Quaresima 2022 con don Pietro Margini

Adulti

La piccola comunità di famiglie “Magnificat” ha preparato un libretto, consultabile quotidianamente sul sito e scaricabile, grazie al quale saremo accompagnati giorno per giorno nel cammino verso la Pasqua dalle parole di don Pietro Margini. Il Movimento Familiaris Consortio ringrazia per questo sussidio e augura a tutte le piccole comunità una buona quaresima.

Mercoledì delle Ceneri

02/03/2022

Gl 2,12-18; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6. 16-18

Dal Vangelo secondo Matteo

Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

Il richiamo della parola di Dio è molto forte. Siamo invitati a d essere veri, perché come possiamo aprirci alla verità e all’amore di Dio in questa quaresima se non siamo sinceri, se non siamo onesti con noi stessi? È questa la prima esigenza, perché, dice Gesù, non abbiate delle simulazioni e non facciate le cose per essere ammirati. Guarda allora quello che sei veramente davanti a Dio, a quel Padre che vede nel segreto, a quel Padre che vuole la tua grandezza e la tua grandezza si può realizzare solo in un amore vero, in una generosa dedizione al servizio di Dio. Riconosci la tua fragilità. Riconosci la tua incoerenza. Riconosci quello che hai proposto e non hai fatto, quello che hai solo ostentato. Riconoscilo pensando proprio al momento in cui ti incontrerai con Lui, perché ognuno si incontrerà col Signore e sarà giudicato secondo le sue opere. Ognuno. Se ricordiamo la morte stasera, la ricordiamo proprio per questo, per vivere la vita, per viverla potentemente, per usare bene questo nostro tempo che fugge, fugge, fugge senza che noi abbiamo maturato l’esortazione di Gesù: fatevi dei tesori, dei tesori là dove nessuno può portarveli via, né il ladro, né la tignola che guasta. Impegnati allora per questo tesoro. “Un tesoro” l’ha chiamato Gesù. Un tesoro che possiamo davvero realizzare. Un tesoro che possiamo accumulare in questa ricerca della verità e della giustizia. Un tesoro che ognuno di noi vorrà in questa quaresima veramente aumentare, che vorrà in questa quaresima avere la gioia di accrescere. Oh, sì! Ma siamo decisi! Siamo decisi nei nostri propositi. Basta le parole! Basta la menzogna di certe parole. Basta, l’ipocrisia di certi propositi e di certe confessioni. Basta! Basta! La quaresima ci dice: di’ sul serio. Impegnati davvero. Il Signore ti sta a guardare. Impegnati davvero. Non lesinare nel tuo proposito di preghiera più raccolta, più viva, più continuata, nei tuoi propositi di penitenza vera. Fa’ che l’anima tua si purifichi e che la tua anima e anche il tuo corpo renda lode a Dio. La penitenza interessi sia la tua anima sia il tuo corpo. E ama la carità perché il Signore guarda quello che sappiamo realizzare nell’ubbidienza: ogniqualvolta fate qualche cosa anche al più piccolo, lo fate a me. Così domandiamo al Signore questa grazia: una grazia di fortezza, una grazia di umiltà, una grazia di perseveranza.

dPM, Omelia Mercoledì delle Ceneri, 12/02/1986

Giovedì dopo le Ceneri

03/03/2022

Dt 30,15-20; Lc 9,22-25

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».

Le parole del Signore sono molto chiare e possono sembrare dure, ma non c’è un’alternativa: sono le sue parole. “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso”. Bisogna capire che la vita è data per una conquista: la conquista dell’eternità. Questa vita non ha fine in se stessa. È per una meta. La vera meta cui tutti dobbiamo tendere: il Paradiso, l’eternità. Per cui chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Ma chi perderà la propria vita la salverà. Queste parole se non sono meditate rettamente spaventano. Ma bisogna capirle, bisogna capire che chi le dice è Gesù, è Gesù che ci ama. E nessuno ci ama come ci ama Gesù. Nessuno vuole il nostro vero bene come lo vuole Gesù. Queste parole perciò se sono prese dal suo labbro, se sono prese dal suo cuore, ci rincuorano e capiamo che la vera felicità anche in questa terra non sta nell’acconsentire alle nostre passioni, nel lusingare noi stessi, nel cercare un piacere sbagliato, non sta lì la vera felicità. Sta in un superamento di se stessi, in una vera mortificazione. Mortificazione è darsi una morte spirituale, cioè morire al peccato, morire alle cattive inclinazioni, ai desideri egoistici e sbagliati. Anche su questa terra la felicità è legata al superamento di se stessi. Accogliamo dunque l’invito di Gesù e vogliamo essere meno indulgenti verso noi stessi, meno accomodanti. Essere più forti nel saperci dirigere nel bene. Vincere tutte le oscillazioni che ci portano a fare un po’ bene e poi un po’ male e poi vivere così in un grigio che ci disonora. Il Signore non ha posto i mezzi termini. Ha detto che dobbiamo seguirlo e la sua sequela è così: è nel vincere le nostre cattive inclinazioni, nell’essere forti e consequenziali. Perciò promettiamo al Signore di sperare in Lui come ci ha suggerito il Salmo: beato chi spera nel Signore perché sarà come un albero piantato lungo i corsi d’acqua, che darà frutto. Ecco cosa dobbiamo desiderare: di dare frutto, di impegnarci con umiltà, ma con perseveranza, di essere proprio completamente a disposizione dell’amore di Dio che ci guida, dell’amore di Dio che ci vuole salvi, dell’amore di Dio che ci vuole nella piena nostra gioia, la gioia di chi sa di essere col Signore, di essere sempre nella sua meravigliosa Provvidenza.

dPM, Omelia Giovedì dopo le Ceneri, 13/02/1986

Venerdì dopo le Ceneri

04/03/2022

Is 58,1-9; Mt 9,14-15

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

La penitenza. Dobbiamo sentire la responsabilità di fare penitenza. Dobbiamo sentire che solo nella penitenza possiamo collaborare fino in fondo al Regno di Dio, perché il Regno di Dio trionfi in noi e trionfi nel mondo. La penitenza. Penitenza in cui dobbiamo coinvolgere sia la nostra anima, sia il nostro corpo. Sia la nostra anima: vi sono tante forme di digiuno, perché abbiamo l’anima troppo spesso ingombra di molte cose. Abbiamo un’anima piena di desideri strani, di fantasie pericolose, di pensieri di orgoglio ed ambizione e di risentimento e d’invidia. Fare digiunare l’anima da tutta questa che è solo una cattiva e disordinata cosa. Fare digiunare l’anima perché resti nella serenità e nella pace del Signore e corrisponda al piano di Dio. Perché, se digiuniamo da queste cose malsane, possiamo ascoltare meglio lo Spirito, perché lo Spirito dentro di noi è Spirito che ama e che parla. Le chiamiamo buone ispirazioni tante cose che lo Spirito Santo può far fiorire in noi in maniera mirabile. Può far fiorire in noi e noi possiamo essere guidati dalla preziosa guida di chi ha infuso nell’anima nostra fin dal Battesimo i suoi sette doni e vuole illuminarci, sorreggerci e guidarci. Digiuniamo da tutte le sciocchezze per avere tanta ricchezza di dono, per avere tanta preziosità di guida. E mortifichiamoci anche nel corpo. Perché il nostro corpo è troppe volte ribelle, e vuole essere il padrone dell’anima e vuole che l’anima si sottometta ai suoi cattivi desideri.

Far penitenza nel corpo perché senta che invece deve ubbidire all’anima, che invece deve essere il collaboratore dell’anima. Il nostro corpo non è da disprezzarsi, ma è da dominarsi. Bisogna che siamo padroni della nostra sensibilità, che facciamo adoperare tutti i doni che il Signore ci ha dato anche attraverso il nostro corpo. Fate penitenza, dice il Signore. Certo. Ci sono tanti modi di fare penitenza. Ognuno di noi scelga quello più proprio, quello che incide di più, quello che ci sgombra meglio il cammino e allora la penitenza non sarà una cosa penosa. Sarà un progressivo arricchimento, una grande forza di liberazione. Questo vogliamo chiedere al Signore perché, come abbiamo detto prima, il Signore gradisce il cuore penitente e noi dobbiamo dire: “Signore, lavami da tutte le mie colpe. Lavami perché collaboro, lavami perché voglio essere con te, voglio essere docile, voglio essere umile, voglio essere coerente”.

dPM, Omelia Venerdì dopo le Ceneri, 14/02/1986

Sabato dopo le Ceneri

05/03/2022

Is 58,9-14; Lc 5,27-32

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.

Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

Tutta la vita cristiana si risolve in un incontro. L’incontro con una persona divina che è Gesù. E in questo incontro sono sempre le stesse le parole che Gesù rivolge, quelle che ha rivolto a Levi; gli disse: “ Seguimi”. Perché un cristiano deve essere un altro Gesù Cristo. Non c’è per il cristiano un altro modello. Il cristiano non deve guardare nessuno. E non deve essere fedele guardando a nessuno altro che a Gesù. È Gesù il nostro maestro. È Gesù il nostro modello. È Gesù il nostro salvatore e il nostro sostegno. Che cosa vuol dire Gesù quando dice seguimi? Che dobbiamo proprio porci alla sua sequela in tutto. Che dobbiamo avere i suoi pensieri, che dobbiamo avere i suoi giudizi, che dobbiamo avere i suoi gusti, che le cose del mondo le dobbiamo considerare come le ha considerate lui. Lo spirito del cristiano è lo spirito di Gesù, è lo spirito delle beatitudini evangeliche. Dobbiamo certamente riflettere molto su queste beatitudini, proprio perché segnano quell’impostazione fondamentale per cui possiamo chiamarci suoi. Suoi nel termine pieno della parola. Troppi credono che l’essere cristiani si risolva in certi gesti, in certi riti, nel fare determinate cose esteriori. Ma è un inganno. Essere cristiani è partecipare di Cristo. Vivere di lui. È sentire come lui la nostra vita presente, la nostra vita futura, perché il Padre nel battesimo ci ha voluto chiamare suoi figli. Ha voluto che ognuno di noi potesse, nella gioia della grazia santificante, avere la possibilità di camminare nella vita soprannaturale, avesse la possibilità di avere il proprio cuore come il cuore di Gesù, quando sulla Croce è avvenuto il miracolo: il soldato che trafisse Gesù nel cuore e ne uscì sangue ed acqua, quello fu un torrente. Un torrente meraviglioso che ha inondato il mondo perché noi, perché ogni cristiano fosse come Gesù, col suo cuore, con la sua apertura, con la sua generosità, con la sua carità, perché sapessimo disprezzare quelli che il mondo ipocritamente chiama valori e sono solo cose da disprezzare e da buttare via. Siamo come Gesù. Impegniamoci come Gesù. Allora faremo proprio come Levi: dopo la chiamata, la gioia; dopo la chiamata, l’esultanza, l’esultanza in noi stessi, l’esultanza nella santa Chiesa di Dio.

dPM, Omelia Sabato dopo le Ceneri, 15/02/1986

I Domenica Tempo Quaresima – Anno C

06/03/2022

Dt 26, 4-10; Rm 10, 8-13; Lc 4, 1-13.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Meditiamo sulle tentazioni di Gesù. Meditare sulle tentazioni di Gesù è meditare sulle tentazioni nostre. Il Signore Gesù ha permesso di essere tentato per quaranta giorni di penitenza: “Non mangiò”; quaranta giorni di preghiera. Gesù permette la tentazione perché merita per tutti noi, vincendo, il superamento delle nostre tentazioni.

Il Signore ci avverte che tutti subiscono tentazioni, che non è premiato se non chi supera la prova, che non ci dobbiamo meravigliare delle tentazioni, che non dobbiamo essere facilmente sorpresi perché ognuno ha le sue tentazioni. Devi scoprire queste tentazioni, devi capire fin in fondo che sono tentazioni perché il demonio cerca di camuffare le sue tentazioni con dello cose buone. Porta a Gesù le parole della Scrittura Sembrano tentazioni veramente sigillate da una forma di bene. Le tentazioni più insidiose sono proprio queste, sotto protesto di bene, sotto pretesto di libertà sotto pretesto di affermazione della propria personalità, sotto pretesto di. una maturità che ci permette di affrontare tante cose. Com’è facile cadere nelle tentazioni! Com’è facile confondersi! Com’è facile lasciarsi prendere da un ottimismo che è semplicemente un inganno! Dobbiamo vedere le nostre tentazioni come tentazioni che tentano di rovinare il Piano di Dio, di sciupare quello che il Signore ha fatto in noi. Noi dobbiamo ricordare che nella vita non dobbiamo fare che una cosa, fare la Volontà di Dio. Chiedere al Signore di poterla fare come in Cielo, in tutta la perfezione, in tutta la generosità, in tutto l’amore possibile. Troppe volte la tentazione ci porta al compromesso, a voler accontentarci di qualche cosa. Allora la vita cristiana schietta, forte, totale, viene chiamata esagerazione, viene chiamata fanatismo, viene chiamata cocciutaggine. La vera vita cristiana è un’obbedienza. Un’obbedienza a Dio che si esprime attraverso il nostro dovere quotidiano, attraverso la carità, attraverso l’umiltà; che si esprime attraverso l’ascolto dello Spirito Santo che dobbiamo faro nella preghiera. Vivere con esattezza di obbedienza è la via sicura, è la via che ci porta al trionfo com’è stato il trionfo di Gesù. L’obbedienza alla volontà di Dio umile e serena; quell’obbedienza che il Signore ci domanda ogni giorno nel saper sopportare le avversità, nel saper servire nella carità, nell’impegnarsi nella solidarietà con la Chiesa perché è alla Chiesa che il Signore ha affidato la conduzione del suo Regno. Alla Chiesa ci dobbiamo rivolgere e nella Chiesa costruire la nostra fede, con una generosità e un impegno veramente totali. Promettiamo al Signore di pensare a quali sono adesso le tentazioni che il diavolo svolge per noi, di scoprire queste tentazioni e di volere combatterle fin in fondo per la gloria di Dio, per il bene della nostra anima.

dPM, Omelia I Domenica Tempo Quaresima – Anno C, 16/02/1986

Lunedì I settimana Tempo Quaresima

07/03/2022

Lv 19,1-2. 11-18; Mt 25,31-46

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Il Signore è Padre nostro, è padre di tutti gli uomini e vuole la salvezza di tutti. Non è possibile che Dio allontani da Lui gli uomini che ha creato. Li vuole vicino a Lui e vuole che noi siamo ben solidali tra di noi, di una solidarietà fatta proprio di spirito soprannaturale. Noi siamo Sue creature e siamo Suoi figli. Dobbiamo guardare negli altri la Sua immagine. Noi dobbiamo vedere in ognuno il Signore Gesù. Ecco è qui che dobbiamo riflettere, perché il nostro egoismo e il nostro orgoglio ci danno delle immagini deformate. Negli altri uomini noi dobbiamo vedere Gesù, Gesù particolarmente nei fratelli che sono bisognosi e nell’affamato dobbiamo vedere Gesù che ha fame e nell’assetato Gesù che ha sete.

Ecco quindi che dobbiamo alzare gli occhi e vedere al di là delle apparenze, vedere che gli uomini ci rappresentano Dio creatore e ci rappresentano Gesù redentore, perché per ogni uomo Lui ha dato il Suo sangue. Ogni anima costa il sangue del Signore, ogni anima, quindi, è preziosa. Per ogni anima noi dobbiamo fare tutto quello che sta in noi: ogni anima dobbiamo saperla onorare come onoriamo Gesù, servirla come serviremmo Gesù.

Dobbiamo allora vedere che il tempo di quaresima sarebbe veramente rovinato, se lo limitassimo a degli atti di devozione. Insieme agli atti di devozione, dobbiamo fare tanta bontà, tanta carità, tanto dono. Dobbiamo effonderci verso gli altri perché è in questo che testimoniamo il nostro vero amore al Signore.

Guardiamo allora se la nostra bontà ha le caratteristiche dovute, la nostra carità deve essere soprannaturale. Non dobbiamo vedere solo l’apparenza, dobbiamo vedere la realtà profonda e in ogni anima la realtà profonda è la presenza del Signore Gesù.

La nostra carità deve essere generosa, non si deve limitare a dei gesti, così, esteriori, quasi per liberarci da un peso. Bisogna che la carità sia veramente autentica, cerchi il vero bene.

