando in questo tempo pasquale, noi ripetiamo le parole di S. Paolo: “Se siamo crocefissi con Lui, risorgeremo con Lui”. Risorgeremo, c’è una comunione che è certissima, certissima nella sofferenza che viene alleviata, perché Gesù si carica anche della nostra croce e poi ci dà la certa speranza di essere con Lui già fin da adesso nella sua risurrezione e di parteciparvi poi con pienezza.

La nostra identificazione con Cristo è la nostra grande speranza: proprio perché siamo una sola cosa con Lui, noi possiamo alzare lo sguardo, possiamo essere sicuri che Lui ci unisce a sè nella vittoria totale sul peccato, sul male, sul dolore, sulla morte. E guardando a Lui niente ci può fare paura, ripetendo le parole dell’apostolo: “Per quelli che amano Dio tutto torna in bene”(Rm 8, 28). Rinsaldiamo quindi la nostra convinzione totale. Noi dobbiamo unire la nostra vita a Cristo e solo quello che ci stacca da Cristo è brutto, è terribile, può dar luogo al più grande dei pericoli, quello di perdere per sempre la consolazione morendo in sua disgrazia.

Il grave è che noi molte volte cerchiamo consolazione fuori di Lui, dove non va bene, cerchiamo consolazione nel piacere proibito, condannato, cerchiamo consolazione in forme di dissipazione mondana in cui non troviamo niente che possa veramente saziare l’anima nostra. Noi cerchiamo la consolazione fuori di Lui, forse in cose che Lui condanna: non mangiate di quel frutto, qualunque volta voi ne mangerete, voi morirete!(cfr. Gn 2, 17).

Cercare la consolazione fuori di Lui è un’illusione: solo il Signore ha la potenza di guarire le nostre anime e di dare quella soavità di certezza che guarda all’avvenire senza paura. Perciò questa sera riaffermiamo la nostra precisa volontà: cercare nel cuore di Gesù il conforto, cercare il sostegno delle cose dure di ogni giorno, il sostegno nelle tentazioni, la medicina nelle cadute, la soavità in mezzo a tutte le amarezze che si presentano. Il Signore è soave. “Lodate il Signore perché è buono”: quante volte nei salmi tornano queste parole. Il Signore è buono, quanto è soave il servirlo! È l’atto di fede che noi facciamo nella sua risurrezione, è l’atto di fede che noi facciamo nella sua misericordia che ci ha uniti a sè e ci vuole sempre con sè, secondo le sue parole dette nell’ultima cena: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io” (Gv 17, 24)

don Pietro Margini, 02/04/1978 -vespro Domenica in Albis

Is 41,13-20; Mt 11,11-15.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,11-15
 
In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.
Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elìa che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».

Parola del Signore.

Nell’Avvento si erge grande, di un significato profondo, la figura di Giovanni Battista. È lui il nostro maestro di Avvento, è lui al quale ci dobbiamo riferire per potere andare incontro al Signore e realizzare con lui una pienezza nello Spirito Santo. Abbiamo bisogno della sua straordinaria fortezza di animo, abbiamo bisogno della sua austerità, abbiamo bisogno della sua docilità allo Spirito e del suo senso di preghiera. Noi oggi vogliamo prepararci perché l’Avvento sia un tempo veramente forte per noi e ci determini in quella salita, che abbiamo iniziato nel nome del Signore. Vorrei soprattutto che meditassimo come, per aderire allo Spirito, per lasciarci formare da Lui, per realizzare in Lui e con Lui, dobbiamo porre delle vere decisioni, quelle decisioni che ci devono prendere e ci devono occupare in tutto: occupare nella nostra mente, nella fede, occupare nel nostro cuore con la speranza, lasciarci trasformare totalmente dalla sua carità.

Abbiamo bisogno di essere persone risolute, delle persone che dicono sul serio, che sentono forte la Parola di Dio e non si smentiscono, perché troppe volte noi smentiamo noi stessi e accumuliamo i nostri propositi come carte da gioco, accumuliamo i nostri propositi e poi con disinvoltura li buttiamo via.

Mi pare che entrare nell’Avvento sia entrare in uno spirito di decisione fondamentale. La prima decisione, che sta proprio in un senso di umiltà, è nel confessare: “Egli confessò e non negò, e confessò: io non sono il Cristo”.

L’umiltà di Giovanni Battista ci fa riflettere sulla prima decisione, che è quella di essere umili, perché manchiamo di umiltà e perciò non confidiamo in Dio, confidiamo in noi stessi, ci affanniamo e ci tormentiamo nelle successive nostre forme di fallimento e di insuccesso e non capiamo che c’è un principio molto evidente: chi opera in noi il desiderio e il compimento dell’opera è lo Spirito Santo. L’umiltà dunque di cominciare e di proseguire, l’umiltà di fronte alle nostre situazioni, alle nostre ricadute, ai nostri pesanti insuccessi, per cui siamo continuamente all’inizio e mille volte abbiamo detto: “Ora, Signore, comincio; ora, Signore, voglio fare qualche cosa; ora, Signore, voglio davvero mettermici, e questa è la volta buona”. Come mai, come mai questo conturbante fallimento? La nostra vita spirituale troppe volte è a pezzi, e le nostre giustificazioni non ci possono lasciare in pace. Manchiamo di umiltà, cioè manchiamo del senso della proporzione, manchiamo del senso di Dio e del senso della nostra umanità.

