Sono le 8.00 di mercoledì 8 gennaio, al Liceo San Gregorio Magno di Sant’Ilario ci si prepara per una nuova giornata di scuola. Gli studenti entrano nelle loro classi e attendono i professori per la prima ora di lezione; non hanno idea di che cosa li aspetta ma certamente sanno che non sarà una mattinata come le altre.
Oggi, infatti, ricorre l’anniversario della nascita al cielo di Mons. Pietro Margini, fondatore del Movimento Familiaris Consortio da cui sono nate le realtà educative di cui il Liceo fa parte. Una memoria che viene onorata offrendo ai ragazzi la possibilità di approfondire alcune piste di riflessione legate alla Speranza, tema che guida il cammino associativo del Movimento di questo anno.
Entro nella classe seconda con qualche minuto di ritardo e le mani occupate da tutto il materiale preparato per la mattinata. Mi introduce la professoressa della prima ora, saluta i ragazzi e chiude la porta. Saluto cordialmente e aspetto: le chiacchiere rumorose e allegre che fino a quel momento riempivano la classe si trasformano pian piano in un brusio disordinato e sommesso; gli sguardi furtivi nella mia direzione sembrano proprio interrogarmi: “Chi sei? E che ci fai qui?”.
Accendo il pc, lo collego alla lim e compare la prima slide che reca questa scritta:
C’è sempre una speranza.
“Buongiorno ragazzi!”. Sorrido mentre cerco di intercettare qualche occhiata familiare. Chiedo loro di modificare l’assetto dell’aula, spostando i banchi verso i muri per lasciare al centro uno spazio ampio e libero nel quale poterci muovere liberamente. Capisco che in pochi mi riconoscono così lascio loro il compito di presentarmi in un breve quiz che vede schierata la parte maschile contro quella femminile.
Ora che la competizione ha risvegliato anche gli animi più assonnati siamo pronti per iniziare la nostra giornata!
La proposta che porto al gruppo come approfondimento è una sfida che può essere sintetizzata nel titolo: la relazione come luogo di speranza.
Quando nelle relazioni che vivo sento crescere la speranza e quando invece l’ostilità, la freddezza, l’incomprensione? Quali sono gli ostacoli della relazione? Qual è il passo che posso fare nella relazione anche quando percepisco che c’è un ostacolo?
Propongo di disporci in cerchio per completare le presentazioni perché ora saranno loro a dovermi raccontare qualcosa di sé attraverso il gioco del Chi. Tutti quelli che si riconoscono nelle affermazioni che dirò dovranno spostarsi al centro del cerchio per poi ritornare nel cerchio occupando un posto diverso da quello iniziale. Mentre giochiamo capisco dai loro sguardi che vedere proprio quel compagno farsi avanti quando si chiede di spostarsi al centro a tutti quelli che…sono innamorati, hanno pianto nell’ultimo mese, hanno litigato con un amico di scuola, sono stati feriti nella relazione, hanno almeno tre amici con cui confidarsi…fa emergere con stupore la consapevolezza che l’altro è un mistero, e che forse conosco poco o nulla delle fatiche e delle battaglie che l’altro sta vivendo.
Proseguiamo quindi su questa strada con altre attività perché per tessere relazioni di speranza devo poter conoscere chi ho accanto. Proposta dopo proposta sento che il gruppo si lascia guidare via via verso una profondità sempre maggiore. Tra le risate e i commenti accesi del gioco si intervallano momenti molto speciali, di silenzio attento e carico di riflessione, ad esempio, quando arriviamo a parlare degli ostacoli della relazione. Insieme ci chiediamo come possiamo fare per uscire dalla nostra zona di confort, da quelle dinamiche di sicurezza che ci porterebbero ad andare sempre verso le stesse persone, magari escludendo le altre.
Propongo loro un affondo nel vangelo del giorno grazie al quale giungiamo sulle colline verdi nei pressi di Betsaida dove Gesù e i suoi discepoli cercano un tempo di ristoro dalle fatiche della missione. Ben presto però si ritrovano circondati da una grande folla, Gesù ne sente compassione e ricomincia a predicare e ad annunciare il regno di Dio. Senza nemmeno accorgersene, il tempo scorre velocemente, scende la sera e i discepoli incoraggiano il loro Maestro a congedare quei cinquemila uomini perché non debbano affrontare digiuni il rientro a casa. Ma Gesù risponde: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ci chiediamo allora che cosa può significare per noi avere compassione di quella persona che intuiamo stia passando un momento difficile nella sua vita e condividiamo che non si tratta solo di provare dispiacere per la sua sofferenza ma che questa sofferenza ci chiede di osare un passo.
Quanti pani avete? Chiede Gesù ai suoi discepoli perché siano loro stessi a sfamare quella gente. Nella relazione possiamo chiederci quali possibilità abbiamo per poter andare incontro a quell’amico che soffre, con quali gesti di compassione possiamo avvicinarci a lui, fosse anche semplicemente il sorriso che scelgo di rivolgergli quando lo incontro.
La compassione, dunque, mi interpella nel fare e questa sollecitazione è stata raccolta con molto entusiasmo dai ragazzi, che riconoscono le loro amicizie come un bene da far fiorire.
Al termine della giornata, saluto la classe con grande speranza, per aver colto in questi ragazzi il desiderio di impegnarsi per costruire relazioni vere e reali; relazioni che possono passare anche dentro pieghe faticose o arrecare ferite ma che, infine, sono riconosciute come un terreno buono su cui vale la pena investire tempo ed energie in attesa della fioritura.
Manuela Maiocco
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