La nostra carità deve essere, ancora, pronta, perché la prontezza denota vivacità di amore, deve essere totale, perché deve andare incontro a tutti i bisogni del nostro prossimo che possiamo sollevare.

La nostra carità dev’essere lieta, perché servendo il Signore facciamo la cosa più bella e più utile: quella che ci porterà il favore del giudizio e la vita eterna.

La nostra carità deve essere paziente perché deve considerare il prossimo nella sua vera identità. Deve essere una carità che serve, non pretendendo nessuna mercede terrena. Una carità disinteressata che si effonde secondo il precetto evangelico: non fare del bene a chi ti è riconoscente, perché la tua ricompensa te la devi aspettare dal Padre celeste.

Riempirci di carità. Sentire che la vera paternità di Dio noi la dobbiamo riconoscere in questo amore che Dio ha per tutti gli uomini. Ogni giorno maggiore carità, maggior umiltà, maggiore pazienza, cominciando all’interno della famiglia, a tutti quelli che avviciniamo. Carità. Molta carità, molta pazienza, molta benignità, perché così, veramente faremo l’opera principale della quaresima che è questa solidarietà, è questa generosità verso gli altri, che gradisce tanto il cuore di Gesù.

dPM, Omelia Lunedì I settimana Tempo Quaresima, 21/02/1983

Martedì I settimana Tempo Quaresima

08/03/2022

Is 55,10-11; Mt 6,7-15

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

e rimetti a noi i nostri debiti

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

e non abbandonarci alla tentazione,

ma liberaci dal male.

Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

A pensare a quello che ci ha insegnato Gesù il nostro animo si commuove, si commuove per la dignità che abbiamo e per la tenerezza di cui siamo oggetto. “Voi dunque pregate così: Padre nostro”. Ecco che Gesù ci insegna che Dio è nostro Padre. Proprio Lui Gesù, il Figlio del Padre dall’eternità, proprio Lui Gesù, che conosce il cuore del Padre, che conosce la potenza del Padre, proprio Lui ci insegna a dire “Padre”. Ed è tutta la nostra preghiera, ed è tutta la nostra gioia, ed è tutta la nostra ammirazione. Sì, Dio ci è Padre. E come un figlio dobbiamo andare da Lui tutti noi insieme, perché ci ha insegnato a dire “Padre nostro”. Di tutti. Il battesimo ci ha dato tanta ricchezza, tanta magnificenza di ricchezza. Dio è nostro Padre. Quale onore! Perché Dio è l’Assoluto, è il Signore del cielo e della terra, è il principio e il termine di tutto. È nostro Padre. Quale ammirazione allora per tanta bontà. Quale generoso proposito di non disubbidirgli mai. Venga il tuo Regno. Sia fatta la tua volontà. Quanto amore! Gesù ci ha partecipato questa grazia perché ce l’ha comprata con tutta la sua sofferenza, la sua Passione, la sua Morte, la sua Resurrezione. Gesù ci ha fatto questo dono magnifico. Il Padre ha accolto la mediazione di Gesù e ci ha fatto suoi. Siamo suoi nel senso più completo della parola. Siamo suoi come creature, siamo suoi come figli e ci possiede nell’amore e nella provvidenza e nella tenerezza e nell’abbondanza della partecipazione delle sue ricchezze. Quale forza ci dà questa parola! Riformare la nostra preghiera vuol dire allora sentire la paternità di Dio, sentirla come la grande realtà, come la nostra vera ricchezza. Sentire la paternità di Dio e porre in questa paternità tutta la nostra confidenza, tutta la nostra speranza, tutta la nostra sicurezza. Ripetiamola spesso questa parola: “Padre mio, Padre nostro. Voglio essere un tuo figlio degno e generoso. Non voglio mai buttare via la mia dignità, non voglio mai perdermi in cose indegne. Fa’ che ami tutti i miei amici, tutti gli uomini diventano miei amici, perché tu sei il Padre di tutti. Voglio santificare il mio battesimo vivendo con pienezza questa dignità”. Chi spera nel Signore non resta mai confuso, perché è il Padre misericordioso, è il Padre infinitamente buono e infinitamente amabile.

dPM, Omelia Martedì I settimana Tempo Quaresima, 18/02/1986

Mercoledì I settimana Tempo Quaresima

09/03/2022

Gio 3,1-10; Lc 11,29-32

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:

«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

Anche noi siamo responsabili, perché anche a noi sono dati dei segni. Dei segni vuol dire: delle indicazioni, delle indicazioni evidenti dell’amore col quale il Signore ci usa misericordia. Noi troppe volte non guardiamo ai segni, guardiamo alle cose del mondo, guardiamo alle cose che sensibilmente ci toccano ed è facile che ci lamentiamo di Dio e della sua provvidenza. Anche per noi il segno di Giona è il segno più grande. Qual è il segno di Giona? È il mistero pasquale di Gesù. Gesù dopo essere morto rimase nel sepolcro tre giorni poi risuscitò, come il profeta Giona rimase tre giorni nel ventre del pesce e poi fu ributtato sulla riva. Il segno è proprio lì. Noi dobbiamo guardare a Gesù crocefisso perché è in Gesù crocefisso l’eloquenza del suo amore, la dimostrazione del suo amore. Noi in ogni messa abbiamo una rinnovazione del mistero Pasquale e noi troppe volte siamo indifferenti e freddi, siamo assenti e stiamo a vedere la messa, ma non partecipiamo alla messa. Se alziamo gli occhi vediamo il Crocefisso e il Crocefisso è un libro che dobbiamo leggere. Il Crocefisso. Vediamo la raffigurazione di Gesù che per noi ha subito tanto tormento, tanta angoscia che è morto di dolore e di amore e restiamo distratti. Guardiamo il Crocefisso come guardiamo un oggetto qualsiasi, guardiamo il Crocefisso e il nostro cuore non si mette a palpitare più forte, con più spinta. Noi guardiamo come a una cosa lontana che non ci interessa. Guardiamo il Crocefisso, siamo alla messa, ma purtroppo non si sviluppa il nostro senso di responsabilità, la nostra vera responsabilità di salvati e di quelli che dovrebbero essere salvatori. Durante la Quaresima è molto più urgente meditare sulla Passione di Gesù, renderci più familiari con la Passione di Gesù. Partecipare alla messa pensando alla Passione di Gesù. Tutto ce lo ricorda nella messa: dai segni di croce alla frazione del pane, alla presenza di Gesù sotto le specie del pane e sotto le specie del vino. Perché allora non pensiamo e ringraziamo e amiamo e ci impegniamo? Perché? La messa diventa una cosa molto, molto povera per noi, perché non ci mettiamo l’amore al Crocefisso, perché non stiamo uniti nella messa alla Passione di Gesù, perché non pensiamo di essere con la Madonna, con san Giovanni apostolo, con santa Maria Maddalena sotto la croce. Cade il sangue di Gesù, cade per noi e noi non ne facciamo caso. Proponiamoci una intensificata meditazione sulla Passione di Gesù. Guardiamo alle sue piaghe, guardiamo ai colpi che ha ricevuto, alla sua agonia, guardiamo alla sua testa coronata di spine e diciamo: “Signore, io voglio partecipare, voglio essere vicino a te. Non voglio rinnovare la tua Passione con i miei peccati”. Sempre più con fortezza e sempre di più con perseveranza procedere in questo esercizio di fede.

dPM, Omelia Mercoledì I settimana Tempo Quaresima, 19/02/1986

Giovedì I settimana Tempo Quaresima

10/03/2022

Est 14,1. 3-5. 12-14; Mt 7,7-12

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Questa è una pagina di Vangelo che ci apre a tanta confidenza. Il Signore ci assicura. Ci dice che il Padre nostro ci ama e dà cose buone ai suoi figli. Guarda a noi e con la sua infinita sapienza, che è guidata così dal suo amore, il Signore ci ama e sa quello che ci deve dare. Dobbiamo capire bene questa cosa perché la tentazione del lamento è una tentazione molto forte e molto frequente. Ci lamentiamo di non essere esauditi, ci lamentiamo delle cose che ci succedono e vorremmo guidare noi la Provvidenza di Dio. Diciamo con facilità: perché il Signore fa questo? Perché permette quest’altro? Mi ha forse dimenticato Dio? O non sono vere le parole che chi cerca trova e a chi bussa è aperto? La prima condizione è proprio qui: avere tanta stima di Lui, tanta stima della sua bontà e della sua potenza da lasciarlo fare. Il Signore lo sottolinea: voi che siete cattivi sapete cosa dare ai vostri figli. Il bambino che non sa può strillare, ma la mamma che gli vuol bene non gli dà una cosa che gli fa male. Anche se piacerebbe tanto. Non gliela dà. È così molto di più per la mirabile presenza del Signore nella nostra vita. Il Signore dirige tutto, ci guida con il suo Santo Spirito. Il Signore dà a ciascuno ciò che veramente gli serve. Che gli serve non così nella fugacità delle cose che passano, ma che gli serve per la realtà magnifica cui deve arrivare. Noi siamo fatti per la vita eterna, noi siamo fatti per un eterno gaudio. Passano le cose. Le cose di questo mondo tramontano molto alla svelta. Le cose di questo mondo sono proprio assolutamente trascurabili. Vale ciò che ci porta nel seno beato della Trinità. Abbiamo dunque sempre fiducia. Non cerchiamo che Dio faccia la nostra volontà. Cerchiamo noi di fare la sua volontà e di essere contenti di questa volontà. Abbracciamo anche ciò che è difficile e duro, sapendo che il Signore è meraviglioso e non ci lascia mai senza il suo aiuto, senza il suo sostegno. È vicino a noi, è vicino con tanta tenerezza e con tanta premura. Ripetiamo a lui la nostra fede, la nostra confidenza, il nostro desiderio di potere, con il suo aiuto, meritarci la vita eterna.

dPM, Omelie Giovedì I settimana Tempo Quaresima, 20/02/1986

Venerdì I settimana Tempo Quaresima

11/03/2022

Ez 18,21-28; Mt 5,20-26

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

La Parola di Dio ci invita a riflettere nel concreto della nostra carità, del nostro amore al prossimo, della nostra comprensione per chi vive vicino a noi. Il Signore ci indica una strada molto forte, una strada per la quale solo la sua grazia può renderci capaci e perseveranti. Perché questo amore concreto non è facile. Siamo presi dall’impazienza e le nostre esigenze noi sentiamo vive, noi sentiamo impellenti nella nostra vita. Non è facile e il Signore ci dice di essere sempre pazienti, che la nostra pazienza deve sapersi investire dei problemi degli altri, degli stati d’animo degli altri, delle difficoltà degli altri. Perché troppe volte vediamo le cose solo dal nostro punto di vista e le cose viste così ci spingono ad essere poco generosi e poco comprensivi. La pazienza, il Signore ce la comanda perché è proprio nella pazienza che riusciamo a dare quello che noi dobbiamo dare anche in isconto dei nostri peccati. Solo con la pazienza riusciamo ad essere umili, solo con la pazienza riusciamo ad essere sereni e a non rendere certe ore troppo pesanti e troppo cariche di vere prove e di vere difficoltà. Bisogna che noi leghiamo molto la pazienza all’altare. Lo dice Gesù: se presenti la tua offerta sull’altare. Cioè la nostra bontà ci deve essere sempre perché legata al Signore, perché pensiamo che il Signore deve avere molta pazienza con noi, perché dobbiamo pensare che il Signore ci ha perdonato tante e tante volte, perché abbiamo ancora bisogno di essere perdonati. E torna l’insegnamento di Gesù: rimetti a noi i nostri debiti alla stessa maniera che noi li rimettiamo ai nostri debitori. Fare della nostra pazienza un’offerta generosa all’altare, fare della nostra pazienza il modo per potere avere da Dio molte grazie ed essere perfettamente uniti con Lui. Sia quindi il nostro proposito di stasera un proposito vero. Come dicevamo nella antifona: formarsi un cuore nuovo e uno spirito nuovo, un cuore secondo Gesù, uno spirito secondo quella che è la grande profonda donazione che il Signore ci ha presentato. Come è stato paziente Lui esserlo noi. Come è stato Lui buono con tutti esserlo anche noi. Ce lo dobbiamo proporre e pensare sempre bene degli altri e non lasciarci travolgere dai nostri difetti.

dPM, Omelia Venerdì I settimana Tempo Quaresima, 21/02/1986

Sabato I Settimana Tempo Quaresima

12/03/2022

1Pt 5,1-4; Mt 16,13-19

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Celebriamo la festa della Cattedra di san Pietro. Celebriamo cioè come la Chiesa è una, è una nella unione con Pietro, nella unione che il Sommo Pontefice riesce a cementare e riesce per una grazia divina. Celebriamo la Chiesa e vogliamo sentire quanto sia a noi necessaria. La Chiesa è il Corpo di Cristo e la Chiesa è aperta verso tutti gli uomini. Non c’è un uomo che sia da essa respinto. Tutti trovano nella Chiesa il porto della salvezza. E la Chiesa, sempre perseguitata, sempre osteggiata, è la Chiesa che perdona sempre perché vuole seguire Gesù ed essere perfetta come il Padre celeste. Il perdono a tutti gli uomini. La bontà per tutti gli uomini. Perseguitata, ma sempre piena di carità, ma sempre piena di amore, ma sempre in pieno perdono. Vorrei che sentissimo come la nostra gloria è proprio qui, nell’appartenere alla Chiesa. Vorrei che sentissimo come il nostro dovere è proprio nell’essere figli degni della Chiesa, nell’aprire il nostro animo come vuole la Chiesa, come lei ci insegna, nell’aprirlo a tutti gli uomini e nel preoccuparci di tutti gli uomini. Anche di quelli che osteggiano la Chiesa e di quelli che hanno tradito la fede del loro battesimo. L’apertura del nostro cuore deve essere totale, deve essere in pienezza. Il nostro cammino verso la vera carità. Perché della carità, della bontà, della pace molti ne parlano, ma solo quelli che hanno il cuore posto nel Signore, ma solo i veri figli della Chiesa realizzano questa meraviglia di carità vera e soprannaturale. Perché il nostro amore non può essere solo un amore umano. Il nostro amore non può essere solo una solidarietà sul piano della comprensione tra gli uomini e del rifiuto di ogni delitto. La nostra carità deve essere la carità di Cristo. Una carità che quindi è ben superiore, è ben radicata, così come tutta la Scrittura insiste: amatevi nella carità di Cristo. E le altre parole di Gesù che dobbiamo sempre meditare: amatevi come io vi ho amato. Ecco dobbiamo crescere perciò in questa Quaresima nella vera carità. Carità fatta di pazienza, fatta di umiltà, carità fatta di intelligenza delle situazioni degli altri, delle difficoltà degli altri, carità che è perdono dei difetti, che è perdono delle ingiurie, che è perdono di tutto quello che in qualche maniera può averci umiliato e infastidito. Cresciamo nella carità come la Chiesa ci suggerisce e vuole. La Chiesa che ha sempre i suoi martiri e sempre è aperta a tutti, che sempre ha i suoi martiri e da quando Gesù l’ha fondata nessun periodo si è verificato senza persecuzioni. Abbiamo fiducia, abbiamo confidenza, abbiamo sicurezza nella parola di Gesù, sulla parola di Gesù: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano. Sono parole che la Chiesa ha dimostrato possibili e che noi dobbiamo fare intensamente nostre.

dPM, Omelia Sabato I Settimana Tempo Quaresima, 22/02/1986

II Domenica Tempo Quaresima – Anno C

13/03/2022

Gn 15, 5-12. 17-18; Fil 3, 17- 4, 1; Lc 9, 28-36.