Cosa vuol dire prepararci all’Avvento? Cos’è l’Avvento se non il constatare che Cristo è in mezzo a noi, se non trovarlo di nuovo, se non prendere forte cognizione che lo Spirito Santo, l’anima della Chiesa, è l’anima di ogni nostra anima, che è lo Spirito Santo che agisce nella Chiesa e nella storia, che agisce nella nostra storia, nella storia della nostra anima? L’Avvento è prendere cognizione della nostra carenza fondamentale: l’uomo non salva l’uomo, noi non salviamo noi stessi. Avvento vuol dire che dallo Spirito Santo dobbiamo attendere la pratica rivoluzione di bene che deve avvenire in noi e nell’umanità. Cosa vuol dire Avvento se non metterci a disposizione: “Preparate la via del Signore, ogni monte si abbassi e ogni abisso si colmi”. Vuol dire allora l’Avvento una precisa cognizione di noi stessi e del mondo, del nostro posto nel mondo, della nostra missione nel mondo, di tutto quello che possiamo operare in noi e possiamo operare vicino a noi in uno sforzo di carità e di amore. La carità è qualche cosa di divino e l’amore è qualche cosa di potentemente umano.

don Pietro Margini, 18/11/1979 – ritiro spirituale d’Avvento

Is 48,17-19; Mt 11,16-19.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,16-19

In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».

Parola del Signore.

L’angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria e Maria seppe pronunciare il suo sì.

È nell’ordine del sì che si sviluppa tutta la nostra vita di iniziativa, di forza, di progresso. Non ci si avanza che con il sì: il mezzo sì interrompe il cammino, il no lo inverte.

Ecco perché il profeta Isaia ci dice, la Parola del Signore è una parola di rincrescimento: “Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume”.

Cosa vuol dire andare incontro al Natale, se non saper accogliere questa meravigliosa realtà della grazia di Dio, che viene incontro a noi come un fiume maestoso? Una grazia mirabile, una grazia che ci costituisce così come ci vuole Dio: ci costituisce nella bontà, ci costituisce nella carità, ci costituisce nella perfezione della carità, che è l’amicizia. Ci fa vedere nei nostri fratelli l’immagine stessa di Cristo.

Noi abbiamo bisogno di imparare di più questo nostro vero accondiscendimento alla volontà di Dio, questa nostra adesione convinta e forte. Troppo giochiamo sulle parole, troppo giochiamo sulle azioni e non abbiamo una linea retta, perché smentiamo con le parole quello che già ci siamo proposti e più ci smentiamo con le opere. Le nostre opere suonano male, perché mancano di rettitudine, mancano di linearità, mancano di trasporto e di forza.

Allora prepararsi al Natale è restare con umiltà nella volontà di Dio, nell’osservanza dei comandamenti. Non si richiede da noi delle cose mirabili, non si richiede da noi delle cose eroiche, si richiede da noi l’umiltà dell’ubbidienza a Dio, l’umiltà che dice: “Signore, tu devi fare ciò che tu vuoi!”

Il Signore ci tratta con gioia e ci tratta con amabilità e noi non approfittiamo della gioia. Il Signore ci tratta con il dolore e noi al dolore ci ribelliamo e non approfittiamo del dolore.

Ecco, era quello che diceva Gesù agli Ebrei: “Siete simili ai fanciulli, che non stanno alle regole del gioco, che non si sa che cosa vogliono”.

Noi dobbiamo imparare a vivere così nella linearità dei comandamenti di Dio, perché la nostra carità non può basarsi sul sentimento, non può basarsi sull’entusiasmo, non si può basare su un’affinità umana. La nostra carità deve basarsi sulla sua Parola, sul suo comando, su quello che lui ha stabilito per fare della nostra vita il suo regno, perché noi viviamo di lui e sappiamo veramente ascoltare la sua voce.

Ecco allora che cominciamo proprio con il Salmo primo: “Beato l’uomo che si compiace della legge del Signore, che la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1, 1-2).

È in questa volontà di santità, è in questa volontà di fruttificare, è in questa volontà di osservare tutta la legge del Signore, che noi poniamo con generosità e con fedeltà il nostro proposito.

don Pietro Margini, Omelia 15/12/1978

Sir.48,1-4.9-11; Mt 17,10-13.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 17,10-13

Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?».
Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro».
Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.

Parola del Signore.

Noi incominciamo la Novena del Natale e noi sappiamo com’è stato voluto il Natale. Il Credo dice: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Non è disceso, prima di tutto, per dirci delle belle parole: è disceso per salvare, per salvare dai peccati, perché la dignità dell’uomo, la grandezza dell’uomo sta prima di tutto nel fuggire il male. Se il male possiede, se il male domina, sono inutili tutte le belle parole e tutti i gesti.

La potenza di Dio, la sua misericordia è stata posta, è stata messa con molta energia in quest’ordine; tutto il cielo si è mosso per servire a questa grande idea, per operare questo grande prodigio: salvare l’uomo.

Allora il vero nemico dell’uomo è la sua stessa colpa, il disgregatore dell’uomo e della società degli uomini è sempre il peccato

Allora comprendiamo bene la parola di Elia e aveva una parola che bruciava come fiaccola, cioè i suoi rimproveri ai peccatori di Israele erano efficaci e purificatori come il fuoco. Ed ecco il secondo Elia, che ci ricorda il Vangelo, Giovanni il Battista. Giovanni il Battista sintetizzerà tutta la sua azione apostolica in un’unica frase: “Fate penitenza, perché il regno di Dio è vicino” (cfr. Mt 3, 2). Anche Gesù, iniziando la sua missione pubblica, ripete: “Fate penitenza”. Allora non è per una ragione di psicologia malata, non è per una forma di suggestione, che noi dobbiamo insistere nella purificazione del peccato, è nell’ordine stesso dell’incontro con Dio. Non possiamo incontrare Dio, se non rinnovandoci interiormente, rifiutando il peccato, migliorando noi stessi.

“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Mt 3, 3). E sappiamo quali sono i nostri sentieri così tortuosi nella nostra ipocrisia, così sbagliati e così ingannevoli. “Raddrizzate i suoi sentieri” e solo allora si vede la salvezza di Dio.

Ecco, noi ci dobbiamo proporre con molta forza in questi giorni una meditazione sulle nostre colpe, sulle nostre personali, sulle nostre come società, sulle nostre come Chiesa.

Dobbiamo sentire il desiderio che lo Spirito Santo ci purifichi, ci pulisca, ci renda adatti, perché siamo in mezzo a un popolo di peccatori e come può venire il Signore Gesù nel Natale, se non facciamo penitenza, non detestiamo il male, non impariamo a rinnovarci nell’amore, nella generosità, nell’impegno quotidiano di bene?