Dal Vangelo secondo Luca

Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sè Pietro, Giovanni e Giacomo e sali sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini con versavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Ella». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Tutti i misteri di Gesù sono nostri. È per noi tutto quello che Lui ha fatto. Nella Trasfigurazione siamo chiamati a capire, a vivere il piano di Dio su di noi, un piano di amore. Anche noi dobbiamo fare il cammino di Gesù, un cammino ben preciso dal dolore alla gioia, dalla tristezza al gaudio. Noi trasfigurati dal Battesimo dobbiamo collaborare all’opera di Dio. Il Signore vuole che maturiamo in noi la virtù e l’opera di figli di Dio. Senza la nostra collaborazione non avviene, non può avvenire quello che Iddio si è proposto. Noi siamo e dobbiamo essere conformi all’immagine del Figlio Suo. È Gesù il nostro modello. E Gesù, in questo cuore della Quaresima, ancora una volta insiste perché accettiamo e vogliamo percorrere questo cammino; perché capiamo il valore del dolore, il valore dell’impegno, il valore dell’austerità quaresimale, perché possiamo giungere alla Resurrezione. Anche noi siamo chiamati a parlare con Gesù. Gesù parlava con Mosè ed. Elia della Sua Passione, della Sua partenza, dice, la Sua partenza che doveva avvenire in Gerusalemme: la partenza della Croce, la partenza dell’immolazione, la partenza per compiere la Redenzione. Anche con noi vuole parlare di questo Suo Mistero Pasquale, che cioè non ci dobbiamo spaventare della lotta che dobbiamo fare per essere veramente e interamente suoi. La vita spirituale è un combattimento ma un combattimento che avrà l’esito così meravigliosamente grande da darai tanto coraggio. Come dice san Paolo: “La nostra patria è nei cieli e dal cielo aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo” (cfr Fil 3,20). Impegniamoci allora perché questa Quaresima sia veramente una Quaresima forte, una Quaresima decisa. Vinciamo le nostre ricorrenti debolezze, le nostre insistenti forme di difesa, quei difetti che sembrano particolarmente forti, radicati nella nostra anima da non riuscire a vincerli. Bisogna che combattiamo e abbiamo fiducia e aspettiamo l’aiuto del Signore e invochiamo questo aiuto del Signore! Non ci dobbiamo stancare, non ci dobbiamo avvilire, non dobbiamo essere così storditi da lasciare passare questi giorni, che sono definiti «giorni di salvezza» (2 Cor 6,2), perché il Signore ci dà particolari grazie. Ci impegniamo. Ci vogliamo impegnare. La nostra Trasfigurazione è con Gesù. La nostra Trasfigurazione è nella gloria, è nell’abbondanza della misericordia di Dio che si china su di noi e ci dà gioia in proporzione di quanto abbiamo sostenuto, di quanto ci siamo impegnati, di quanto abbiamo accettato la legge della fortezza, la legge del superamento, la legge dell’impegno anche duro. L’austerità della Quaresima dobbiamo saperla vedere, accettare; dobbiamo saperla praticare con molto slancio, con molta perseveranza. Diamo noi stessi a Dio e Dio compirà in noi la Sua misericordia. Il Padre ci ha detto che dobbiamo guardare a Gesù, che Gesù è il Suo Eletto, che è il Figlio per eccellenza. Per questo dobbiamo ascoltarlo, per questo dobbiamo seguire la Sua strada, per questo dobbiamo accettare il suo ritmo. Se Gesù ha sofferto, ha avuto tante tribolazioni, chi siamo noi che vogliamo un’esenzione? Che vogliamo diventare buoni senza faticare? Che vogliamo acquistare i meriti senza lottare? Che vogliamo essere sempre pigri, sempre indolenti, sempre attaccati ai nostri comodi e non ci decidiamo a vivere con slancio, con entusiasmo nell’umiltà della nostra giornata? Affidiamoci alla grazia dello Spirito Santo, ascoltiamo lo Spirito che parla in noi e ci indica un cammino forte, generoso ma il cammino che vince e trionfa.

dPM, Omelia II Domenica Tempo Quaresima – Anno C, 23/02/1986

Lunedì II Settimana Tempo Quaresima

14/03/2022

Dn 9,4-10; Lc 6,36-38

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Il Signore ci dà un comando, un vero comando: di essere misericordiosi come è misericordioso il Padre nostro. La misericordia non è una debolezza per cui ci lasciamo commuovere; non è una specie di interesse per cui vogliamo andare d’accordo con tutti. La misericordia che noi dobbiamo imitare è una perfezione meravigliosa di Dio. Dio, che è grande in ogni cosa, lo sentiamo particolarmente grande nella sua compassione per noi. Perché Egli ci capisce, perché Egli ci perdona, perché Egli ci aiuta. E dobbiamo perciò non avere timore. Dobbiamo andare da Lui in una grande sicurezza, la sicurezza meravigliosa che dice: sono certo che il Signore ha una comprensione di me, delle mie debolezze, delle mie energie, in un modo meraviglioso, in un modo che io non potrei neanche immaginare qualche cosa di simile. Perché il Signore ha una sapienza da Padre, da Padre che ci ha creato, che ci continua sempre a creare, che sa misurare il nostro sospiro e la nostra tristezza, la nostra gioia e la nostra sofferenza. Il Signore sa, il Signore interviene e ci ama. È modello nostro. La misericordia vuol dire non approfittare del debole, non approfittare del difetto dell’altro, non approfittare della incoerenza dell’altro, non approfittare degli sbagli dell’altro. Capirlo, aiutarlo, sostenerlo, prendere le sue buone qualità e valorizzarle, scusare i suoi difetti e, di cuore, perdonarli, e di cuore ignorarli. Vuol dire andare d’accordo con tutti quelli che trattano con noi per un senso grande di rispetto, il rispetto al figlio di Dio, il rispetto che si deve a Cristo che si identifica con ogni nostro fratello. Impegniamoci allora con molto sforzo di volontà, con molto impegno di intelligenza. Sforziamoci per essere buoni così. La quaresima di carità deve esplicarsi proprio così. Vuoi passare una quaresima che piace al Signore? Sii misericordioso. Sii misericordioso non in un momento di ottimismo e di stanchezza, ma sempre, sempre, sii molto comprensivo e pensa alla comprensione del Padre, pensa come la Madonna ha obbedito al comando di Gesù: hai modelli, seguili.

dPM, Omelia Lunedì II Settimana Tempo Quaresima, 24/02/1986

Martedì II Settimana Tempo Quaresima

15/03/2022

Is 1,10. 16-20; Mt 23,1-12

Dal Vangelo secondo Matteo

Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange;  amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

Il Signore ci prescrive l’umiltà perché l’umiltà è senso delle proporzioni, è amore alla verità. Chi è umile sa stare al suo posto. Sta al suo posto persuaso, perché l’umiltà è una convinzione. Sta al suo posto nè desidera un onore e una distinzione che non merita. Sa stare al suo posto e di conseguenza è un onesto perché,quando sogniamo una gloria che non ci spetta, non siamo onesti né verso Dio, né verso noi stessi, né verso il prossimo. I motivi dell’umiltà non sono delle ricerche contorte. È una constatazione, perché siamo creature e tutto quello che abbiamo è di Dio, è dono di Dio. È un dono che casomai abbiamo solo usato male, che casomai abbiamo sciupato in varie occasioni e in varie gradazioni. Siamo creature e abbiamo ricevuto da Dio dei doni di cui dobbiamo rendere conto. Dammi,è la parabola di Gesù, dammi conto della tua amministrazione. Ecco quindi che invece di inorgoglirci delle nostre qualità, gonfiarci delle nostre pretese posizioni, dobbiamo sentire quanto sarà duro il giudizio di Dio se siamo orgogliosi. Dammi conto della tua amministrazione. Abbiamo amministrato i doni di Dio con superficialità? Abbiamo amministrato i doni di Dio con noncuranza? Abbiamo amministrato i doni di Dio con stupidaggini? E poi il grande motivo di umiltà sono i nostri peccati. Noi sappiamo che basta un peccato mortale per meritare l’inferno. Anche se uno in vita sua ha fatto solo un peccato mortale è un tizzone preso via dall’inferno. C’è poco da inorgoglirsi. Un tizzone risparmiato al fuoco. Dobbiamo pensare che, se anche uno non ha mai commesso un peccato mortale, ci è andato vicino e solo per misericordia di Dio ne è stato liberato. Quanti motivi allora per essere generosi verso i nostri fratelli, per non volerci sovrapporre a loro, per non volere una lode sbagliata, per non volere una presa di posizione errata! Quanto dobbiamo ascoltare la parola di Gesù: quando sei insieme ai fratelli, anche a un banchetto, va’ all’ultimo posto e sii tale che imiti il Maestro divino, che ha lavato i piedi chino per terra! Esaminiamoci allora in questa quaresima, cerchiamo di proporzionare noi stessi, di metterci al nostro posto, di essere umili, pazienti e servizievoli.

dPM, Omelia Martedì II Settimana Tempo Quaresima, 25/02/1986

Mercoledì II Settimana Tempo Quaresima

16/03/2022

Ger 18,18-20; Mt 20,17-28

Dal Vangelo secondo Matteo

Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici e lungo la via disse loro: «Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio». Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

Il Signore ci insegna la vera socialità, quella socialità cristiana basata e fondata sull’amore, quella socialità cristiana che risolve tutti i problemi perché parte da Dio e termina in Dio. Chi vorrà diventare grande deve essere il servo. Colui che vuole essere il primo deve essere come uno schiavo. Cerchiamo di capire bene perché per il nostro orgoglio e per la nostra forma di egoismo è una lezione difficile, è una lezione che cerchiamo sempre di non imparare e abbiamo mille acrobazie per eluderla. Certo, ci vuole proprio lo spirito di servizio, non alcune cose poste a servizio, ma il vero spirito di servizio che vuol dire guardare a Dio, guardare al suo precetto, guardare all’esempio di Gesù. Gesù lo indica Lui stesso: bisogna che guardiamo intensamente a Lui perché è Dio venuto tra di noi, è il Figlio unico di Dio, meraviglioso nella sapienza, nella potenza, grande all’infinito. È Lui che, venuto tra gli uomini, si è fatto servo. Lui, il Figlio eterno, immagine sostanziale del Padre, Lui che serve. Cerchiamo di capire bene questa parola: servire. Noi rischiamo di svalorizzarla. Gesù parlava del servizio ed erano gli schiavi che lo facevano. E gli schiavi dovevano stare soggetti, non avevano delle opzioni proprie, non avevano dei diritti, non avevano delle evasioni. Appartenevano al loro padrone che ne faceva quello che voleva. Tutti i servizi, sempre in servizio. Non avevano ferie, non avevano permessi. Di diritto non avevano nulla. Gesù dice che dobbiamo essere in questo spirito. Uno spirito di servizio vuol dire una comprensione totale, vuol dire una umiltà piena, vuol dire un realizzare una soggezione quanto mai estesa. Ecco, questo spirito di servizio dobbiamo chiederlo perché è esigito dalla vera carità che ci ha insegnato Gesù. È esigito da una legge evangelica che troppi cristiani non hanno meditato e non hanno tradotto. Per questo che non sono stati di testimonianza. Gesù ha detto: Vi riconosceranno per miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri. Ecco capiamo perché dobbiamo eliminare tutto quello che in qualche maniera è mancanza di servizio cominciando dai giudizi duri, affrettati, andando alle mormorazioni, mettendo sempre prima il nostro comodo e poi gli altri, avendo tante pretese assurde. Impariamo da Gesù. Lasciamoci plasmare da Lui perché è la resurrezione di tutto. Questa carità piena e totale. Questa carità senza timore di esagerare, senza timore di essere troppo, non saremo mai troppo nella carità, imitando Gesù, lasciandosi plasmare da Lui, volendo avere i palpiti del suo cuore.

dPM, Omelia Mercoledì II Settimana Tempo Quaresima, 26/02/1986

Giovedì II Settimana Tempo Quaresima

17/03/2022

Ger 17,5,10; Lc 16,19-31

Dal Vangelo secondo Luca

C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

Che cos’è l’inferno? È l’assenza di Dio. Dio è tutto. Quando manca Lui manca ogni consolazione ed ogni pace. Lo dobbiamo pensare intensamente. Dio è assente, Dio rifiuta la sua meravigliosa donazione, perché creare è donare, rifiuta la sua meravigliosa creazione ed ecco l’inferno. La pena più grave dell’inferno è questa. Il peccato, lo sappiamo bene, è lasciare Dio e andare invece a scegliere una cosa qualsiasi. L’inferno è Dio che rende eterna questa scelta. Altro che le creature si ribelleranno anche loro, non vorranno stare sottoposte al peccato. Ed ecco l’assenza totale dell’inferno, l’assenza spaventosa e terribile. Quanto dobbiamo cercare di ubbidire a Dio! E di credere veramente con tutta l’anima che Lui è la nostra felicità, che fuori di Lui non c’è felicità, che fuori di Lui c’è solo inganno, c’è solo la beffa terribile che gioca la tentazione. Essere con Dio: questa è la nostra grande risoluzione. Essere con Dio. Gesù ha detto: Se uno ha sete venga a me e beva. Ecco Gesù che ci ha portato dal seno stesso della Trinità quest’acqua misteriosa e dissetante. È Gesù stesso che la dà ad ogni anima. In questa quaresima con quanto rinnovato ardore dobbiamo cercare il Signore Gesù. Beati coloro che custodiscono la Parola di Dio e portano frutto. Cercare Gesù. Cercare Gesù nella preghiera. Amare il colloquio con Lui. Cercare Gesù nell’Eucarestia dove c’è direttamente la fonte della vita. Cercare Gesù negli altri, particolarmente nei bisognosi. Cercarlo e certamente il nostro cuore si riempirà di molta pace. Cercare Gesù e temere di perderlo. Perché perderlo è il tormento dell’inferno. Tante anime cominciano l’inferno in questa terra, perché cercano una felicità che non possono trovare. Hanno abbandonato le fonti di acqua viva, dice il profeta, e si sono scavati delle cisterne dove c’è dell’acqua inquinata. Non lasciamoci ingannare dall’ attrattiva che ci presenta il mondo. Guardiamo che Gesù è tutto, Gesù è vita, Gesù è amore, Gesù è il nostro meraviglioso Salvatore perché dà senso a tutta la nostra esistenza, dà senso a tutti i nostri sentimenti offerti a Lui. Resti quindi il nostro proposito di un timore di Dio salutare, il timore di offenderlo, il timore di arrivare ad abbandonarlo, perché, ripeteremo con san Pietro:” Se ci allontaniamo da Te, o Signore, dove mai potremo andare? “

dPM, Omelia Giovedì II Settimana Tempo Quaresima, 27/02/1986

Venerdì II Settimana Tempo Quaresima

18/03/2022

Gn 37,3-4. 12-13. 17-28; Mt 21,33-43. 45

Dal Vangelo secondo Matteo

Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

È proprio da meditare, da meditare con profondità la parola di Gesù: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo.” La pietra è Lui, è Gesù. È la pietra sulla quale si deve costruire ogni esistenza umana. Perché altrimenti quell’esistenza fallisce, perché altrimenti non c’è sostitutivo che tenga. Gli uomini che non vogliono Gesù, che vogliono eliminare Dio dalla loro vita cercano disperatamente un sostitutivo, un’ideologia, una costruzione, un possesso di beni terreni. Sono solo delle squallide illusioni. Solo Dio può essere la base su cui costruire. Gesù che è la rivelazione del Padre, Gesù che è il Salvatore, di Lui abbiamo bisogno. E anche noi, proprio nella misura in cui lo

mettiamo a centro della nostra giornata, della nostra vita, in cui lo mettiamo principio e scopo del nostro esistere, in questa misura noi possiamo davvero avere una vita che vale. Senza Gesù la vita è una poverissima cosa. Il battezzato ha questa grande ricchezza. Il battezzato che ha ricevuto la grazia di Dio, il battezzato sa che tutte le sue opere possono essere veramente divine, avere un valore cioè trascendente, avere un valore per l’eternità. Il suo lottare, il suo lavorare, il suo soffrire: questo, questo ha valore quando è posto in Gesù. Questo ha valore. Perché il battezzato ha ricevuto la qualifica di figlio di Dio e

tutte le sue azioni sono nel nome del Signore Gesù, secondo le parole dell’Apostolo: Sia che mangiate, che beviate, che facciate qualsiasi altra cosa, tutto fatelo nel suo nome. Mettere Gesù al centro della vita, metterlo come scopo del nostro lavorare, del nostro agire, del nostro intervenire nelle cose: Gesù, sempre Gesù, in tutto Gesù. Gesù deve essere quello che dà senso al nostro sperare, Gesù è lui che nella sua meravigliosa e onnipotente bontà vive potentemente in noi e vuole che tutto sia così indirizzato all’eterno. Ciò che non è eterno non vale. Ricordiamolo sempre: non vale quello che passa, non vale quello che tramonta, vale solo ciò che è eterno. Ed è eterno e vale se è posto in Gesù, in Lui nostro re, nostro amico, nostro fratello. In Gesù, sempre in Gesù.

dPM, Omelia Venerdì II Settimana Tempo Quaresima, 28/02/1986

 

Sabato II Settimana Tempo Quaresima

19/03/2022

Mic 7,14-15. 18-20; Lc15,1-3. 11-32

Dal Vangelo secondo Luca

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»».