Domandiamo questa grazia e portiamo nel nostro cuore la Parola di Dio che abbiamo ascoltato, perché anche in noi compia la sua opera grandiosa di purificazione.

don Pietro Margini, Omelia 15/12/1979

Sof 3, 14-18; Fil 4, 4-7; Lc 3, 10-18

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 3,10-18
 
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Parola del Signore.

La Liturgia odierna ci è data in modo speciale per scoprire il valore e le proporzioni della gioia cristiana. Quando si parla del Natale, si parla insistentemente di gioia. Oggi la Liturgia ci insegna quale gioia noi dobbiamo attuare, quale gioia dobbiamo chiedere come dono al Signore che viene. Intanto non dobbiamo confondere la gioia con il buon umore, la gioia con quel senso diffuso di ottimismo che alcuni hanno per temperamento, tanto meno dobbiamo confondere la gioia con la superficialità. Gioia non è non avere problemi, non avere difficoltà, è sapersi mettere in posto giusto di fronte ai problemi e alle difficoltà; è l’angolo visuale che interessa. La gioia cristiana è un frutto di collaborazione: dobbiamo mettere alcune cose noi e porci in condizioni di avere le altre dal Signore.

 Allora la gioia cristiana nasce prima di tutto da una convinzione, la convinzione che il Signore è vicino: “Esulta, figlia di Sion, perché il Signore Dio tuo è vicino a te” (cfr. Sof 3, 14-18). La convinzione è dunque il sapere che il nostro Dio è amore, che il nostro Dio è bontà che si effonde, è misericordia che non cessa, è comprensione che va oltre tutti i limiti; per questo Dio si chiama “il Dio della gioia”. Non è il Dio come troppe volte gli uomini nella storia del loro pensiero si sono raffigurati: un Dio eccelso, lontano, freddo. Dio è amore, Dio ama tutti e ama in modo particolare i peccatori, perché sono i suoi figli ammalati e una mamma vuol più bene all’ammalato, perché lo sa bisognoso di più cure! Il nostro Dio è il Dio, dunque, che è presente, che è vicino, tanto vicino che ha voluto essere uno di noi.

Ecco che cosa ci presenta il Natale: Dio in mezzo a noi, Dio fatto uno di noi nel dolore, nella povertà, nell’abbandono; Dio fatto uno di noi che si è caricato dei nostri peccati! La santità stessa di Dio si è fatta peccato (cfr. 2 Cor 5, 21), dice l’apostolo san Paolo, s’è fatto peccato per noi “L’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (Gv 1, 29): è l’indicazione precisa di Giovanni Battista. Ed allora, la gioia cristiana sente profondamente questo avvenimento e desidera esserne partecipe. Ecco che se il profeta Sofonia diceva: ”Gioisci, esulta, rallegrati”, san Paolo precisa il pensiero e dice: “La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4, 5).

Ecco la gioia che non è tanto avere, quanto donare, la gioia che si trasforma in diffusione di amore, in diffusione di bontà, in un moltiplicarsi della nostra bontà, proprio perché la riceviamo da Dio, proprio perché ci è comunicata da Dio. Ed è allora così l’esortazione di Giovanni Battista che abbiamo letto nel Vangelo, diceva: “Dare!”. “Cosa dobbiamo fare?” “Dare!”. “Siate modesti, accontentatevi perché deve venire lui, che battezza in Spirito Santo e fuoco” (cfr. Lc 3, 10-18).

Ed ecco che la gioia, raccolta così, diventa la pace e la pace è frutto dello Spirito Santo, la pace vera, profonda, grande. E soggiunge san Paolo: “Sorpassa ogni intelligenza” (Fil 4, 7), proprio come tutti i doni di Dio; sorpassa ogni intelligenza, perché è comunicazione ineffabile dell’amore di Dio, è Dio che prende abitazione in noi e ci fa un’unica cosa con lui.

Poniamoci allora in questa settimana, che precede il Natale, in questa precisa posizione: la nostra purificazione tende alla gioia. La gioia consiste nella percezione precisa che con Dio abbiamo l’amore e nell’amore e nella provvidenza di Dio tutto si risolve e, avendo Dio uno di noi, la sua pace veramente prenderà possesso della nostra anima, se noi sapremo essere così pronti, così sensibili, così umili, così efficaci nella nostra povera ma insostituibile collaborazione.

don Pietro Margini, Omelia 16/12/1973

Nm 24, 2-7. 15-17; Mt 21, 23-27

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21,23-27
 
In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Parola del Signore.

Dio è la suprema autorità, Dio si è manifestato come verità e come amore nel suo Figlio Gesù. È nel suo Figlio Gesù che Dio ci ha mostrato la sua misericordia e ci ha donato la sua salvezza. E’ in questa ricerca di verità che dobbiamo persistere, perché la luce della verità in Gesù è splendida: è il sole della verità, è la pienezza della vita. In lui dobbiamo conoscere il senso della nostra esistenza e il perché del nostro dolore e del nostro travaglio. Gesù ci insegna tutto e ai suoi piedi noi ci dobbiamo mettere, ai suoi piedi, perché ci faccia penetrare fino in fondo alle sue sublimi verità, perché illuminati delle sue verità possiamo camminare nella onestà, nella giustizia, cioè nella santità e trovare in questo la pace, nella risposta a tutti i nostri interrogativi. E Gesù ce lo ha detto, la sua Parola è per noi vita: “Le mie pecore”, ha detto, “ascoltano la mia voce, non ascoltano le altre voci, perché uno solo è il pastore”(cfr. Gv 10, 27). Dobbiamo ascoltare la sua voce e rallegrarci nella sua voce. Ha aggiunto ancora Gesù: “Lo Spirito vi insegnerà tutto, vi ricorderà ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26).