La parabola del figliuol prodigo non si può mai ascoltare senza commuoverci, pensando a quello che ci ha voluto dire Gesù. Gesù ci ha voluto invitare al ritorno, a non avere paura del ritorno perché Dio ci aspetta, Dio guarda se noi arriviamo, se noi ci decidiamo. Perché tutto il senso del ritorno sta qui: riconoscerci peccatori e detestare il peccato. Riconoscerci peccatori e non disperarci, ma confidare in una misericordia che è infinita, in una misericordia piena di tanta delicatezza e di tanta soavità. Ritornare a Dio è il cammino che dobbiamo fare perennemente e la Quaresima è il tempo più propizio. Ritornare a Dio vuol dire rifiutare i nostri difetti, rifiutare la pace che la tentazione ci vuole dare ingannandoci, perché non possiamo stare in pace senza lottare contro le nostre debolezze, contro la fumosità di certe nostre posizioni. È il fumo che ci ottenebra la vista, è il fumo del nostro orgoglio, del nostro egoismo che tenta di prenderci via la visione reale delle cose, la visione giusta, la visione di umiltà e di vero riconoscimento di ciò che i nostri difetti portano come conseguenza anche negli altri. Bisogna che noi ci guardiamo sempre nello specchio. In questo primo venerdì del mese lo meditiamo bene questo specchio per cui tante volte la Madonna l’abbiamo invocata come lo specchio della santità, speculum justitiae, lo specchio della santità. Dobbiamo guardarci nel cuore di Maria per vedere com’è che deve essere il nostro cuore, come deve essere la strada da percorrere per piacere a Dio. È nella Madonna che dobbiamo vedere quanto dobbiamo impegnarci per riparare il peccato, per riparare le conseguenze del peccato, le miserie del peccato, gli stravolgimenti del peccato in noi e attorno a noi. Lo spirito di riparazione che ci fa sentire come dobbiamo essere impegnati nella lotta per il Regno di Dio, nel combattimento spirituale. Dobbiamo perciò invocare dalla Madonna l’aiuto e la forza per essere più decisi, più pronti, per fare anche noi il nostro ritorno. Il nostro ritorno a casa per essere più buoni, per essere più generosi, per essere in quel fervore di preghiera, in quel fervore di spirito che ci assicura veramente di essere nella strada giusta, di essere secondo il Cuore di Gesù. Ci impegniamo, promettiamo, invochiamo.

dPM, Omelia Sabato II Settimana Tempo Quaresima, 01/03/1986

III Domenica Tempo Quaresima – Anno C

20/03/2022

Es 3, 1-8.13-15; 1 Cor 10, 1-6. 10-12; Lc 13, 1-9.

Dal Vangelo secondo Luca

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai».

Si parla insistentemente di conversione. Un nostro modo facile di fuggire è di pensare alla conversione degli altri, che gli altri ne hanno bisogno. Quando sentiamo parlare di urgenza di conversione, la tentazione è quella di pensare a certe persone che conosciamo e dire: “La capissero!”. Gesù rivolge queste parole proprio a noi. Gesù dice: “Cosa pensate? Che avessero bisogno di convertirsi più di tutti quelli sottoposti a disgrazia, i nobili? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesse modo”. Parlare di conversione è dunque parlare di un affare personale, che ognuno di noi ha, ed è parlare di una conversione comunitaria che interessa la nostra parrocchia. Dobbiamo sentire questa urgenza di pensare ai nostri fatti, di meditare sui nostri fatti. “Perirete tutti” ha detto Gesù. Non ci esentiamo. Sentiamo che il Signore vuole da noi perché ha dato in misura sovrabbondante, in misura che non riusciamo nemmeno un po’ a calcolare. Abbiamo bisogno di scuoterci e di vedere con precisione; ormai ci avviamo a metà Quaresima: guardare con precisione i punti da cambiare, guardare come cambiare, e deciderci. È la nostra preghiera che è manchevole? Bisogna riformarla nella sua quantità e nella sua qualità. È lo spirito soprannaturale di fede che troppo spesso ci viene meno? Dobbiamo ripetere la preghiera rivolta già a Gesù: “Signore io credo, ma accresci la mia fede” (Mc 9,24; Lc 17, 5). È la nostra partecipazione all’Eucaristica che è troppo esteriore e fallosa in quanto mettiamo poco amore nel momento in cui entriamo a contatto con il Cuore ardente di Gesù? È nella carità verso il nostro prossimo che abbiamo bisogno di rinnovare, di purificare, di rendere operante? È nell’umiltà dove l’orgoglio ci impedisce tanti e tanti frutti? È nell’umiltà che dobbiamo crescere? E così ripassiamo un po’ tutti i problemi della nostra spiritualità. Le nostre Confessioni: quanto dobbiamo esaminarci perché non siano degli atti di ipocrisia. Diciamo di essere pentiti o poi non lo siamo perché ripetiamo esattamente quello che abbiamo fatto prima e torniamo a confessarci e torniamo a ripetere. Che vergogna! Che vergogna dobbiamo avere di promettere al Signore, in un sacramento, una vera conversione che invece non si attua mai! Dobbiamo sentire il rimprovero che ci viene dal Signore. Il Signore ci presenta la sua Passione e quello che Lui ha così tribolato per darci. Ci presenta il suo esempio: spetta a noi saperlo cogliere, saper dire il nostro «sì», sapere finalmente fare quel passo che la misericordia del Signore urge. Altrimenti: “Taglialo, perché deve sfruttare il terreno?” (cfr. Lc 13, 7). Pensiamoci bene! Queste parole possono essere esattamente per noi. L’abuso della grazia di Dio è un grande peccato.

dPM, Omelia III Domenica Tempo Quaresima – Anno C, 02/03/1986

Lunedì III settimana Tempo Quaresima

21/03/2022

2Re 5,1-15; Lc 4,24-30

Dal Vangelo secondo Luca

Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

I Nazaretani non volevano credere. Non volevano riconoscere in Gesù il grande profeta, il messia atteso. L’avevano visto crescere tra di loro umile, silenzioso, in un atteggiamento di vita comune e la familiarità con Gesù impediva di vedere oltre. Stolti davvero! Nazaret avrebbe potuto diventare una città magnifica di fervore e di amore a Gesù. È su questo tema che dobbiamo meditare perché non ci succeda anche a noi e non ci succeda che abituati alla messa, abituati alla presenza del Signore, abituati a riceverlo nell’Eucarestia, la nostra abitudine si trasformi in indifferenza e in freddezza. Riceviamo la comunione così, senza che il nostro cuore senta, senza che il nostro cuore sappia palpitare di amore. Guai a noi che tendiamo a rendere le cose così povere e così vuote! La nostra devozione all’Eucarestia deve svilupparsi nella fede. È per fede che sappiamo che Gesù ripete nella messa il suo sacrificio. È nella fede che sappiamo che il pane eucaristico contiene il Corpo del Signore, che quelle specie nascondono un grande mistero, un grande mistero di dono, un grande mistero di amore. Questa sera è su questo tema che dobbiamo fare l’esame di coscienza perché ci dobbiamo veramente vergognare di ricevere Gesù, di assistere ai suoi misteri, di vederlo nel tabernacolo e di rimanere così assenti, così assenti nel termine completo della parola. Siamo presenti, ma la nostra attenzione è su altre cose, il nostro interesse non è proporzionato neanche minimamente a ciò che ci presenta la fede. Ravvivare perciò la nostra devozione eucaristica, renderla forte e vera e pregare incessantemente il Signore che ci doni la fede in modo grande, in modo forte, in modo travolgente. Noi che possiamo ricevere Gesù così frequentemente dobbiamo crescere, crescere molto, rendere ogni comunione un fatto nuovo, una cosa talmente mirabile a cui non ci si può abituare. Portiamo a Gesù Eucarestia il nostro dispiacere, il dispiacere di non averlo trattato come deve essere trattato, di non essere stati fervidi, di non essere stati generosi. E gli chiediamo misericordia, che ci perdoni questo nostro grande peccato e ci doni la grazia, d’ora innanzi, di essere molto sensibili al mistero eucaristico, di essere molto impegnati e molto forti.

dPM, Omelia Lunedì III settimana Tempo Quaresima, 03/03/1986

Martedì III Settimana Tempo Quaresima

22/03/2022

Dn 3-25. 34-43; Mt 18,21-35

Dal vangelo secondo Matteo

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

È una pagina di vangelo che ci deve far riflettere molto perché è una cosa, il perdono, raccomandata estremamente da Gesù. Nella preghiera che ci ha insegnato l’ha sottolineata: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Quel “come” dice tutto. Dice che siamo responsabili davanti al Signore in maniera molto grave perché nella preghiera diciamo di trattarci come noi trattiamo gli altri. Quanto spesso li trattiamo male! Quanto spesso cominciamo a pensar male di loro, a giudicarli severamente e a conservare nel cuore il risentimento! Basta che una volta ci abbiano offesi, basta che una volta in qualche maniera siano stati indelicati ed egoisti, ecco, noi diamo la condanna, diamo un giudizio irriformabile. Se abbiamo visto una volta un’ingiustizia, quell’ingiustizia è di sempre. Se abbiamo visto mancare in un altro difetto, quel difetto è di sempre. Perdonare vuol dire dimenticare. Perdonare vuol dire capire gli altri come desideriamo essere capiti noi, è restare nello spirito della misericordia di Dio. Quante volte il Signore ci perdona! Quante volte abbiamo confessato i nostri peccati e abbiamo ripetuto la confessione e il Signore sempre ci ha perdonato. Essere indulgenti non è quindi una cosa semplicemente da consigliare. È una cosa obbligatoria. Noi dobbiamo perdonare agli altri. Noi dobbiamo passar sopra ai difetti degli altri. Noi dobbiamo capire chi in un momento di ira o in un momento di stanchezza ha ripetuto una cosa che a noi è dispiaciuta. Dobbiamo essere veramente sensibili, fino in fondo sensibili, alle esigenze della grazia di Dio. “Così anche il mio Padre farà a ciascuno di voi”, ha detto Gesù, la prigione, la tortura, “se non perdonerete di cuore al vostro fratello”. Così, come è stato trattato il servo. È un peccato non perdonare, è un peccato che merita l’inferno. È un peccato non perdonare, è una offesa molto grande verso il Signore. Gesù con le braccia aperte, inchiodato a un palo, là, sulla Croce, non solo perdonava, pregava per i suoi crocifissori che sghignazzavano sotto la Croce e lo insultavano nel suo immenso dolore. Il Signore vuole che noi seguiamo una strada di bontà, la sua strada. Vuole che noi seguiamo una strada per cui siamo di buon esempio nel mondo. E in un mondo che dà la misura del suo allontanamento da Dio per tutte le ingiustizie e le cattiverie, tutte le orribili uccisioni, tutte le deformazioni, noi cristiani dobbiamo far risplendere la carità, la stessa, l’identica carità di Cristo.

dPM, Omelia Martedì III Settimana Tempo Quaresima, 04/03/1986

Mercoledì III Settimana Tempo Quaresima

23/03/2022

Dt 4,1. 5-9; Mt 5,17-19

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

“Non sono venuto ad abolire la legge, ma a dare compimento ”. Capiamo bene ciò che il Signore ci raccomanda. La nostra fede non è qualche cosa di astratto e di capriccioso. Alcuni credono di essere cristiani agendo col loro criterio labile e stolto. Essere di Gesù comporta osservare la legge, tutta la legge. Perché la legge viene da Dio e Dio è nostro Signore e padrone supremo, il nostro Creatore, ed è il legislatore che ci prescrive ciò che è necessario ed è bene per noi. I comandamenti di Dio vanno perciò osservati con molta fedeltà, con molta umiltà. Vanno osservati sempre, tutti i comandamenti. Non basta qualche comandamento. Trasgredire anche un precetto minimo, dice Gesù, ci rende minimi. Bisogna che capiamo bene questa vita di fede che si traduce in un ossequio di adorazione. Adoriamo Dio, ne riconosciamo la suprema grandezza, ne riconosciamo l’amore infinito. Se ci prescrive è proprio perché ci vuol bene e ci avverte dei pericoli e delle conseguenze deleterie che vengono dalla trasgressione. Bisogna che amiamo i comandamenti di Dio e che sui comandamenti di Dio misuriamo la nostra vera fede, misuriamo la nostra capacità di corrispondere. Dobbiamo amare i comandamenti di Dio, non osservarli come schiavi, non osservarli come quelli che li prendono come costrizioni antipatiche. In ogni comandamento c’è tutto l’amore di Dio. In ogni comandamento c’è quanto fa bene per noi. Amiamo i comandamenti! I comandamenti così come ci sono trasmessi dalla Sacra Scrittura, i comandamenti come ci sono spiegati dalla Chiesa, perché solo la Chiesa ce li può spiegare con autenticità, solo la Chiesa. Perché Gesù li ha dati in mano alla Chiesa. Non facciamoci una morale per nostro conto, che è uno sbaglio terribile. Non facciamoci secondo quello che crediamo noi, una morale del momento. I comandamenti di Dio sono di sempre. Non passerà la legge finchè non siano passati il cielo e la terra. La legge resta, resta come la strada che ci conduce, come la via sicura. Ecco esaminiamoci se li amiamo tutti i comandamenti di Dio, se i comandamenti di Dio sono la “luce ai nostri passi”, come dice il Salmo. Esaminiamoci soprattutto dove è il punto della tentazione del demonio. La quaresima è per renderci più consapevoli, più responsabili, più pronti all’osservanza di tutta la legge del Signore. Che sia benedetto da noi il Signore per la sua legge, ringraziamo il Signore che ci ha dato la Chiesa, e andiamo sempre serenamente perché in questa nostra serenità c’è la sicurezza, la sicurezza di camminare come vuole e come desidera il Signore.

dPM, Omelia Mercoledì III Settimana Tempo Quaresima, 05/031986

Giovedì III settimana Tempo Quaresima

24/03/2022

Ger 7,23-28; Lc 11,14-23

Dal Vangelo secondo Luca

Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: «È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo i loro pensieri, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano? Perciò essi stessi saranno i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino. Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde.