E’ allora nell’unione stretta con lo Spirito Santo, che abita nel nostro cuore di battezzati, è nella dipendenza e nella docilità allo Spirito Santo che dobbiamo sempre di più conoscere le cose come sono, il perché delle cose, il senso della nostra vita, delle nostre giornate e delle nostre prove e delle nostre tentazioni. E’ nella dipendenza dallo Spirito Santo che si realizza la nostra vera proporzione. Come cristiani facciamo parte del Corpo di Gesù e dobbiamo vivere l’esperienza stessa di Gesù, dobbiamo vivere come lui, avere i suoi stessi sentimenti, quei sentimenti che ci guidano, quei sentimenti che ci arricchiscono, quei sentimenti che devono essere propri dei figli di Dio, dei figli per adozione che devono imitare il Figlio eterno naturale di Dio.

Ed è appunto in questa cosa che noi stasera domandiamo, domandiamo l’amore delle cose vere, di capire le cose vere e di testimoniarle, perché se non le comprendiamo noi, se non le viviamo, non possiamo testimoniarle, cioè renderle credibili agli altri. In noi devono vedere la sua luce, perché noi dobbiamo essere i portatori della sua luce, secondo quello che ci ha detto Gesù: “Voi siete la luce del mondo, voi siete il sale della terra” (Mt 5, 13-14).

Domandiamo al Signore questa grazia in preparazione al Natale: di prendere questa luce, di renderla così forte in tutta la nostra condotta, da poter essere veramente coloro che presentano Gesù, che lodano e benedicono Gesù.

don Pietro Margini, Omelia 16/12/1985

Gn 49, 2. 8-10; Mt 1, 1-17

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 1,1-17
 
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

Parola del Signore.

Ci viene in mente una parola della Scrittura: Dio gioca nel mondo, gli uomini si muovono, progettano, gli uomini si tribolano, si tormentano, gli uomini pensano di essere loro gli arbitri; ma è Dio che volge tutte le cose nella sua adorabile ed amabile Provvidenza. Così è venuto Gesù da Abramo, è venuto Gesù da Davide, così, in un gioco di cose che sorpassano tutte le previsioni. E così anche per noi, lo sappiamo bene; noi abbiamo una sola via, la via della confidenza totale nel Signore, sapendo che per ognuno di noi c’è un progetto, un progetto che Dio, con la nostra collaborazione, vuole attuare: è il progetto della nostra santità, di noi che, battezzati, abbiamo ricevuto in dono la vita divina, di noi che, battezzati, siamo stati innestati in Cristo e facciamo parte del suo Corpo. La Chiesa è infatti il Corpo Mistico di Gesù. Membra di Cristo, dobbiamo tradurre Cristo; non possiamo essere membra di Cristo così diverse da lui, così estranee a lui, con sentimenti tanto diversi, con gusti difformi e realizzati in una maniera sbagliata.

Il Signore vuole ognuno di noi veramente completo, un cristiano vero, un cristiano che man mano matura il germe che ha ricevuto nell’acqua del Battesimo, man mano; tutto deve servire per questa perfezione di vita cristiana. Non dobbiamo essere dei cristiani a metà, non dobbiamo fermarci a delle cose secondarie e superficiali. Il Signore ce l’ha detto: “Io vi ho posto, perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). Il frutto lo porta un albero che si è sviluppato, un germoglio non porta frutto, una pianta mancata e restata così malaticcia non porta frutto.

Ci dobbiamo chiedere, man mano che ci avviciniamo al Natale, quanto in noi si è maturata la vita che abbiamo ricevuto, quanto in noi si è sviluppata la fede, la speranza e la carità, quanto cioè noi viviamo come Gesù, pensiamo come Gesù, desideriamo quello che vuole Gesù, amiamo quello che Gesù ci indica oggetto vero di amore.

Ecco la nostra invocazione: “Vieni Signore Gesù!”. Sì, che venga proprio Gesù e, con la potenza del suo amore con la magnificenza delle sue grazie, realizzi quello che non abbiamo ancora realizzato: che possiamo camminare nella fede, come ci esorta la Scrittura, una vita nuova, un cammino in Gesù, un procedere decisamente e fortemente.

Il progetto di Dio: ognuno attui con pienezza la sua fede, realizzi con perseveranza la sua chiamata, sia proprio così, nella misericordia di Dio, un vero discepolo del Signore. Il discipulato di Gesù deve essere la nostra strada, deve essere il nostro ideale, deve essere la nostra gloria.

don Pietro Margini, Omelia 17/12/1985

Ger 23, 5-8; Mt 1,18-24.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 1,18-24
 
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele»,
che significa «Dio con noi».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Parola del Signore.

La pagina di vangelo che abbiamo ascoltato è fatta per destare la nostra ammirazione perché possiamo sempre di più contemplare le opere di Dio, quanto sono mirabili e come sorpassano ogni nostra immaginazione. Il Signore aveva preparato questo prodigio per tutta l’umanità: il prodigio di una famiglia santa e meravigliosa. Era la famiglia in cui doveva sbocciare il fiore di Jesse, il germoglio di Jesse, cioè quello che era stato promesso dai secoli. Era stato promesso e si adempiva meravigliosamente la profezia.

Ecco come dobbiamo vedere il Signore nella sua provvidenza: ha preparato Gesù per noi, per tutta l’umanità. Ha regalato Gesù ad ogni anima ed ogni anima si deve conformare a Gesù. Preparando Gesù, ha preparato anche il piano di amore per ogni anima perché ogni anima prenda la sua forza e la sua letizia da Gesù. È da Lui che viene tutto; è da Lui che si può realizzare in pieno quanto è disposto dal Padre celeste per ognuno. È in Lui e con Lui. Perciò il piano è che ogni cristiano sia come Gesù, sia partecipe del Cuore di Gesù, dei palpiti del Cuore di Gesù. Sia partecipe della sua carità, della sua misericordia, della sua umiltà, della sua preghiera.

Ogni anima si abbandoni all’azione dello Spirito Santo che vuole formare in ogni cuore Gesù. Lo Spirito Santo ha questa grande opera, questa grande realtà: vuole che tutto sia nell’ordine della grazia di Gesù. Il Corpo Mistico è l’unione di tutte le anime con Gesù, è l’opera dello Spirito Santo al quale dobbiamo essere docili e pronti.

Essere pronti a prendere via ciò che non è secondo Gesù, che non è conformazione a Gesù. Rispettiamo quindi l’azione di Dio in noi! Amiamola questa azione di Dio! Cerchiamo di essere forti nel vincere tutte le difficoltà per essere non solo vicino a Gesù ma essere in Gesù, membra vive e forti del suo corpo.

don Pietro Margini, Omelia 18/12/1986

Gdc 13, 2-7. 24-25; Lc 1, 5-25

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,5-25
 
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso.
Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccarìa disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».
Intanto il popolo stava in attesa di Zaccarìa, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».

Parola del Signore.

C’è la gioia all’annuncio della salvezza, una gioia di Spirito Santo, una gioia incontenibile e profonda.

Noi pensiamo a quanti avrebbero potuto partecipare della gioia di questo annuncio, noi pensiamo quanti ancora, nel Natale, potrebbero avere la stessa magnifica gioia e non l’avranno. Perché? Perché non hanno il cuore adatto, non hanno il cuore sgombro, non hanno l’anima libera.

Da secoli gli Ebrei attendevano il Messia, era stato il sospiro dei patriarchi, era stato l’annuncio dei profeti. Tutto il popolo era stato educato a vivere come il popolo del Messia, ma, quando viene Gesù, solo pochi lo accolgono, pochissimi e sono, lo sappiamo, i poveri. Gesù aveva intorno a sé i bimbi, i poveri, coloro che soffrivano. Intorno alla grotta di Betlemme vedremo chiamati quelli che possono capire: sono i poveri.

E allora, se voi volete passare il Natale in un’intimità di gioia, in una grande crescita di fede e di speranza, guardate se vi potete mettere nell’ordine di questa povertà. Dirà Gesù: “Beati i poveri in spirito”, definendo bene che cosa si intende per povertà, cioè il distacco, cioè il non confidare nelle cose della terra, il non finalizzare nelle cose della terra, ma avere il cuore sgombro per desiderare le cose di Dio.

Noi dobbiamo interrogarci a lungo, perché è molto facile che il nostro attaccamento sia un attaccamento più profondo di quello che non pensiamo, sia un calcolo sul quale noi in fondo basiamo la nostra felicità.

Bisogna sentire Dio il Tutto e il Primo. Bisogna lasciarci condurre dallo Spirito nella scelta delle cose, che formano gli oggetti del nostro interesse. Bisogna che noi non ci limitiamo a dei desideri e a delle parole, ma scendiamo in pratica, scendiamo in pratica disprezzando quelle cose che l’egoismo vorrebbe ammassare in noi, disprezzando quelle cose che per noi diventano degli idoli.

Dobbiamo cercare con umiltà di discutere i nostri comodi, di discutere i nostri agi, di discutere quello che in fondo sembra una regola comune di benessere.

Dobbiamo pensare di più a chi in realtà è povero e ha bisogno della nostra solidarietà e della nostra parola, della nostra carità.

Dobbiamo sentirci vicini di più nella pratica a coloro che soffrono.

Dobbiamo desiderare anche noi di essere dei veri fratelli di coloro che sono nella necessità.

Scendere in pratica, essere veramente convinti che noi in fondo abbiamo ciò che abbiamo donato, che noi in fondo dobbiamo ritenere vera ricchezza solo quello che è ricchezza d’eternità. “Fatevi un tesoro nel cielo, dove nessuno ve lo può strappare” (cfr. Lc 12, 33-34).

Ecco, è in questa ricerca del tesoro del cielo che noi accresceremo la nostra fraternità, la nostra amicizia e perciò veramente onoreremo il Signore negli altri, troveremo Gesù nel cuore di quelli che, bisognosi, ci danno la partecipazione più bella, che è la partecipazione all’amore del Signore.

don Pietro Margini, Omelia 19/12/1978

Is 7, 10-14; Lc 1, 26-38

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore.

Santa Elisabetta ci è proposta dalla Liturgia come un modello della nostra accoglienza a Gesù. Ha saputo accoglierlo, e fu piena di Spirito Santo, e penetrò nel mistero di Dio.

La nostra posizione non deve essere la posizione dei superficiali, la posizione degli indifferenti o degli estranei. Accogliere Gesù è accogliere il Principe, il Figlio di Dio, ma anche colui che si degnò chiamarsi l’Amico nostro.

E’ con questi sentimenti di cuore che dobbiamo procedere all’ultima preparazione del Natale, dobbiamo arricchirci di una grande disponibilità.

Viene come Principe: dobbiamo dargli il dominio di tutto il nostro cuore.

Viene come Figlio di Dio: dobbiamo dargli la nostra adorazione.

Viene come Amico: dobbiamo donargli la nostra tenerezza.

Dobbiamo realizzare un incontro nel Natale, un incontro ricchissimo, fervido delle virtù della fede, della speranza e della carità. Il Natale per noi deve rappresentare una nuova conversione ai valori che vengono dall’alto, perché questo bambino ci porta la volontà del Padre, ci porta l’atmosfera del cielo: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra”.

Quindi, con molta generosità dobbiamo purificare le nostre anime, perché non ci sia nemmeno un piccolo posto nel nostro cuore senza che sia suo. Dobbiamo dargli la nostra completa adorazione, perché è il mistero dei misteri, è l’Incarnazione del Verbo. Il Verbo, generato prima di tutte le creature dall’eternità, è ora qui in mezzo a noi, diventato uno di noi, diventato fragile come noi, diventato un bambino che piange e che patisce il freddo.

Ci dobbiamo preparare ad entrare così nella contemplazione così fervida, viva, completa, la contemplazione dell’amore di Dio che non nega, per la salvezza del mondo, il suo Figlio unigenito e lo dà in dono all’umanità e lo vorrà sacrificato sulla croce.