“Io scaccio i demoni con il dito di Dio ”. Gesù, il vittorioso. Ognuno di noi conosce la forza che ha il male, che ha la tentazione, una grande forza. Il male imperversa nel mondo, il male ha occupato tante anime che dovrebbero essere forti e libere. Il demonio agisce con astuzia e con costanza per allontanare le anime dal Signore. Le nostre tentazioni palesi o occulte sono molte. L’inganno è proprio di Satana. La suggestione tremenda che ha Satana. Il Signore permette l’imperversare e il crescere del male perché vuole che i suoi eletti arrivino a possedere il Regno di Dio attraverso molte tribolazioni. Non dobbiamo allora sgomentarci e tremare di fronte al male. Dobbiamo solo essere uniti a Gesù, perché Gesù ha voluto essere tentato per noi, ha voluto soffrire per noi, ha voluto che apparentemente avessero la vittoria su di lui e gridavano sotto la Croce: “Se sei il Figlio di Dio, discendi dalla croce e noi crederemo”. Gesù muore così come un fallito. Non discende dalla croce. Non fa alcun gesto per piegare l’orgoglio degli uomini posseduti da Satana. Gesù ha voluto così darci l’esempio di come comportarci di fronte alle tentazioni. Un atteggiamento di viva fiducia, di sicurezza, che ci è dato dal nostro stesso battesimo. Col battesimo siamo diventati membra di Cristo e, se abbiamo fiducia in lui, noi vinciamo come ha vinto Cristo. Non spaventarci, ma neppure sottovalutare le tentazioni. Umiltà, vigilanza, preghiera: quanto dobbiamo insistere! Chi non è vigilante, il Signore ce l’ha raccomandato tanto, cade come un bambino sciocco. Chi non sa confidare e usare la preghiera cade perché è orgoglioso. Dobbiamo vedere in faccia le nostre tentazioni e i nostri pericoli perché dobbiamo con molto realismo capire che è la strada per la nostra salvezza, per il trionfo del Signore in noi e nel mondo. Non temiamo. Ha detto Gesù: chi non è con me è contro di me. Badiamo bene a queste parole. Bisogna essere con lui altrimenti inesorabilmente si finisce contro. Dobbiamo raccogliere con lui: i sacrifici, le rinunce che la vita richiede, affrontiamoli con grande sicurezza. Il Signore ci sta vicino, il Signore si china su di noi e le sue sante mani ci custodiscono. Quelle mani che sono state inchiodate alla croce per nostro amore. Affidiamoci alla sua custodia, affidiamoci alla tenerezza del suo amore.

dPM, Omelia Giovedì III settimana Tempo Quaresima, 06/03/1986

Venerdì III Settimana Tempo Quaresima

25/03/2022

Os 14,2-10; Mc 12,28-34

Dal Vangelo secondo Marco

Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi». Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Un insegnamento che ci deve prendere, un insegnamento che ci deve dare l’entusiasmo. Che cosa c’è di più grande e di più onorifico che amare Dio ? Che cosa c’è di più bello, di più santo, di più onorifico se non amare il Signore? Amarlo perché è l’infinita grandezza, perché è l’infinita bontà, perché è l’infinita misericordia. Quanto dobbiamo essere contenti che in questo amore c’è tutta la legge! Se lo amiamo abbiamo fatto tutto. Se lo amiamo non abbiamo più bisogno di niente. L’amore di Dio deve essere perciò perseguito con tutte nostre energie. Bisogna che sentiamo questa che è la grande nostra vocazione. Noi battezzati lo abbiamo particolarmente ricevuto in un amore di predilezione. Ha voluto essere nostro padre e come padre vuole tutta la tenerezza e tutto il servizio del nostro cuore. Abbiamo così che, fatti figli di Dio, non possiamo desiderare di meglio, non possiamo desiderare di più. Amare, amare, amare sempre di più il Signore e per lui sapere vincere tutte le cose contrarie. Per questo è detto: lo devi amare con tutto il cuore, nessun affetto contro questo affetto sostanziale. È detto: con tutta la tua mente, non devi stimare nessuna cosa che sia in contrasto con questo amore. Con tutta la tua forza, perché il Signore non vuole dei figli che dividono se stessi, perché non si può mettere il demonio insieme a Dio, il proprio piacere peccaminoso col servizio di Dio. Oh, esaminiamoci bene, esaminiamoci fino in fondo se davvero lo amiamo, se davvero lo serviamo, se davvero siamo dei figli che nello spirito di adozione cercano di compiere la loro missione, il loro dovere! Amare Dio. Cresciamo sempre di più in questo amore. Cerchiamo di non fermarci a metà cammino. Troppi dicono di amare Dio e non lo amano, dicono di servire Dio e servono i loro comodi e le loro passioni. Troppi sono quelli che dicono di essere pronti a fare la volontà di Dio, ma in realtà cercano solo la loro volontà, il loro capriccio. Amare Dio è questo nostro grande punto di forza. Per amore di Dio facciamo tutto, per amore di Dio preghiamo, per amore di Dio lavoriamo, per amor di Dio testimoniamo secondo quello che ci dice l’Apostolo: sia che mangiate, sia che beviate fate tutto in nome del Signore nostro Gesù Cristo. Sì, come Gesù ha amato il Padre anche noi, con Lui e sul suo esempio, cerchiamo di compiere il nostro umile sevizio che sarà la vera nostra gloria.

dPM, Omelia Venerdì III Settimana Tempo Quaresima, 07/03/1986

Sabato III settimana Tempo Quaresima

26/03/2022

Os 6,1-6; Lc 18,9-14

Dal Vangelo secondo Luca

Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

Dobbiamo imparare a pregare. Chi prega bene è giustificato cioè riceve il perdono dei suoi peccati, progredisce nella vita della carità, dà vera lode al Signore. Chi prega male compie una ipocrisia che lo danneggia fino in fondo. Dobbiamo perciò capire l’importanza di saper pregare, di saper essere sinceri, di saper essere pronti, di saper essere umili perché in questa umiltà c’è la grazia sicura, la pace dell’anima, la serenità del cuore. L’umiltà nella preghiera è il senso delle proporzioni. Ci dobbiamo sentire quello che siamo. Ci dobbiamo sentire peccatori, dobbiamo sentire la vergogna di essere peccatori, dobbiamo sentire la soave confidenza della misericordia di Dio, dobbiamo progredire in questa salita di confidenza che ci assicura che il Signore è sempre la misericordia infinita. E a chi riconosce la propria colpa e a chi vuole il distacco da tutte quelle che sono le implicazioni del peccato, il Signore riversa i torrenti del suo amore. Imparare a pregare e imparare dunque a collocarci, a collocarci nella nostra povertà. Pregare vuol dire riconoscere quanto è grande Dio, come tutto dipende da lui, come tutto può da lui aspettare, perché è talmente buono che non solo ci cancella le colpe, ma ci dona innumerevoli doni, innumerevoli grazie, ci dona una magnificenza di quella donazione, di cui sa i segreti chi sente di essere figlio e dal Padre aspetta e del Padre è sicuro e del Padre glorifica la provvidenza. Impariamo a pregare e a provare molta gioia nella preghiera perché il Signore ci ama, perché il Signore ci è vicino, perché il Signore non è sordo al nostro grido e tutto quello che opera lo opera per nostro bene. Dio non opera mai per il male di uno solo. Dio opera solo nell’amore e l’amore suo, l’amore di Dio va oltre ogni previsione, va oltre ogni nostra attesa, va oltre ogni apparenza contraria, il Signore è con l’anima che confida in lui. In lui rinnoviamo perciò l’abbandono del nostro cuore e impariamo a pregare, sentendo che le preghiere non possono mai, in nessun caso, essere una formalità, ma sono l’incontro col Padre nella sincerità, nella verità, nell’umiltà, nella vera attesa e nella vera riconoscenza a Lui.

dPM, Omelia Sabato III settimana Tempo Quaresima, 08/03/1986

IV Domenica Tempo Quaresima – Anno C

27/03/2022

Gs 5,9. 10-12; 2 Cor 5, 17-21; Lc 15,1-3.11-32.

Dal Vangelo secondo Luca

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Il Cuore del Padre. Siamo invitati a riflettere su questa essenziale rivelazione: Dio è un Padre che perdona sempre; Dio ha un cuore di tenerezza infinita. In questa visione, confortarci e prendere coraggio per camminare nelle vie del Signore, per saperlo ringraziare di tutte le sue misericordie, per saper gioire dei suoi doni. I suoi doni sono così numerosi che non riusciamo nemmeno ad immaginare. Oggi ci siamo riuniti in questa Messa per ringraziarlo del dono della sua stessa vita che ci è stata comunicata attraverso Gesù. “A tutti quelli che lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio” (Gv 1,12). A tutti!

Noi sentiamo, con particolare sensibilità, questa celebrazione della vita soprannaturale ricevuta nel Battesimo. Nel Battesimo siamo stati uniti a Gesù, nel Battesimo siamo divenuti Tabernacoli dello Spirito Santo, nel Battesimo abbiamo ricevuto una dignità superiore ad ogni altra dignità umana. La dignità nostra di figli di Dio ci impegna, ci stimola. La dignità di figli di Dio vuole imporsi davanti a tutte le altre cose del mondo. Poveri e ricchi, bisognosi e non bisognosi, noi tutti siamo arricchiti di una immensa ricchezza, la ricchezza del Regno di Dio. È in questa ricchezza che dobbiamo esultare per noi e per i nostri figli. La comunità deve riconoscere che il Battesimo che hanno ricevuto i bimbi li rende grandi agli occhi dell’Altissimo. Li rende tali da poter spendere per loro tutte le cure e tutte le tenerezze perché possano crescere veramente secondo la fede che hanno ricevuto nel Battesimo e che realizzeranno in una piena educazione cristiana.

Dobbiamo ringraziare Dio, in questa metà Quaresima dove la Chiesa ci invita a rallegrarci, dove ci invita a pensare a quante ricchezze ha per noi il Signore! Ci invita a pensare a come, sempre nella Chiesa che è la sua casa, possiamo trovare tutte le particolari ricchezze di bene; le troviamo nella Chiesa dove dobbiamo vivere, nella Chiesa dove dobbiamo agire, nella Chiesa dove dobbiamo riconoscerci fratelli in un modo tutto particolare. Oh, sì! Il Cuore del Padre è stato molto generoso e noi sappiamo quanta ricchezza di dono ci ha riservato.

Poniamoci perciò con molta generosità, perché il dono richiede dono. La sua immensa liberalità stimola la nostra corrispondenza. Saper corrispondere, saper vivere intensamente non un cristianesimo di qualità esteriore e basta, ma un cristianesimo di profonda vitalità interiore: siamo chiamati ad essere Suoi.

Si ripetono le parole: “Siate santi perché Io sono santo” (Lv 19,2). Ecco perché facciamo festa e benediciamo il Signore. “Lo benediciamo in ogni tempo” (Sal 33,2), particolarmente in questo tempo, in questo giorno. Siamo diventati creature nuove con il Battesimo. Sentiamo come “le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove” (2Cor 5,17).

Mediante Cristo siamo stati uniti a Dio: nel ministero della Riconciliazione si è verificato con tanta larghezza. Perciò affidiamoci al Signore Gesù. “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5,21). La ricchezza dal Padre scende nel Figlio e dal Figlio scende a noi. È il nostro Mediatore. Affidiamoci a Lui con tanta ricchezza di grazia, con tanto fervore d’amore, con tanta viva generosità.

dPM, Omelia IV Domenica Tempo Quaresima – Anno C, 09/03/1986

Lunedì IV Settimana Tempo Quaresima

28/03/2022

Is 65,17-21; Gv 4,43-54

Dal Vangelo secondo Giovanni

Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Ma il funzionario del re insistette: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia» Gesù gli risponde: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.

“Credette lui con tutta la sua famiglia ”. Ecco la risposta a Gesù, la riconoscenza a Gesù. È proprio qui che dobbiamo svolgere la nostra meditazione, perché il Signore dona molto anche a noi. Dona incredibilmente tanto. Noi abbiamo le sue grazie e nell’ordine naturale e nell’ordine soprannaturale. Abbiamo tante, tante grazie. Abbiamo delle grazie preziose e abbiamo la sua Parola e abbiamo la sua presenza. E nella Santissima Eucarestia il Signore è tutto per tutta l’assemblea e per ognuno che fa parte dell’assemblea. Il Signore ci dona la magnificenza della sua azione e del suo sacrificio. Quante, quante messe abbiamo potuto partecipare! Quante parole uscite dalla sua bocca sono state proclamate per noi! Ecco, è proprio qui la nostra responsabilità, grave, grave responsabilità. Avere ricevuto tanto, se crediamo poco come siamo degni di castigo! Quale peso dobbiamo sentire nella nostra coscienza! Il funzionario, ricevuta la grazia, credette lui con tutta la famiglia. Ecco la nostra fede, la forza della nostra fede, l’ardore della nostra fede. Dobbiamo crescere, dobbiamo maturare la nostra fede. Una fede gigante deve affermarsi in noi, perché le insidie che abbiamo dal demonio e dal mondo sono tante. Il tentatore non lascia occasione. Guai se non crediamo molto! Guai se la nostra fede resta iniziale, resta bambina! Guai! Allora siamo travolti dalla tentazione e non resistiamo a percorrere la via che è via in salita. La tentazione di essere dei mediocri e di accontentarci di dare al Signore qualche cosa come si dà un’elemosina a una persona inopportuna. La fede grande travolge, la fede grande ci porta verso la perfezione, la fede grande è la sorgente vera della nostra gioia. Ecco perché dobbiamo credere per vivere bene, per vivere nell’ansia della perfezione cristiana. Ecco perché dobbiamo domandare questa fede, perché senza la fede non facciamo come i Galilei che lo accolsero con gioia, non accogliamo Gesù con gioia e siamo sempre di quelle anime che danno malamente, che danno quasi contro il loro gusto e la loro impostazione. Grande fede! Grande! Domandiamola intensamente in questa messa al Signore.

dPM, Omelia Lunedì IV Settimana Tempo Quaresima, 10/03/1986

Martedì IV Settimana Tempo Quaresima

29/03/2022

Ez 47,1-9. 12; Gv 5,1-3. 5-16

Dal Vangelo secondo Giovanni

Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

Meditiamo soprattutto su queste parole: “Non peccare più perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio ”. Di peggio che stare immobile in un letto per trentotto anni. Il peccato, ci avverte Gesù, porta sempre il castigo con sé. E se il castigo non è sufficiente e non c’è la conversione, il peccato, allo stato di termine, è la disperazione dell’inferno. Dobbiamo capire bene che il peccato si presenta sempre in una menzogna. È una bugia la tentazione al peccato. Così ha detto una bugia Satana quando ha tentato Adamo ed Eva; essi sono caduti e, invece di diventare simili a Dio, sono entrati in una storia di dolore e di morte. E tutti i peccati si presentano come una lusinga, si presentano come una promessa, una promessa falsa. Non siamo più felici quando siamo più peccatori. Siamo più felici quando osserviamo la legge di Dio. E se immaginiamo che tutti gli uomini osservassero la legge di Dio, sparirebbero tutti i mali e le disgrazie del mondo. Oh sì, ognuno di noi può dare adito alla forza della tentazione, se non sta attento alle sue debolezze, a una credulità sciocca e ridicola. Il demonio ci dice: hai diritto di riposare, riposa: per impedirci la preghiera. Il demonio ci dice: hai ragione, devi essere esigente non si può che chi ti è vicino manchi così di riguardo. E ci fa cadere nell’impazienza e il diavolo attizza il nostro orgoglio e il diavolo attizza la nostra voglia di piacere. E così si cade, e così si rompono le promesse fatte al Signore. Persuadiamoci bene: la tentazione è una bugia. Una bugia più o meno insidiosa, più o meno architettata. Il diavolo è maestro di menzogna. Maestro. Da secoli tenta gli uomini, non mangia, non beve, non dorme, non fa che tentare. È un esperto di tentazione. Bisogna che noi stiamo bene attenti perché ci sono delle tentazioni particolarmente insidiose: quelle che si nascondono di più e quelle che assumono l’aspetto di bene. Vogliamo a tutti i costi vincere il peccato in tutte le sue forme. Vogliamo seguire la parola di Dio perché è parola di amore e di vita, è amore che risana, è amore che divide con noi la fatica del cammino. In questa salita quaresimale cerchiamo di rafforzare la nostra fede, il nostro coraggio, la nostra decisione.

dPM, Omelia Martedì IV Settimana Tempo Quaresima, 11/03/1986

Mercoledì IV Settimana Tempo Quaresima

30/03/2022

Is 49,8-15; Gv 5,17-30

Dal Vangelo secondo Giovanni

Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero». Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole; il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso; e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Io non posso far nulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

È Gesù che ci ha fatto conoscere nella verità Iddio. E ci ha parlato di una vita meravigliosa che dall’eternità riempie di gioia e di trionfo Dio stesso. Una ricchezza incredibile. Noi seguendo Gesù conosciamo il Padre e Gesù ci manifesta tutto se stesso e ci dà e ci manifesta lo Spirito Santo. Quanta grazia! Quanto onore! Quanta ricchezza! Quanto giubilo dobbiamo avere nel conoscere Dio come Dio conosce se stesso, nell’essere ammessi alla vita trinitaria e tenere il posto del figlio. Perché il Figlio ci ha uniti a sé, possiamo anche noi chiamare suo Padre nostro Padre. Quando pregate, ci ha insegnato, dite così: Padre nostro che sei nei cieli. E proprio nella grazia della verità e dell’amore partecipiamo dello Spirito. Lo Spirito Santo prende possesso del nostro cuore e lo consacra. Lo Spirito Santo è maestro per ogni anima che si lascia condurre, è maestro e la sua indicazione è meravigliosa e continua. Dobbiamo dunque rendere il mistero della Santissima Trinità il mistero a cui tutto deve essere indirizzato. La messa è offerta ad onore della Santissima Trinità. La preghiera liturgica è tutta indirizzata alla Trinità. La nostra preghiera stessa non può essere una preghiera povera, perché è una preghiera con la quale entriamo in vivo contatto con la Trinità. Quale dignità! Quale cammino noi possiamo fare! Dal mattino quando ci svegliamo, alla sera prima di riposare, è sempre nel nome della Trinità che dobbiamo cominciare e terminare: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Sempre. Senso di adorazione, senso di benedizione e di lode, senso di ringraziamento e di domanda. Tutto deve essere per la nostra preghiera una salita come di incenso. Sentiamo come nella preghiera non dobbiamo essere svogliati, non dobbiamo essere distratti, non dobbiamo buttarla là, perché la preghiera va alla somma Trinità e alla Trinità dobbiamo rendere conto delle nostre preghiere malmesse e irriverenti. Senso di riverenza, di adorazione ci deve permeare sempre e, se il Signore ci ha fatto la grazia incomparabile di essere suoi figli, non di meno non dobbiamo mancare a questo senso di profonda adorazione e ossequio. Tutto per Iddio, sempre per Iddio. Tutte le cose siano per l’onore di Dio. “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”. Ecco è il proposito che vogliamo offrire stasera.

dPM, Omelia Mercoledì IV Settimana Tempo Quaresima, 12/03/1986

Giovedì IV Settimana Tempo Quaresima

31/03/2022

Es 32,7-14; Gv 5,31-47

Dal Vangelo secondo Giovanni

Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c’è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c’è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Meditiamo su questo terribile rimprovero che Gesù rivolge ai suoi nemici, ai suoi accusatori. Credevano di essere religiosi, anzi si ponevano come esempio di religiosità. Dicevano di essere seguaci di Mosè, ma non era niente di tutto questo. Gesù precisa con molta fortezza: “Non avete mai udito la voce del Padre, né avete visto il suo volto e non avete la sua parola che dimora in voi ”. Avevano una loro religiosità, un loro modo con il quale distruggevano tutto. Ecco perché non credevano in Gesù. Con l’intelligenza potevano capire, ma era la volontà che non mettevano a servizio delle opere di Dio. E per questo, perché cercavano se stessi, perché cercavano la loro gloria, perché cercavano il plauso dagli altri, non avevano in loro l’amore di Dio. Non l’avevano. Perché l’amore di Dio è quando si cerca Dio e lo si cerca per onorarlo, quando lo si cerca per metterci a servizio del suo Regno. Dovete pensare spesso alla vostra religiosità. Particolarmente in questa ultima parte della quaresima. Com’è la mia religiosità? Com’è lo sviluppo della mia fede? Come cerco nelle cose la volontà di Dio? È la volontà di Dio il tutto. È cercare ciò che è a lode di lui, ciò che è a bene delle anime. Non cercare la propria soddisfazione, non cercare il proprio interesse, non cercare la lode dagli altri. Con questo noi maschereremmo una religiosità che non c’è. Con questo noi saremmo evidentemente sempre più poveri anziché arricchirci della Parola di Dio e del suo amore. Impegniamoci questa sera a un’autocritica di noi stessi. Impegniamoci a vedere quanta buona intenzione mettiamo nelle cose, come cerchiamo di piacere al Signore, come cerchiamo di avere una vera religiosità, combattendo i peccati e i difetti e donandoci con generosità piena al bene degli altri. Amare Dio, amare il prossimo. Ecco sta tutta qui la legge. Amare Dio: perché degno infinitamente di amore. Amare il prossimo: perché in esso c’è l’immagine di Dio. Impegniamoci perciò ad avere un miglioramento nella nostra devozione e pietà. In questi giorni in cui più insistentemente ci viene mostrato il Crocefisso, più insistentemente leggiamo in questo grande libro e impariamo come si fa ad amare il Padre e ad amare il prossimo.

dPM, Omelia Giovedì IV Settimana Tempo Quaresima, 13/03/1986

Venerdì IV Settimana Tempo Quaresima

01/04/2022

Sap 2,1. 12-22; Gv 7,1-2. 10. 25-30

Dal Vangelo secondo Giovanni

Dopo questi fatti Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne; Ma andati i suoi fratelli alla festa, allora vi andò anche lui; non apertamente però: di nascosto. Intanto alcuni di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora.

Il Vangelo ci presenta una discussione, una discussione su Gesù, perché discutevano su Gesù e continuano a discutere, perché non lo vogliono accogliere, perché non gli aprono il cuore, perché non si arrendono all’evidenza del suo potere e all’evidenza della grandezza della sua figura. Bisogna ricordare le parole di Gesù: “Chi non è con me è contro di me”. E dobbiamo interrogarci per vedere quanto noi siamo di lui. Noi lo onoriamo e lo riconosciamo, il Figlio unigenito di Dio, lo riconosciamo per il nostro Redentore. Però è la nostra vita che si pone in discussione. Perché onoriamo Gesù, ma non lo seguiamo, non camminiamo sulle sue orme, non vogliamo fare la strada che ha fatto lui. Chi ama Gesù deve seguire Gesù, chi riconosce Gesù deve tradurre in pratica i suoi insegnamenti. Il vivere Cristo, il viverlo pienamente, il viverlo con entusiasmo, il viverlo con forza. Vivere Gesù. Perché il Signore ci ha amato e ha amato noi peccatori e ci ha cercato e ha sofferto per noi. È stato coperto di piaghe per noi, è stato confitto sul legno per noi. Ecco che siamo chiamati a professarlo completamente, nelle nostre parole e nella nostra vita, nelle nostre scelte e nelle nostre aspirazioni. Bisogna essere di Gesù totalmente. Non si può essere di Gesù solo in parte. Bisogna essere di Gesù e tradurre così la nostra fede in una strada forte e diritta. Non lo ha detto lui? La via della vita è stretta e la porta che dà alla vita è angusta e molti si sforzano di entrare e non possono, e non possono perché non si decidono, e non possono perché si lasciano fermare dalle cose umane, dalle preferenze umane, dalle preferenze delle cose che passano dimenticando le cose eterne, dalle cose di valore secondario e temporaneo in confronto a quelle che ci presenta lui. Bisogna, di fronte all’amore del Cristo, arrendersi, bisogna che gli diciamo: “Signore, io credo al tuo amore per me, io mi dono a te e voglio camminare come hai camminato tu e scegliere ciò che hai scelto tu”. Un’impostazione radicale, energica, una posizione senza alcun compromesso. Essere veramente e schiettamente cristiani. È il proposito che offriremo al Signore in questa messa per essere dei veri discepoli. Il Signore una volta si rivolse ai suoi e disse: “Anche voi ve ne volete andare? ” Era un’ora di apostasia. Pietro gli rispose: “Signore, a chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna ”. Ecco ripetiamogli anche noi: tu solo hai parole che valgono per l’eternità. La nostra vita non può essere posta meglio che posta nella tua parola, che posta nel tuo amore.

dPM, Omelia Venerdì IV Settimana Tempo Quaresima, 14/03/1986

Sabato IV Settimana Tempo Quaresima

02/04/2022

Ger 11,18-20; Gv 7,40-53

Dal Vangelo secondo Giovanni

All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Questi è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Questi è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?». E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!». Ma i farisei replicarono loro: «Forse vi siete lasciati ingannare anche voi? Forse gli ha creduto qualcuno fra i capi, o fra i farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea».E tornarono ciascuno a casa sua.

La pagina della dissensione, del rifiuto di Gesù , di questa gente che si reputava intelligente, dotta, religiosa e non vedeva ciò che anche un cieco avrebbe visto, non vedeva quanto Gesù era da accogliere, quanto era da ascoltare e quanto era da amare. Il loro cuore era pieno di cose terrene, era pieno del loro egoismo e del loro orgoglio, non percepiva l’evidenza, rifiutava Gesù e cercava i pretesti per rifiutarlo. Dobbiamo stare bene attenti anche noi perché il mistero della salvezza è un mistero che richiede la nostra piena collaborazione, l’apertura totale del nostro cuore. Dobbiamo dire di sì al Signore non con mezze cose, dobbiamo dire di sì con tutte le forze della nostra anima. È solo così che entriamo in questa dinamica meravigliosa per cui l’amore di Gesù ci accoglie e ci trasforma. Dobbiamo, man mano che si avvicina la Pasqua, accelerare i tempi della nostra conversione, darci al Signore, darci a lui senza riserve. Dire: “Signore, sono totalmente tuo; voglio vivere solo di te.” Perché quello che ci chiede il Signore non è una fede vaga e nebulosa, ma una fede che si traduce nelle opere, una totalità di pensiero e di azioni. Noi ci dobbiamo dare al Signore e non mendicare le scuse. Dobbiamo darci al Signore e costruire una preghiera organica e affettuosa. Dobbiamo costituire un’impostazione di vero amore al Padre per cui le azioni che compiamo le compiamo perché sia santificato il suo nome, venga il suo Regno e sia fatta la sua volontà. Una pienezza. Il Signore ama chi dà, chi dà con letizia, chi dà con vera ricchezza di entusiasmo. Doniamoci al Signore. e sia questo tempo di passione un tempo forte, un tempo impegnato e generoso che misuri veramente la nostra fede. La nostra fede completa, la nostra fede come dono completo e generoso, la nostra fede come una forza che tutto trasforma e tutto vivifica.

dPM, Omelia Sabato IV Settimana Tempo Quaresima, 15/03/1986

V Domenica Tempo Quaresima – Anno C

03/04/2022

Is 43,16-21; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di’ accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatesi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Siamo chiamati a meditare sulla sua misericordia, sulla sua misericordia che non si ferma di fronte al peccato, che non si ferma di fronte a quelli che gli altri condannano. Il Signore infinitamente buono ci fa sperare, ci fa non esitare a buttarci in questa misericordia. Dobbiamo fare la Pasqua proprio gioendo nella sua misericordia. Trepidando per noi, ma accrescendo la nostra confidenza. Sì, certo, di fronte al peccato nostro e al peccato del mondo ci chiediamo: è possibile una vera e duratura conversione? È possibile per la sua misericordia. È possibile perché non solo ci perdona, ma sta teneramente vicino a noi. E dobbiamo imparare sempre di più come trattare i peccatori. E dobbiamo imparare come dobbiamo respingere, buttar via ogni peccato e ogni affetto al peccato. La castità è una virtù di equilibrio e di pace. La castità deriva dalla grande dignità che il Signore ci ha dato, una dignità di amore, una dignità di relazione, una dignità di sentimenti. Siamo figli di Dio e col battesimo il Signore ci ha fatto suoi tabernacoli. Tabernacoli dove vuole che trionfi il suo amore e la partecipazione alla sua vita stessa. Il cristiano, che è tabernacolo, non vuole solo un equilibrio umano, una dignità umana, vuole sentire sempre di più quanto è la sua vocazione, vuole sentire sempre di più qual è il ritmo che deve imprimere alla propria vita. Il cristiano deve, con molta chiarezza, imparare ad amare da Gesù. Amare in Gesù e amare così nella sua grazia. Tutto ciò che è amore il cristiano non lo respinge. Respinge ciò che è tradimento dell’amore, ciò che infrange le leggi dell’Altissimo date per il bene comune. Ecco, quella povera donna rimaneva lì, rimaneva lì angosciata e tremante. Gesù la rassicura: “Neanch’io ti condanno. Va’, non peccare più”. Il peccato passato, quando è detestato, il Signore lo distrugge. Il peccato è un patto che l’uomo fa con quello che è il tentatore, con quella che è la forza disordinata che prova in se stesso. Il peccato non più: bisogna vivere di grazia, bisogna vivere di un grande sentimento che conduce e santifica la famiglia e dalla famiglia va, come educazione, a tutti i componenti. La nostra società sappiamo come è ammalata; ammalata di cose brutte, ammalata di impurità, ammalata di inquietudini che vorrebbero esprimere la sete di felicità e troppe volte sono un inginocchiarsi di fronte alla seduzione. Quanta spinta dobbiamo prendere guardando Gesù! Perché Gesù è il modello nostro, il mirabile modello di come si ama, di come bisogna rispettare chi si ama, il modello perché è il primo dei figli di Dio e ognuno di noi si deve conformare a lui. La virtù della castità è una virtù che conserva il cuore in limpidità, in freschezza, che conserva il cuore sano, è trionfo sull’egoismo. Dobbiamo perciò impegnarci in questa nostra preparazione alla Pasqua, impegnarci a realizzare, a realizzare un più alto senso di dignità, un più alto senso di gelosia, la gelosia dell’amore nostro che non deve essere contaminato, dell’amore nostro che deve essere tenuto in alto, perché così la nostra vita spirituale può prendere il suo volo. La purezza dell’anima è garanzia di dignità e di amore. Avanziamoci sempre di più in questa dignità perché tutto quello che il Signore vuole lo compiamo, ma solo quello che il Signore vuole, in una grande forma di serenità, di chiarezza. Essere limpidi nell’anima nostra per capire le cose di Dio, per seguire le cose di Dio, quelle che ci ha presentato Gesù.

dPM, Omelia V Domenica Tempo Quaresima, 16/03/1986

Lunedì V Settimana Tempo Quaresima

04/04/2022

Dn 13,1-9. 15-17. 19-30. 33-62; Gv 8,12,20

Dal Vangelo secondo Giovanni

Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose: «Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera: orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza». Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio». Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.

Meditiamo su queste parole di Gesù: “Io sono la luce del mondo. Chi segue me non camminerà nelle tenebre”. Meditiamo come Gesù è l’unica vera luce, perché è solo lui che ci ha portato la verità dal seno del Padre, è solo lui e in lui c’è la ricchezza di una vita che non viene mai meno. Come è vero che senza Gesù si cammina nelle tenebre! Vere tenebre. Tenebre che prendono l’anima, tenebre che prendono la famiglia e la società. Cos’è che rende grande un’anima se non possedere Gesù? Che cos’è che aiuta una famiglia a realizzarsi, se non la verità di Gesù, il suo aiuto potente e grande? Oh, sì, questa sera preghiamo in modo speciale per le famiglie, perché le famiglie adempiano alla missione grande del sacramento dal quale sono nate. Una famiglia cristiana è una famiglia che nasce da un’azione di Gesù. È Gesù che mette insieme due sposi, è Gesù che dà la chiamata, che dà la verità, che dà l’amore, che dà la missione. Come dobbiamo pregare perché tutte le famiglie cristiane siano consapevoli, responsabili e in questo mondo di disordine, in questo mondo di confusione e di peccato, restino l’esempio vero e grande! Si testimonia così Gesù: la famiglia cristiana che adempie i suoi doveri è la famiglia che adempie la sua testimonianza; la famiglia che adempie i suoi doveri, che si matura nell’amore, che trova la forza nella preghiera, che supera le difficoltà, le incertezze della vita con una grande fede, si realizza potentemente e raggiunge veramente la santità.