Costruiamo soprattutto nel Natale una grande amicizia con Gesù, sentendo quello che sente lui e scartando ciò che scarta lui. Gli amici scelgono insieme, gli amici hanno gli stessi gusti, hanno le stesse aspirazioni. Ecco Gesù vuole che il nostro cuore sia simile al suo: “Imparate da me”, ha detto. Impariamo da lui sulla questione del cuore, impariamo da lui.

Quindi prepariamoci al Natale come ad una vera e profonda conversione. Sull’esempio di santa Elisabetta, possiamo ricevere degnamente il Signore ed essere ricambiati da lui del dono dello Spirito Santo.

don Pietro Margini, Omelia 20/12/1985

Ct 2, 8-14; Lc 1, 38-45

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Parola del Signore.

La nascita di Giovanni Battista è motivo di profonda gioia, è l’alba che annuncia il giorno. Le promesse di Dio non vengono meno.

Adoriamo la Provvidenza di Dio, che dispone tutte le cose con fortezza e soavità. Adoriamo la Provvidenza di Dio, perché anche per noi non ha perduto la potenza, non ha perduto la soavità, anche per noi è ben presente, anche per noi ci sollecita alla confidenza e all’abbandono.

Quante volte la tentazione si presenta a noi come noi fossimo soli, come la nostra preghiera cadesse nel vuoto, come i cieli fossero chiusi. Sappiamo invece che nessuna preghiera cade a vuoto, che la Provvidenza di Dio ha dei confini molto vasti, molto grandi, più meravigliosi di quelli che noi possiamo immaginare. Come si è compiuto il suo volere in Giovanni, e Zaccaria riacquista la parola, e Elisabetta è al colmo della gioia, così similmente nella nostra vita il Signore interviene, quando crede e come crede, nella sua sapienza e nella sua bontà. Interviene e noi dobbiamo sentire questa sua voce e questa sua azione.

Il Natale ci darà questo suo enorme insegnamento: Dio l’Infinito non è distante dal mondo, non ha creato gli uomini e li ha abbandonati a sé; addirittura, sensibilmente viene nel mondo, sensibilmente viene ad assicurarci del suo amore. Ci viene ad assicurare della sua grande forma di intervento, ci viene ad assicurare che gli siamo cari uno per uno e che nessuno di noi è buttato via. Anche chi si sentisse carico di peccati, non si deve disperare, perché il Signore è pronto ad accoglierlo.

Un senso di confidenza allora ci deve permeare in questo Natale, dobbiamo sentire la grande grazia di essere cristiani. Abbiamo ricevuto questo preziosissimo dono, sappiamo il senso della vita presente, abbiamo la sicurezza della vita futura, abbiamo il significato del dolore e la malattia e la disgrazia: sappiamo che sono finalizzate da Dio, cosa possiamo temere? Dobbiamo pregare solo per quelli che non hanno fede, perché hanno davanti a sé il buio, l’enigma, non sanno dove vanno, non sanno che cosa li aspetta, sono completamente così, solitari nella loro angoscia e nel loro dolore.

Sia dunque un sentimento di confidenza, di grande confidenza, sia un sentimento di tenera confidenza che ci pervade tutti e ci prepara prossimamente al Natale. Dobbiamo accogliere Gesù con confidenza, cioè come il Salvatore, come colui che prende tutta la nostra vita e la rende degna di essere vissuta e la rende degna di essere osservata anche nel sacrificio, perché il Signore ci vuole bene e in questo suo amore trasfigura anche le nostre più piccole cose. Quando un cristiano prega, è Gesù che prega in lui; quando un cristiano soffre, è Gesù che soffre in lui. Ha un valore dunque la preghiera, ha un valore la sofferenza, ha un valore il lavoro, tutto ha valore, purché fatto nel suo nome e nel suo nome vorremo fare tutto, e per suo amore vorremo fare tutto nella maniera migliore.

don Pietro Margini, Omelia 21/12/1985

Mic 5, 1-4; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,39-45
 
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Parola del Signore.

Le parole della Beata Vergine Maria sono le parole che dobbiamo prendere sulle nostre labbra, anche se indegne. Dobbiamo prepararci al Natale con sentimenti di profonda riconoscenza e di profondo amore. Sono le parole dell’umiltà, sono le parole dell’amore, sono le parole dello stupore di chi ha ricevuto così tanto.

Nel Natale noi riceviamo il Figlio stesso di Dio, il Figlio di Dio meravigliosamente fatto vicino a noi, il Figlio di Dio che viene per sanare le nostre ferite e guarire le nostre malattie.

Il sentimento della riconoscenza è un sentimento che ci deve penetrare fino in fondo, il sentimento di ogni cristiano cosciente. Se uno crede, se uno ha il dono di Dio di credere e sa che dall’alto dei cieli è venuto sulla terra un bambino ed è il Figlio stesso dell’Altissimo, di quanta riconoscenza si deve riempire il cuore e deve restare in un grande stupore.

Ecco la preparazione al Natale: riempire il nostro cuore di amore e di riconoscenza per valutare il dono grandissimo, incredibile che ci ha fatto l’Onnipotente, quando ha dato a noi peccatori il suo Unigenito, ha dato a noi peccatori la possibilità di diventare figli di Dio, ha dato a noi peccatori la possibilità di penetrare nei cieli e di avere la vita eterna.

Il mistero dell’Incarnazione va accolto con tanta riconoscenza e stupore: questi sentimenti devono essere così fissi nel nostro cuore da intonare tutto il resto. La riconoscenza: il Signore per noi scende dal cielo, ecco, è vicino alle nostre anime, ci vuole portare la salvezza, ci vuole portare la santità, ci vuole portare tutti i beni uniti alla pace della coscienza e alla tranquillità dello spirito.

Apriamo il nostro cuore: il Signore è vicino, grida la Liturgia, il Signore è vicino. Dobbiamo ripeterlo anche a noi stessi per scuoterci dalla nostra indifferenza, dal nostro torpore, dalla nostra inquietudine. Dobbiamo abbandonarci al Signore con piena fiducia, perché è proprio lui l’Onnipotente, è proprio lui il Signore dei signori, è proprio lui che ci è vicino ed è tutto nostro, tutto nostro.