Due sposi cristiani non devono fare cose straordinarie e avere delle preoccupazioni di ordine singolare. Basta che adempiano alla loro missione. Con la messa, con la preghiera si matura il loro amore che diventa sempre più forte e di una chiarissima respirazione soprannaturale. Ognuno nella famiglia deve sentire qual è il suo posto. Ognuno deve sentire qual è la chiamata alla quale rispondere. I genitori nella generosa rispondenza alla grazia di Dio; i figli nell’umiltà, nell’obbedienza, nell’ascolto dei loro genitori perché in loro devono vedere i rappresentanti dell’autorità divina. Così la famiglia si matura alla luce di Gesù. Così la famiglia realizza potentemente la missione cui Dio l’ha destinata: la santificazione dell’amore, la santificazione della vita, l’accoglienza generosa della vita, l’educazione all’amore di Dio. Preghiamo allora per tutte le famiglie perché in tutte le famiglie la luce di Gesù risplenda meravigliosa e grande.

dPM, Omelia Lunedì V Settimana Tempo Quaresima, 17/03/1986

Martedì V Settimana Tempo Quaresima

05/04/2022

Nm 21,4-9; Gv 8,21-30

Dal Vangelo secondo Giovanni

Di nuovo Gesù disse loro: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

Gesù si proclama Dio. Non è uno degli uomini che è travolto dalla cattiveria dei suoi nemici, non è un impotente. È Dio infinito, meraviglioso nella sua onnipotenza, padrone del cielo e della terra. Gesù proclama la sua divinità: Io sono di lassù. Rifiutare Lui è rifiutare la vita: “Morirete nei vostri peccati”. Rifiutare Lui è rifiutare colui che tiene in mano i destini del nostro vivere, del vivere di tutto il mondo. Con quanta umiltà, con quanta fede, dobbiamo guardare a Gesù! Perché altrimenti non misuriamo neanche inizialmente il suo sacrificio, la sua umiliazione. Egli, Figlio di Dio, si dà in mano agli empi, si dà volontariamente, si dà perché ci ama, perché vuol salvare i suoi stessi crocifissori. Quanto siamo amati da Dio lo misuriamo guardando la Croce di Gesù, quella Croce che basta guardarla e invocarla: è la salvezza, così come era stato profetizzato nel serpente di bronzo di Mosè. Gesù salva perché Gesù è Dio. Gesù redime perché il suo sangue è il sangue del Figlio di Dio. Con quale slancio, con quale ardore dobbiamo allora contemplare il sacrificio e oblazione di Gesù! Con quanto slancio e come dobbiamo vincere ogni forma di abitudine che ci porta ad essere distratti e svogliati e assenti perfino durante la messa, quando sul nostro altare si ripete il sacrificio della Croce e lo stesso Figlio di Dio che presenta al Padre celeste la preghiera e l’oblazione per noi; lo stesso Figlio di Dio che applica alle nostre anime i frutti del suo Calvario. È lo stesso Figlio di Dio. Quanta sensibilità! Quanta generosità! Quanta forza deve esprimere la nostra fede! Viviamo questo tempo così stretto nella Passione del Signore da non lasciare nessun altro spazio di riflessione. Guardiamo, meditiamo e corrispondiamo con amore: è il Figlio eterno di Dio che si offre per noi, che si offre in tanta generosità di amore. Perché non lo amiamo anche noi? Perché non ci doniamo tutti a lui? Perché non corrispondiamo con più forza, con più perseveranza, con più speranza, la speranza che viene dall’essere così beneficati, dall’essere così cercati, dall’essere così voluti. Il Signore ci vuole suoi, ci vuole tutti suoi, vuole che noi preghiamo per quelli che ancora lo offendono, per quelli che nella loro ignoranza gli vivono lontani. Perché l’unica salvezza è Lui e il rifugio vero dell’uomo è nel cuore del Salvatore.

dPM, Omelia Martedì V Settimana Tempo Quaresima, 18/03/1986

Mercoledì V Settimana Tempo Quaresima

06/04/2022

2Sam 7,4-5. 12-14. 16; Rm 4,13. 16-18. 22; Mt 1,16. 18-21. 24

Dal Vangelo secondo Matteo

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

“Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo ”. “Ecco, tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”. La prima meditazione è sul servo buono e fedele. Cosa ha fatto Giuseppe? Ha servito, ha ubbidito. Non ha cercato la sua gloria, non ha cercato la sua soddisfazione. Ha ubbidito di una ubbidienza umile e totale. Umile, perché non ha chiesto delle spiegazioni su questa condotta della Provvidenza di Dio; non ha chiesto e fino in fondo l’ha eseguita. Se vi è stata un’angoscia nel suo cuore è avvenuta quando sembrava una loro negligenza quella che invece era la precisa volontà di Gesù: doveva ubbidire al Padre. Dobbiamo chiedere a san Giuseppe questa religione del servizio, perché la tentazione più forte è quella della religione del comodo, della religione in cui si immagina che Dio sia a nostro servizio. La vita invece ha senso proprio così, ha senso in ciò che Gesù ci ha insegnato insistentemente: “Sia fatta la tua volontà, o Padre. Sia fatta sempre. Sia fatta come la vuoi Tu. Sia fatta per quanto tempo la vuoi Tu”. Certe ribellioni sono proprio venute dal non capire che la vita è servizio. Giuseppe ha servito nel silenzio, nel nascondimento;Giuseppe, che era di una santità così eccelsa che non è stato riconosciuto ed è morto come un uomo qualsiasi; Giuseppe non ha cercato l’attenzione, la stima, non ha cercato di fare della sua posizione un punto su cui basare le sue richieste. Ha servito. Ha fatto come gli aveva ordinato l’angelo. Ha cercato e custodito Gesù. Quanto dobbiamo chiedere questa grazia, la grazia vera per cui ogni giorno siamo perseveranti nel nostro dovere! Da noi il Signore non chiede delle cose straordinarie, chiede che facciamo quello che dobbiamo fare ogni giorno, con umiltà, guardando solo in alto, perché il Padre celeste vede nel nascondimento. Il Padre celeste, che vede nel nascondimento, darà la ricompensa. Abituarci allora a fare le cose di ogni giorno come se non dovessimo fare altro, niente di più importante; abituarci a fare le cose come le desidera il Signore, ad accettare le nostre contraddizioni, le nostre pene, le nostre difficoltà con grande spirito di fede. Come il Signore ha permesso ai suoi Santi, anche noi accontentiamoci di vivere con molto spirito di amore: l’amore messo nel servizio fa grandi anche le cose piccole. Un grande amore a Dio in tutta la nostra vita. Invochiamo san Giuseppe perché ci aiuti a fare ogni giorno ciò che è giusto, è conveniente e dà gloria a Dio. Ci aiuti e, come è stato il custode di Gesù, custodisca ancora il suo Corpo Mistico, la Chiesa, e ci guidi ad essere testimoni di questa vera religione del servizio, del servizio offerto, del servizio cercato, del servizio che è quello che costituisce la vera gloria a Dio, il nostro vero bene, totale.

dPM, Omelia Merc V Sett Tempo Quaresima – San Giuseppe, 19/03/1986

Giovedì V Settimana Tempo Quaresima

07/04/2022

Gn 17,3-9; Gv 8,51-59

Dal Vangelo secondo Giovanni

In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte». Gli dissero i Giudei: «Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò». Gli dissero allora i Giudei: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Sempre di più dobbiamo approfondire la nostra meditazione su Gesù. Ci è presentata una pagina in cui Gesù afferma una prerogativa unica: quella di Figlio di Dio che vive dall’eternità. E dice Gesù: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”. Ecco la gloria dei figli di Dio: non cadere mai nella morte del peccato e avere speranza di cose celesti. Mai la morte del peccato che è la vera morte. Per un figlio di Dio morire è passare a un’altra vita. Solo il peccato interrompe il flusso di vita, la gloria di questa vita, la gioia di questa vita. Come un figlio di Dio deve temere, allora, più di ogni altra cosa il peccato. Il peccato è da aborrire come interruzione di vita, come interruzione di amore. Oh, quanto dobbiamo essere attenti e quanto dobbiamo essere vigilanti! Vigilanti sulle tentazioni nostre e sui nostri pericoli. Sono due le ali che deve avere un figlio di Dio: il Timore di Dio e l’Amore di Dio. Col timore e l’amore il figlio di Dio realizza la vigilanza e realizza la fortezza necessaria per respingere ogni tentazione. Il demonio è mentitore. Il demonio è insidioso. Cerca di presentarci con dei pretesti un’inquadratura errata della felicità. Vuole presentarci l’inganno per buttarci nella morte. Sì, impariamo il santo Timore di Dio, come lo invochiamo nella novena della Pentecoste, quel timore casto e filiale che fa odiare il peccato per sentimento di amore. Oh sì, la grazia dello Spirito Santo deve essere continuamente amata e accresciuta. Lo Spirito Santo è in noi e coi suoi doni ci guida. Il dono del Timore di Dio è il timore salutare, è il dono veramente fondamentale. Dobbiamo invocarlo ogni giorno il santo Timore di Dio. Ogni giorno dobbiamo saper fare i necessari sacrifici. Senza i sacrifici non si difende la vita di Dio in noi. Senza i necessari sacrifici non evitiamo questa morte dello spirito. Benedetti i sacrifici fatti per amore di Dio, fatti per timore di disgustarlo e di offenderlo. Rinnoviamo con pienezza, rinnoviamo con gioia i nostri propositi di vivere potentemente la vita della grazia da figli di Dio, di vivere potentemente e disprezzare tutte le tentazioni e gli incitamenti che ci vengono dal demonio e dal mondo.

dPM, Omelia Giovedì V Settimana Tempo Quaresima, 20/03/1986

Venerdì V Settimana Tempo Quaresima

08/04/2022

Ger 20,10-13; Gv 10,31-42

Dal Vangelo secondo Giovanni

I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Rispose loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre». Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

“Portarono pietre per lapidare Gesù”. Ecco l’accoglienza a Dio che è venuto in mezzo agli uomini. Il divino spaventa sempre. Si preferisce l’umano e non sempre l’umano giusto, l’umano deteriore. Si ripete la scena evangelica e molti restano disorientati e restano contrariati. Perché non possono fare quello che vogliono. Scende dall’alto una legge e questa legge obbliga, e questa legge urge. Non vogliono il sublime, non vogliono il grande, vogliono ciò che solletica le loro passioni e i loro comodi. È il giudizio che Gesù darà degli uomini, Gesù dirà: “Se non credete alle parole, credete alle opere”. Ecco, dobbiamo riflettere se accogliamo anche noi il Signore, se lo accogliamo come deve essere accolto, se lo accogliamo dappertutto, o se cerchiamo di fuggire a qualche aspetto della sua legge che a noi non piace. Perché è tanto facile tentare di farsi un cristianesimo alla nostra misura, un po’ di religiosità, ma alla nostra maniera. Dobbiamo continuamente sorvegliare la nostra sensibilità, perché la religione del comodo non è la religione del Calvario, perché la religione del facile non è la religione di Gesù, perché la religione che indulge a tutti gli equilibrismi non è quella evangelica. Dobbiamo proprio in questa vicinanza della Pasqua interrogarci, e interrogarci con introspezione, interrogarci con forza, perché la Croce di Gesù va abbracciata. Diceva san Paolo: “C’è chi chiede dei miracoli, sono i Giudei. C’è chi chiede della filosofia e della sapienza umana: e sono i Greci. Io non so altro però che la Croce di Cristo. Non so altro che Gesù il crocefisso”. E vuol precisamente dire così: che dobbiamo seguire il Signore così come si presenta a noi. Dobbiamo amare il Signore così come lui vuole essere amato. Bisogna che diamo il senso alla nostra vita, il senso del divino, il senso del grande, il senso dell’eterno. Lo sappiamo bene: solo la sua parola non passa. Lo ha detto Gesù: “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” Ecco confrontiamoci con le sue parole, confrontiamo la nostra vita con la sua chiara impostazione e in questo miglioreremo noi stessi e aiuteremo gli altri.

dPM, Omelia Venerdì V Settimana Tempo Quaresima, 21/03/1986

Sabato V Settimana Tempo Quaresima

09/04/2022

Ez 37,21-28; Gv 11,45-56

Dal Vangelo secondo Giovanni

Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: «Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?».

Caifa si credeva astuto. Diceva agli altri: “Non capite nulla”. E pronunciava il suo ragionamento fazioso e falso. Tanto falso quanto più sembrava a lui un ragionamento che lo esonerava dalla responsabilità; invece la sua responsabilità è stata enorme e i secoli lo hanno giudicato. Questo sommo sacerdote credeva di salvare la città santa e il tempio di Gerusalemme e invece lo condannava totalmente. Questo assassino vestito da sommo sacerdote è restato il simbolo dell’odiosità, della perversione, è restato il simbolo della ipocrisia che commette i delitti. E si ripete. Si ripete il suo gesto, e si ripete il suo ragionamento. Come è vero che il mondo crede di essere astuto, crede di essere potente, crede di dare a chi lo segue il modo di essere spensierati e di divertirsi. Il mondo è guidato da Satana e anche adesso quelli che lo ascoltano entrano in una logica sbagliata, la logica del demonio, del tradimento, del soffocamento della coscienza. Quanto è triste! Bisogna difendersi dal mondo. Gesù ha detto: Io non prego per il mondo. Il mondo ha dei ragionamenti contrari a Dio. Il mondo ha una precisa impostazione che è condannata dal Signore. il Signore nelle beatitudini ci ha dato la vera logica che deve seguire un cristiano, non il mondo che promette felicità e dà peccato, non il mondo che promette il vero, come devo dire?, il vero ragionamento e invece di ragionamento dà un cavillo, un procedere sbagliato, che, invece di liberare l’anima, la rende preoccupata e triste. Non ascoltare il mondo. Volere a tutti i costi la logica del Vangelo. Volere a tutti i costi seguire Gesù. Vero seguace di Gesù chi va dietro a Lui dappertutto, chi con Lui si rallegra e con lui si rattrista.

Le nostre gioie devono essere le gioie di Gesù e le nostre tristezze, le tristezze di Gesù. Non cerchiamo un piacere sbagliato, non cerchiamo una tranquillità sbagliata. Siamo energici, siamo forti. Entrando nella settimana santa, sentiamo come il Signore ci insegni – lui, il Verbo eterno di Dio, la Parola che dall’eternità il Padre ha pronunciato; lui, la vera Sapienza – e ci presenti la croce, ci presenti la carità e l’abnegazione. Tutto il contrario di quello del mondo, tutto il contrario! E noi vogliamo seguirlo, e noi vogliamo amarlo, e noi vogliamo proporci di essere i suoi veri discepoli che non hanno paura perché si riposano sulla sua assicurazione, sulla sua meravigliosa e certissima affermazione: chi è con me divide tutto quello che è mio. Chi è con me ha una grande, una intramontabile speranza, la speranza che è ancora di questa terra, ma che sconfina perché noi in questa città terrena aspiriamo e puntiamo alla Città Eterna.

dPM, Omelia Sabato V Settimana Tempo Quaresima, 22/03/1986

Domenica delle Palme – Anno C

10/04/2022

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56

Dal Vangelo secondo Luca

Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio».

Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».

«Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.

Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.

Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.

Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».

Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!».

Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».

Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre».

Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente.

Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?». E molti altri insulti dicevano contro di lui.

Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».

Tutta l’assemblea si alzò, lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re». Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest’uomo». Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui».

Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.

Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C’erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c’era stata inimicizia tra loro.

Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: «Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!». Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.

Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.

Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.

Allora cominceranno a dire ai monti:

Cadete su di noi!

e ai colli:

Copriteci!

Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».

Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.

Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.

Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest’uomo era giusto». Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.

C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.

Una parola di salvezza. Questa parola dell’Apostolo ci deve fare riflettere molto in questi giorni, perché tutto è per la nostra salvezza, cioè per la nostra felicità, perché raggiungeremo il fine della nostra vita, perché la nostra felicità sia duratura, anzi eterna.

Quando contempliamo Gesù nell’Orto degli Ulivi o davanti ai tribunali, quando lo vediamo sulla via del Calvario, confitto alla croce, ognuno deve ripetere: “Lo ha fatto per me. Se non avesse fatto così, io sarei un infelice e la mia felicità sarebbe per sempre, sarebbe un’eternità di tormento”.

Chi ci ha liberato dall’inferno? Chi ci ha dato la speranza? Chi è stato vicino a noi e continua ad essere vicino a noi con il suo sacrificio? È sempre Lui che tutto ha fatto per noi.

E con riconoscenza infinita la Chiesa nella sua liturgia è insistente: la Messa è prima di tutto un ringraziamento. “È veramente cosa giusta, doverosa, renderti grazie”.

Tutto è grazia, perché tutto è stato per la nostra salvezza. Non guardiamo le cose allora come non fossero nostre: sono nostre, perché ci procurano quella che sinteticamente chiamiamo «salvezza». Cioè il senso vero della vita, la possibilità di raggiungere la pace duratura, la felicità che si può toccare su questa terra, la nostra carità fraterna, la nostra edificazione, tutto dobbiamo alla passione di Gesù; tutto!

E se per amore nostro ha ricevuto i flagelli, se per amore nostro ha ricevuto gli sputi in faccia, gli schiaffi; se per amore nostro è caduto sulla via del Calvario ed è stato inchiodato alla croce, lo ha fatto perché noi fossimo contenti, perché ci amava e sapeva che solo a questo titolo potevamo essere liberi dalla schiavitù dei nostri peccati, dalla schiavitù del demonio, dalle inesorabili nostre cadute. Solo così!