Ecco le parole del Magnificat: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”. Sentiamola questa vera salvezza: nessuno ci dà la vera salvezza, nessuno, ce la dà solo Gesù, nessuno ci dà la pace, ce la dà solo Gesù, nessuno ci dà la speranza dell’eternità, ce la dà solo Gesù.

Resti allora il nostro cuore pieno di tenerezza, pieno di affetto, pieno di profonda riconoscenza: tutto per lui, perché lui è tutto per noi.

Ecco la nostra decisione che dobbiamo preparare per il Natale. Tutti dobbiamo consegnarci a lui e ognuno deve dire “tutto il mio cuore è per lui, tutto, senza oscillazioni e senza paure, senza egoismi e senza forzature”. Gesù è tutto per noi: consegniamoci totalmente a lui, totalmente.

La riconoscenza dà luogo al dono più totale di noi stessi, sapendo ripetere quello che ha detto la Vergine santa, “Avvenga di me quello che hai detto, sono la serva del Signore”, in un completo dono, in una completa generosità, in una completa a totale consegna dei nostri valori, del nostro cuore, del nostro tempo, delle nostre energie.

Tutto per Dio, sempre per Dio: Dio è il primo e va servito con tanto amore e con tanta forza.

Il Signore ci insegna che essendo venuto a noi non possiamo più parteggiare tra lui e le cose, ma dobbiamo consegnarci totalmente alla sua carità.

Resti così il nostro proposito, resti così ripetendo le parole della Madonna: “L’anima mia magnifica il Signore”. Sì, diciamo cose grandi del Signore, diciamo cose mirabili e non arriveremo mai a dire nemmeno la più piccola parte di quello che si merita.

Doniamoci tutti al Signore e il Signore farà della nostra vita una sua gloria, un bene per gli altri, una gioia per noi stessi.

don Pietro Margini, Omelia 22/12/1985

Ml 3, 1-4. 23-24; Lc 1, 57-66

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,57-66

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Parola del Signore.

Siamo all’ultimo giorno della Novena, il Natale sta per arrivare. Che cosa possiamo mettere nel nostro cuore per andare anche noi a Betlemme? Se tutti esaltavano la misericordia del Signore per la nascita di Giovanni che era l’annuncio, che cosa sarà per chi crede veramente che il Signore viene ancora? Sì, viene davvero, non è una nostra immaginazione. Il memoriale della nascita di Gesù ci porta la grazia della nascita, ci porta una grazia efficace, una grazia forte e vera.

Sì, dobbiamo riempire il nostro cuore dell’unico sentimento che Gesù vuole da noi: il sentimento dell’amore, di una riconoscenza infinita, perché il Signore viene a noi, a noi peccatori, a noi miseri, a noi che tante volte siamo fuggiti da Lui. Viene a comunicarci la sua grazia, che è grazia di Redenzione, è grazia perché con Lui ricominciamo la nostra vita. Bisogna ricominciare la vita, perché troppo tempo abbiamo sciupato, troppo tempo abbiamo lasciato cadere la misericordia del Signore, troppo tempo perduto. Abbiamo bisogno di cominciare a nascere, a nascere alla vera vita spirituale, a nascere a qualche cosa di potente e di nuovo che ci dona il Signore.

Ecco Gesù viene, viene così come è Lui: viene col suo Spirito, viene con la sua potenza, viene con le sue virtù. Viene a noi, membra del suo Corpo Mistico, viene a noi perché noi viviamo di Lui, perché noi viviamo come Lui, perché noi camminiamo nella sua via, perché noi superiamo noi stessi. Ecco perché non possiamo avere una vita scialba, una vita egoistica, una vita soffocata dalle preoccupazioni materiali di ogni giorno. Non possiamo! Abbiamo bisogno d’intendere come sia vero che un cristiano deve diventare un altro Cristo.

Bisogna che cominciamo ad apprezzare le cose che Lui ha apprezzato e rifiutare le cose che Lui ha rifiutato. Abbiamo bisogno di diventare buoni, abbiamo bisogno di diventare generosi, abbiamo bisogno che ogni giorno segni per noi un progresso, sì, un vero, grande progresso. La vita spirituale è vita che cresce, vita che s’afferma: il movimento dello spirito si chiama fervore e questo fervore dobbiamo suscitarlo in noi. Allora capiamo che il Natale non è grande per le sue manifestazioni esterne, ma è grande perché ci comunica la vita di Gesù, che noi dobbiamo ricevere come il più prezioso tesoro e fare che fruttifichi in noi. Che noi possiamo dire: – Signore, ti seguiamo con più fede, con più coraggio, con più perseveranza. Soprattutto, Signore, noi ti diamo il nostro cuore. Tu vuoi il nostro amore, noi te lo diamo tutto, un amore vero.

“Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Gv 14, 15), ecco, sono sue parole che dobbiamo umilmente e generosamente tradurre e applicare.

don Pietro Margini, Omelia 23/12/1982

Is 9, 1-3.5-6; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,1-14

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Parola del Signore.

“Vi annuncio una grande gioia” (Lc 2, 10): questa parola dell’Angelo non si è perduta in quella notte, è risuonata di secolo in secolo fino a noi. E’ la gioia più vera, è la gioia più profonda, è la gioia di una certezza e di una speranza. Di una certezza: Dio infinito, il Creatore del cielo e della terra, non è assente, non è chiuso nella sua felicità, nel suo silenzio, è presente in mezzo agli uomini, li ama, li ama e vuole dare il senso vero alla loro vita.

Per questo è venuto, si è vestito della nostra carne, della nostra fragilità, è diventato un piccolo bambino perché imparassimo che sempre non ci dobbiamo lasciare spaventare dalle cose dure della vita, dalle cose senza senso, dalle cose che non possono dare in se stesse alcuna spiegazione. Gesù è venuto perché il nostro dolore abbia il suo significato: Lui ha sofferto.