Entriamo nella Settimana Santa con un senso grandissimo di riconoscenza e ripetiamo tante volte al Signore: “Grazie, Tu lo hai fatto per noi!”.

dPM, Vespro Domenica delle Palme, 27/03/1983

Lunedì Santo

11/04/2022

Is 42,1-7; Gv 12,1-11

Dal Vangelo secondo Giovanni

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

Per entrare nella grazia pasquale dobbiamo essere molto sinceri e andare fino in fondo all’origine dei nostri peccati, per convertirci davvero. Nella pagina che è stata annunciata abbiamo visto Giuda che cerca la scusa dei suoi peccati, cerca i pretesti. Li cerca a tutti i costi. Quale pretesto ha la sua avarizia? L’elemosina ai poveri. È proprio il contrario. Lui avaro, tanto avaro che per i soldi venderà Gesù, per i soldi tradirà l’amore di Gesù e la sua amicizia. Cercava il pretesto dove avrebbe dovuto piegarsi in una conversione vera. Che non succeda così per noi! Che non cerchiamo i pretesti per giustificare i nostri peccati, per scusare i nostri peccati, per giustificarci, almeno nominalmente, sui nostri peccati. E allora se entriamo nella scusa non c’è conversione, non c’è vera redenzione, non c’è vero incontro con Gesù. Abbiamo il coraggio di riconoscere i nostri peccati e i nostri difetti. Abbiamo il coraggio di dire le cose come sono, di definirle come sono e di non prendere i nostri difetti quasi fossero virtù e di non scusare i nostri difetti col pretesto della carità. Abbiamo bisogno di sincerità fondamentale e la nostra conversione pasquale deve essere operata così. Quello che il Signore ci fa capire che è da prendere via, prenderlo via con energia, prenderlo via senza indugio, perché è un’altra tentazione. Mi correggerò, dopo. Adesso no. Prendere via i nostri difetti sapendo che non possiamo fare migliore preghiera che questa, che non possiamo fare maggiore opera buona di quella di rendere la nostra anima il trionfo del Signore Gesù perché lui regni e trionfi di noi. Il nostro Re, dice la liturgia, solo Lui ha compassione di noi peccatori. Gesù ha veramente compassione di come siamo, di come siamo in realtà e vuole trasformarci e vuole renderci degni di Lui perché è luce e salvezza e a Lui ci dobbiamo affidare totalmente.

dPM, Omelia Lunedì Santo, 24/03/1986

Martedì Santo

12/04/2022

Is 49,1-6; Gv 13,21-33. 36-38

Dal Vangelo secondo Giovanni

Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.

Quand’egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».

Dobbiamo riflettere di fronte alla figura di Giuda, per non prendere anche noi quel boccone del tradimento che ha preso lui. Un boccone di tradimento. Lo si ha quando si riceve il Corpo del Signore indegnamente, quando lo si mette in un cuore che per il peccato mortale è posseduto da Satana. Guai a chi fa una comunione sacrilega! Il peccato, questo, è un peccato che più di tutti gli altri peccati dice un’odiosità. Perché fai la comunione se non sei in grazia? Perché ostenti un’amicizia che invece è uno schifoso tradimento? Lo ha detto San Paolo: “Chi mangia questo pane e beve questo sangue indegnamente, mangia e beve la sua condanna”. Per fare bene la comunione noi sappiamo che bisogna essere nell’amore, in un amore fervido, in un amore attuale, in un amore generoso. Che cosa è costata a Gesù l’istituzione dell’Eucarestia? Che cosa è costato a Gesù attraversare questi secoli di tanti peccati, di tante offese? Un muro tremendo! È costato tanto a Gesù! Ebbene se è costato tanto a lui, ma ha voluto arrivare fino a noi, ha voluto essere con noi, ha voluto darci l’Eucarestia come segno di amicizia, come dono di sacrificio e di amore, come osiamo andare alla comunione col peccato, con la freddezza, con l’indifferenza, con la chiusura del cuore? Oh, come dobbiamo proprio a tutti i costi voler fare bene la comunione! Sia un proposito fondamentale di preparazione alla Messa della cena del Signore. Sia proprio una fortezza che ci muove, una decisione che ci prende, una energia che vogliamo davvero esprimere. Il Signore va amato, va amato soprattutto nell’Eucarestia, il Signore non va profanato. Se fossimo consci di aver profanato il santissimo Sacramento convertiamoci in questa Pasqua e facciamo vera penitenza per potere così comunicare al suo Corpo e al suo Sangue con amore, con umiltà, con fervore. Una comunione sempre più santa e sempre più bella.

dPM, Omelia Martedì Santo, 25/03/1986

Mercoledì Santo

13/04/2022

Is 50,4-9; Mt 26,14-25

Dal Vangelo secondo Matteo

Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

Bisogna che entriamo da stasera nella meditazione più intensa della Passione di Gesù, quella Passione che non possiamo guardare come un avvenimento storico davanti al quale si formula un giudizio da spettatore. La Passione del Signore è per noi. È una Passione che si ripete, una Passione che è attuale perché con i nostri peccati torniamo a crocifiggere Gesù. Sono quei peccati odiosi che cerchiamo di dimenticare anche nell’intimo di noi stessi, ma restano e ci rendono un po’ simili a Giuda, che ha tradito il Signore per trenta monete d’argento. Quando noi offendiamo il Signore, quando noi stracciamo la sua legge, quando ci erigiamo giudici e arbitri della nostra vita noi vogliamo come Giuda prendere qualche cosa per tradire Gesù. Questi tradimenti che si ripetono, questi tradimenti che rendono povera, squallida la nostra vita, sono i peccati che noi dobbiamo particolarmente cancellare, vincere. Sono quei peccati di cui dobbiamo sicuramente e totalmente redimerci. È un discorso molto profondo, che, se vogliamo, dobbiamo fare a noi stessi. È un discorso perché la nostra vita abbia il suo senso e non giudichiamo Dio con la nostra misura, e non diamoci un diploma quando non lo abbiamo, quando preghiamo male e crediamo poco, quando siamo egoisti e orgogliosi, quando cerchiamo in tutti i modi di fare la via del Signore una via ipocrita, nostra. L’odioso in Giuda è particolarmente la sua ipocrisia. Giuda il traditore disse: Sono forse io? faceva l’innocente. Bisogna che entriamo nella Passione cioè bisogna che capiamo che siamo causa della Passione del Signore se commettiamo dei peccati gravi, se ci costruiamo una nostra ipocrita sicurezza. Bisogna che davanti a Dio facciamo un proposito: la settimana che stiamo vivendo si chiama Settimana Santa, non si chiama la settimana ipocrita. E se celebriamo l’Eucarestia di Gesù, la Passione di Gesù bisogna che noi la viviamo dal di dentro, dal di dentro ci muoviamo a migliorare noi stessi. Diceva Gesù, e lo abbiamo visto pochi giorni fa: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Nessuno è senza peccato. Ognuno di noi si penta dei suoi e desideri ricuperare, ricuperare quella grazia che dal battesimo batte alle porte della nostra anima: se tu fossi fedele, quante cose avresti fatte e quante cose potresti fare! Pensaci!

dPM, Omelia Mercoledì Santo, 26/03/1986

Giovedì Santo

14/04/2022

Es 12,1-8. 11-14; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

Dal Vangelo secondo Giovanni

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.

In mezzo a noi c’è ancora Gesù. E Gesù compie per noi ciò che ha compiuto per tutta l’umanità: li amò fino alla fine. Ed è la prima cosa, la cosa grande che dobbiamo contemplare: il Signore ci ha amato. Ci ha amato proprio nell’ordine dell’eccesso. La religione di Gesù non è la religione della misura. La religione del dono senza calcolo. Aveva detto: “Ho un pane nuovo da darvi. Il pane è la mia carne sacrificata per il mondo e chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita. Chi mangia di me rimane in me, vivrà di me. Come io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà di me”. Oh, quale insegnamento! Quale meraviglia! È veramente la sua Carne. Il mio cibo è darvi la mia carne e il mio Sangue. Il mio cibo diventa il vostro cibo. La contemplazione dell’Eucarestia, la contemplazione del suo amore, la contemplazione del suo dono: questo è il giorno del dono. Un dono meraviglioso che ci porta a imitare il suo gesto di umiltà, un gesto di umiltà che si perpetua nei secoli. Gesù è per noi. Gesù è per servire noi. Gesù è per riscattare noi dalla mediocrità perché noi tendiamo sempre a un compromesso odioso di mediocrità. E taciamo, taciamo il sublime perché il sublime lo sentiamo scomodo, ma è proprio stasera la lezione da prendere, è proprio qui: guarda come il Signore fa le opere sublimi, le opere sublimi dell’umiltà, le opere sublimi del sacrificio, le opere sublimi dell’impegno totale. Egli si dà tutto e nell’Eucarestia abbiamo il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità. Abbiamo tutto Gesù. Non ci dà qualche cosa, ci dà tutto se stesso. Dobbiamo imparare proprio questa lezione di umiltà, questa lezione di dono. Il primo dono che dobbiamo fare al Padre: amarlo col cuore stesso di Gesù, con la stessa violenta donazione. Violenta perché è un distacco dalle cose della terra, dalle cose che ci lusingano, dalle cose che ci piacciono, purtroppo ci piacciono le cose materiali e le cose che rovinano. Il Signore ci dice di volerci bene e, amando lui nell’Eucarestia, amare tutti i nostri fratelli. O consumati nell’unità o disgregati in ogni dispersione. Ogni dispersione che si chiama il denaro, la carne, l’orgoglio. Dispersi. E questi poveri uomini che vanno in cerca della pace, ma se non hanno Gesù la pace non la trovano, la pace non la realizzano, non la possono realizzare. Ecco allora, ripetiamo al Signore la nostra volontà, la volontà di seguirlo, di fare come ha fatto Lui, di amarci e di vedere nella carità concreta, effettiva, la carità che nasce dalla fede, che si sviluppa nella fede, la carità che deve essere il nostro distintivo. Facciamo Pasqua con Gesù, viviamo della vita stessa di Gesù, ci nutriamo di Lui, dobbiamo proprio agire come Lui. “Chi mangia di me vivrà per me”. Signore Gesù , noi lo vogliamo, lo vogliamo fino in fondo: essere come te.

dPM, Omelia Giovedì Santo, 27/03/1986

Venerdì Santo

15/04/2022

Is 52, 13 – 53, 12; Sal.30; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 -19, 42

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)

Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Sabato Santo

16/04/2022

Domenica di Pasqua

Risurrezione del Signore

17/04/2021

Messa di Mezzanotte

Lc 24,1-12

Dal vangelo secondo Luca

Il primo giorno della settimana, al mattino presto [ le donne ] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.

Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli.

Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano a esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.

Il nostro cuore si spalanchi per prendere tutta la gioia, tutta la gioia che questa notte santissima porta a tutti coloro che guardano al Signore con fede. Come abbiamo partecipato e vogliamo partecipare alla sua Passione e alla sua Morte, così dobbiamo partecipare alla sua resurrezione, sentendo come Gesù, morto per noi, è ancora risorto per noi. È risorto per darci la certezza, per darci ancora la speranza, la speranza che Lui ci aveva annunciato, che la vita cristiana deve avere il suo coronamento in una gloria imperitura, in una magnifica, meravigliosa gloria, in una gioia che non conosce tramonto, in una gioia che vuole essere la più grande, mentre tutte le cose di questo mondo si spengono, mentre tutte le potenze di questo mondo si infrangono, essere con Gesù è la sicura vittoria. È la vittoria del tempo e le tribolazioni sono dei semi di gloria, trionfo per l’eternità quando parteciperemo alla potenza di Gesù, alla esplosione della sua vita sia con l’anima e ancora col nostro corpo. Oh, quanta e soave questa certezza! Quanto dà proporzione a tutta la nostra preghiera a tutto il nostro agire , a tutto il nostro amare! Allora sì, i nostri sogni sono certamente da compiersi, ma sono sogni che hanno un compimento meraviglioso, allora i nostri affetti non tramontano sulla pietra di un sepolcro. Che cosa fanno quelli che non credono, quando vanno davanti al sepolcro dei loro cari? Un vago ricordo, dei resti e basta. Noi sappiamo che Gesù ha vinto la morte. Ha vinto la morte per tutti coloro che credono, per tutti coloro che adorano, per tutti coloro che nella fede pongono il senso del loro operato e della loro vita. Esultiamo per ciò, esultiamo con pienezza, e il nostro canto dell’alleluia dica come sì veramente la nostra gioia non può tramontare e vinceremo il dolore, vinceremo la morte, vinceremo la solitudine, vinceremo la tristezza perché Cristo è con noi, Cristo ci ama, Cristo ci associa al suo trionfo. È il dono fondamentale del battesimo. Proprio perché battezzati in Cristo noi saremo vivificati in Cristo. Perché il nostro battesimo ci infonde la vita divina della grazia e in questa vita divina fiorisce tutto quello che l’uomo può pensare, può amare, può compiere. E questa notte vogliamo quindi ringraziare il Signore del battesimo perché sia proprio in questa vera ricostruzione della nostra vocazione che si opera la nostra grandezza, che si incrementa la nostra attività. E mentre vogliamo invocare dal Signore molte grazie per il bambino che sarà battezzato vogliamo così rinnovare il pensiero della gioia nostra di essere nella Chiesa. Ecco un nuovo membro della Chiesa: cresca proprio protetto e benedetto, cresca proprio a lode del Signore, a gioia della Chiesa, a compimento della missione dei suoi cari.

dPM, Omelia Pasqua Messa di Mezzanotte – Battesimo, 30/03/1986

Domenica di Pasqua

Risurrezione del Signore

17/04/2021

Messa del Giorno

At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9

Dal vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.

Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.

Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

In questo giorno di Pasqua esplode il trionfo della nostra fede. Noi abbiamo come simbolo, e dappertutto è il simbolo, il Crocefisso, ma la religione cristiana non è la religione di un morto, non è la religione del dolore. La religione cristiana è la religione della vita, dell’esplosione di una vita che va fino all’eternità. Il cristianesimo è promessa e dà la garanzia della gioia. Ed è proprio in questo senso che dobbiamo vedere oggi in che cosa noi crediamo. Perché, se siamo risorti con Cristo, dice l’Apostolo, bisogna cercare le cose di lassù. Come è facile, per gli uomini, sperare invece nelle cose di quaggiù! E lo sappiamo quanto queste cose deludono, quanto sono ingannevoli. Ciò che promette il mondo non lo mantiene, né lo può mantenere. Bisogna che noi verifichiamo, proprio di una verifica fondamentale, credere in Lui. Credere nelle sue beatitudini. Credere in quello che Lui ha promesso, in quello che Lui ha affermato. Diceva Gesù ai discepoli di Emmaus: “Era necessario che il figlio dell’uomo soffrisse per entrare così nella sua gloria”.

Oh, sì, bisogna che noi sappiamo vedere le vere proporzioni della nostra vita, perché altrimenti saremmo cristiani solo di nome e annasperemmo come chi è al buio, faremmo una delusione dopo l’altra. C’è purtroppo chi invece di credere in Cristo crede nei soldi e vive per i soldi, e vive per il lavoro in funzione dei soldi ; c’è chi vive per delle forme particolari di egoismo, di quell’egoismo urtante e ipocrita, di quell’egoismo che tante volte si ammanta di carità, ma non sa niente di carità; c’è chi crede nella carne , nei piaceri, in tutte quelle cose che dicono: mi pongo centro e voglio adoperare gli altri, e voglio realizzarmi umiliando gli altri. Oh quanto, quanto è facile! Quanto è facile, perché allora si vive per vivere, mentre il cristiano a somiglianza di Cristo vive per morire, cioè vive per attuare in questa esistenza un’altra esistenza, una grazia meravigliosa di dono, una grazia per cui siamo chiamati a partecipare alla resurrezione del Cristo e a immergerci nella vita trinitaria. La vocazione cristiana è una vocazione meravigliosa, magnifica. Bisogna però viverla, bisogna avere il coraggio di tagliare con tutto quello che non è secondo la parola di Gesù, che non è secondo quanto lui ci ha comandato. Perché Lui è il nostro Redentore e nello stesso tempo è il nostro Signore e dobbiamo ubbidirgli, e dobbiamo capire che tutto quello che esce da Lui è amore e, se ci comanda, ci comanda per un grande e forte realizzo. Vorrei allora augurare a tutti voi una buona Pasqua, cioè una riflessione e una crescita della vostra fede, augurare buona Pasqua per rinsaldarvi nelle vostre convinzioni cristiane e nelle vostre speranze. E preghiamo perché tutti gli uomini prendano da Gesù risorto il messaggio di vita e di pace e questo povero mondo travagliato trovi in Gesù Cristo il punto di appoggio: “Chi ascolta la mia Parola – sono sue affermazioni – chi ascolta la mia Parola è come chi costruisce la sua casa sulla roccia”. Abbiamo bisogno di solidità, abbiamo bisogno di credere con fortezza e con profondità: veramente questo è la grazia che auguriamo a tutti, singolarmente e a tutte le famiglie.

dPM, Omelia Pasqua Messa del Giorno, 30/03/1986

Per conoscere di più su don Pietro Margini, fondatore del Movimento Familiaris Consortio, visita il sito.

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