Gesù è venuto perché la nostra speranza sia allora completa: la speranza della giustizia, la speranza della pace, la speranza del vero amore tra gli uomini. E’ venuto per insegnarci che è meglio dare che ricevere, che è meglio spartire il proprio pane, che è meglio condividere con gli altri le situazioni penose e difficili, che tutti gli uomini debbono formare un’unica famiglia, che gli uomini non devono catalogarsi di una categoria che sottometta l’altro. Gli uomini si devono sentire tutti fratelli.

Il Signore Gesù è venuto a insegnarci che non ci dobbiamo affogare nelle cose materiali, che la materia non spiega, non può spiegare quello che è il destino degli uomini, che la materia non è ragione di speranza.

Il Signore è venuto ad insegnarci che tutti noi siamo chiamati ad essere figli di Dio, ad essere come Lui, perché Lui ha voluto essere il primo, il primogenito tra molti fratelli. Lui non è venuto per dominare, ma per servire, per dare la sua vita, per insegnare agli uomini che sempre devono sentirsi in gara per fare meglio e per fare di più, per non chiudersi nelle angustie di liti e di miserie, ma devono andare oltre: saper perdonare per saper vivere, saper aiutare per edificarsi.

Tutti gli uomini devono trovare in Gesù Signore così la loro speranza, la speranza loro di giustizia, la speranza loro di amore. Tutti in Cristo devono trovare la profonda pace del cuore, perché è questa che l’uomo cerca e cerca da tutte le parti: la pace, la tranquillità. E Cristo dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e affaticati, e io vi ristorerò, perché il mio giogo è leggero” (cfr. Mt 11, 28-29).

Andiamo da Cristo, diventiamo buoni nel suo insegnamento e nel suo esempio, diventiamo buoni. Questa è la notte della bontà: diventiamo buoni, vogliamoci bene in Cristo, dimentichiamo le nostre divisioni, dimentichiamo le nostre rivalse. Diamoci a Cristo, perché Cristo ci unisce. Il nostro egoismo ci dividerebbe, il nostro orgoglio scaverebbe dei fossati.

Andiamo da Lui: solo in Cristo troviamo la ragione della vita e dell’eternità, la ragione dell’amore e delle pene che dobbiamo necessariamente soffrire. Andiamo da Cristo!

Ci accolga così in questa notte perché, fatti veri cristiani, possiamo esultare con tutti gli uomini di buona volontà.

E l’ augurio, che volentieri ci scambiamo, abbia questo significato: il significato di invocazione, di invocazione da Dio perché Dio dia a tutti quello che è il meglio, quello che è il vero senso della vita, dia a tutti la grazia di vivere in Lui e in Lui di aprire il cuore a tutti.

don Pietro Margini, Omelia 24/12/1982

Is 52, 7-10; Eb 1, 1-6; Gv 1, 1-18

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18
 
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
 
Parola del Signore.

La nostra gioia è tutta in queste parole: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi abbiamo visto la sua gloria” (cfr. Gv 1, 14). Gesù è venuto ed è il Figlio di Dio che è venuto ed è venuto per insegnarci, per darci delle certezze, per darci un vero amore. E’ venuto, è venuto Dio! Che cosa spetta all’uomo? Di ascoltare e di fare ciò che suggerisce e comanda la Sapienza infinita. Ascoltare, ubbidire: è tutto qui il segreto. Quando l’uomo ascolta se stesso, quando ascolta gli altri uomini che parlano nel loro orgoglio e nel loro egoismo, l’uomo inganna totalmente se stesso. E lì non c’è speranza, non c’è speranza perché l’uomo non salva l’ uomo, perché l’organizzazione degli uomini non salva gli uomini. La salvezza viene da Dio. E tutto lo sforzo dell’uomo, che ha accettato la Rivelazione, è proprio qui: nel mettere in pratica, nel tradurre giorno per giorno questa Parola adorabile di Dio, questa indicazione di salvezza. Preoccupati, ansiosi, frastornati da mille cose della materia, noi dimentichiamo questa Parola che è venuta tra di noi, noi dimentichiamo di incentrare tutta la nostra attenzione nel Figlio di Dio fatto uomo. E allora non c’è pace, e allora non c’è amore, e allora gli uomini non sanno che più o meno intensamente sopraffarsi; gli uomini non sanno che inventare delle cose per usare violenza e per manomettere i diritti anche più elementari degli altri.

Lo ricordiamo con forza: solo in Gesù c’è la vita e la salvezza.

Il Santo Padre ha indetto l’Anno Santo, che comincerà il 25 marzo e terminerà con la Pasqua dell’anno 84, un anno per convogliare con forza tutti in questa figura adorabile, perché tutti diventino discepoli di Gesù, perché il mondo sappia che solo in Gesù si possono trovare le giuste spiegazioni, solo in Gesù, solo in Lui! L’umanità ha sbattuto da una parte e dall’altra nei pensieri più stolti, nelle esperienze più negative: ha bisogno di trovare il Signore.

Ecco, tutti noi: guardare di più a Gesù, sentire di più Gesù, diventare veramente suoi ascoltatori attenti ed esecutori fedeli. Guardare a Lui.

Quest’anno, che noi stiamo svolgendo, l’Anno Eucaristico, ci suggerisce man mano questa centralità di Cristo, perché Lui non è lontano da noi, Lui é nell’Eucaristia. “Questo e il mio corpo, questo è il mio sangue” (*Mt 26, 26-28): c’è Lui, c’è Lui con il suo amore, c’è Lui con la sua provvidenza, c’è Lui con la adorabile fedeltà.

Ecco, andiamo a Gesù. Tutto per migliorare. Dobbiamo far crescere la nostra vita spirituale, diventare più buoni, diventare più generosi, diventare più fedeli, non accontentarci di un cristianesimo formale ed esteriore, ma volere assimilare sempre di più Gesù, il suo insegnamento, il suo amore.

Riempiamoci il cuore dell’amore di Gesù e risolveremo i nostri problemi personali, familiari, i nostri problemi sociali.

In Gesù e con Gesù sia tutto il nostro cammino.

don Pietro Margini, Omelia 25/12/1982

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